Questo è il dodicesimo appuntamento di una serie di uscite che proporremo ai nostri lettori ogni domenica a cura di Fairbooks
Nota: Diego Banovaz è il Ceo di Fairbooks, una startup che si definisce «Lo Spotify dei lettori, l’Uber degli scrittori», una piattaforma web per scrittori indipendenti che vogliono pubblicare la propria opera gratuitamente. Ci hanno proposto di raccontare la vita di chi fa startup nell’acceleratore romano di Luiss Enlabs. Questo è il dodicesimo appuntamento di una serie di uscite che proporremo ai nostri lettori ogni domenica.
“No, guarda, stasera non esco, devo finire il financial plan che tra poco c’è il pitch per l’Investor Day e devo preparare tutto per il followup del fundraising.”
A questo punto il 99% degli interlocutori ti guardano come se avessi appena pronunciato il Padre Nostro al contrario mentre sgozzi un gallo al calare del sole. E mentre cerchi di capire cos’è andato storto, ti rendi conto che il tuo gergo è cambiato. Tu, cavaliere della dialettica, che da sempre ti sei fregiato del tuo gagliardo utilizzo dell’italico idioma, ti trovi ad esprimerti con inglesismi e tecnicismi che neanche quando studiavi corsi come “Teoria dell’Informazione” o “Sistemi Operativi per la Robotica” ti concedevi. E allora, come spesso accade, ti domandi: ma come siamo arrivati a tutto questo?
Dovete sapere che l’acceleratore di business è un crogiolo di popoli, al suo interno team con componenti da tutta Italia importano e impongono i loro modi di parlare rendendo tutto una nuova babilonia. Era una cosa della quale eravamo stati preventivamente avvisati, addirittura una parte di un seminario era stata dedicata alla differenza fondamentale del “’sti cazzi.”.
Perché, e mi rendo conto continuamente che tanti non lo sanno, ‘sti cazzi ha un’accezione diametralmente opposta a seconda della propria provenienza. Per farla breve, se siete nati sotto il Po’, ‘sti cazzi vuol dire “chi se ne frega”, se siete netti sopra vuol dire “ma veramente?”
Non è una differenza da poco, in un caso trasmetti incuranza, nell’altra incredulità. Esiste un parallelo piuttosto diffuso con il mondo anglosassone: molti credono che “Really?” possa funzionare come “’sti cazzi” del nord, mentre in realtà è “challenging”, è uno “è una cazzata! Non ti credo!”.
Ma di questo problema, ‘sti cazzi! I problemi veri nascono nel “porting” dei modi dire che risultano incorretti al di fuori della propria zona.
Ci sono i piemontesi con il loro “solo più”, una locuzione talmente difficile da riportare in italiano che va per forza esemplificata. Per loro la frase: “ci sono solo più dieci caramelle da mangiare” assortisce l’effetto di “ci sono ancora dieci caramelle da mangiare”.
Oppure da Campobasso ti dicono “pomeriggio devo assentarmi dieci minuti che devo fare un servizio.” E dopo che ti sei immaginato un servizio del telegiornale, un’intervista radiofonica e quant’altro scopri che è sinonimo di “commissione”.
Ci sono i sardi, gli ultimi veri Jedi di questa galassia. Perché solo loro hanno il potere di invertire le parole all’interno di una frase per farle sembrar appena pronunciare dal Maestra Yoda. Oppure di utilizzare parole esistenti ma “desuete” come “avantieri” per dire “due giorni fa”.
Ci sono i friulani che dicono “sono tardi” per comunicare di “essere in ritardo”.
Oppure i campani che utilizzano parole come “scostumata” per definire una ragazza particolarmente attiva dal punto di vista sessuale.
Ci sono i siciliani che decidono che, a prescindere, qualunque verbo della lingua italiana è per forza transitivo. Cioè, “esci il computer” per dire “prendi il computer dallo zaino” è all’ordine del giorno.
Ci sono i romani, che credono “mo’” sia una parola vera, che il verbo “stare” si possa utilizzare SEMPRE, con un’incidenza sul vocabolario tale dal richiamare alla memoria il verbo PUFFARE dei puffi!
E allora, visto e considerato tutto ciò che vi ho appena detto, capite perché ci si trova ad alterare il proprio gergo? Anzi, vi dico di più, un giorno, con tutti questi neologismi e italianizzazioni ci troveremo a parlare una lingua nuova, una sorta di neolingua Orwelliana in cui saranno accettate tutte le nefandezze come pitchare, plannare, pivottare e, perché no, un nuovo significato dell’onnipresente ‘sti cazzi.
P.S.: l’amabile Kodo direbbe “vin di cjacarâ par furlan”
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