Questo è il terzo appuntamento di una serie di uscite che proporremo ai nostri lettori ogni domenica
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Non hai letto lo Sprint 0? Leggilo qui!
Nota: Diego Banovaz è il Ceo di Fairbooks, una startup che si definisce «Lo Spotify dei lettori, l’Uber degli scrittori», una piattaforma web per scrittori indipendenti che vogliono pubblicare la propria opera gratuitamente. Ci hanno proposto di raccontare la vita di chi fa startup nell’acceleratore romano di Luiss Enlabs. Questo è il terzo appuntamento di una serie di uscite che proporremo ai nostri lettori ogni domenica.
E dopo una settimana di seminari sui più svariati temi, dal programma in sé, all’utilizzo di Tool per Startup alla gestione dei Social Media, arriva il giorno tanto atteso: il primo Planning!
Che cos’è il Planning? Dopo aver costruito il backlog (il magazzino in cui ci sono tutte le “storie” da realizzare) bisogna decidere un obiettivo per lo sprint (Sprint Goal) e tirar dentro tutti quei Task che riescono a starci nei tempi. In soldoni: cosa vogliamo ottenere in queste due settimane? Quali azioni possiamo fare per ottenerlo? Quanto ci costa in termini di tempo ogni azione? Quali sono più importanti? Ci sono altre cose che DEVONO venir fatte che vanno buttate dentro?
Morale della favola, devi arrivare a fine giornata con tutto pronto per saper sempre cosa fare nelle due settimane successive. In realtà l’attività sarebbe più complessa, bisognerebbe anche includere una parte di “analisi dello sprint precedente”, un silent brainstorming per raccogliere tutte le idee etc… Ma quando si è in due sul progetto le cose si snelliscono di molto.
Dopo aver assistito per mezza mattinata ad un seminario su “come si fa un planning” si è caldi e pronti a partire. Sembra tutto facilissimo e in effetti lo è, se già si ha una direzione. Finita la riunione veniamo rapiti dal Sergente Hartman, un incontro solo lui e noi nel quale esordisce con un:
“Approfittatene ora, questo probabilmente sarà l’unico incontro in cui non sarò uno stronzo!”
L’incontro è di tipo prettamente conoscitivo, merita sottolineare un passaggio.
“La cosa buffa” dico io “è che avevo fatto io il colloquio di lavoro a Kodo anche nella precedente società.”
E la risposta d’applauso: “Vabbè, se ti sei preso due volte uno stronzo sappi che sei due volte coglione!”
E poi il finale, importante per il butterfly effect che di lì a poco avrebbe scatenato. “Vabbè ragazzi, mi sembrate in gamba. Vi devo dire che ho investito in voi perché mi state simpatici, non ho ancora ben capito come cazzo faremo i soldi co’ Fairbooks. Buona giornata!”
Esci dalla stanza e il tuo organismo inizia a ribellarsi. Supponi si tratti di una richiesta mal posta di caffeina, così ti avvii con il tuo fido Kodo alla macchinetta del caffè, sperando che quei magici 80mg possano risollevare il tuo organismo. Prendi il caffè, ti siedi sui divani e sprofondi diventando improvvisamente il buon Mark Renton in Trainspotting dopo essersi fatto. Avete presente quella scena di lui disteso a terra, con il tappeto che lo ingloba portandoselo con sé? Esattamente quella sensazione. Passa un tempo indefinito, probabilmente i quindici minuti che servono alla caffeina per entrare in circolo, ti riprendi, guardi il fidato Kodo e sai che è il momento di ripartire.
Il mercato l’hai studiato cento volte, c’è ed è valido. Il classico “beh, anche solo con l’1% del mercato…” prende il sopravvento. Da quel momento in poi si aggiungono, affluenti del fiume dei tuoi pensieri, tutti i Revenue Stream collaterali. Immediatamente ti trovi in piedi, scattante, euforico pronto ad andare al computer e conquistare il mondo.
Ti ricordi però che sei in Planning Day e che non hai ancora trovato lo Sprint Goal. Ci pensi, ripensi e pensi ancora, finché ti rendi conto di aver bisogno di aiuto. Per un attimo diventi peggio di un butta-dentro dei ristoranti indiani di Brick Lane solo che invece di accattare clienti, prendi mentor. Chiunque pensi possa darti un consiglio viene subito arruolato alla tua schiera di consiglieri personali. Mano a mano che ripeti le stesse cose, che spieghi gli stessi dubbi e le stesse incertezze, si delinea nella tua mente il goal perfetto lo Sprint.
“Define Unique Value Proposition through competitor analysis”.
Senza filtro: Ao (che sto iniziando a capire essere l’unico modo per iniziare una frase d’effetto, simile in certi modi al punto di domanda rovesciato necessario per la forma interrogativa in spagnolo), studiamoci gli altri e cerchiamoci un posto in ‘sto mondo.
Il mondo sorride, euforia alle stelle, si scrivono le storie di analisi, quelle di marketing, quelle di sviluppo (ricordiamoci che giusto la settimana prima c’era arrivata la valanga di feci addosso per i bug della App) e via a lavorare!
Per chi non lo sapesse, nei bagni dell’acceleratore ci sono diverse vignette affisse da una startup dell’acceleratore specializzata in marketing. Una di questa credo sia la perfetta espressione di ciò che si vive in early stage. Accostati, divisi soltanto da un orologio che segna lo trascorrere del tempo, due figure, una euforica grida “everything is awesome!” e l’altra, depressa, si dispera con un “everything is awful”.
Voi potete non crederci ma questo Sprint è stato davvero una “montagna russa emozionale”. Tanto per farvi capire, dopo pochi giorni il solo utilizzo delle parole awesome e awful era sufficiente e definire con il socio il proprio stato d’animo senza possibilità di errore o incomprensione.
Anche perché, la definizione del goal di uno sprint, non è il goal dello sprint. Dopo l’euforia della definizione e della pianificazione inizia il lavoro vero e proprio. Nella tua testa rimbombano e si amplificano i dubbi classici: ma stiamo costruendo qualcosa che interessa effettivamente a qualcuno? Ma stiamo effettivamente facendo qualcosa di economicamente sostenibile?
Inizi così l’analisi dei competitor a quattro mani: ogni rivale che analizzi, ogni pagina che apri fa l’effetto dell’aver appena premuto il grilletto di una virtuale rivoltella nella quale non sai se è stato inserito il proiettile in grado di uccidere il tuo sogno.
E così si arrivati al terzo giorno, per qualche assurdo motivo, la stessa strada che ti ha portato all’awesome ti ha appena riportato all’awful. Torni alle benedette macchinette del caffè, prendi i device con i quali stai testando i competitor e nuovamente ti schianti sui divani. Inizi a parlare con il tuo socio e subito si inizia a peggiorare la situazione tirandosi l’un l’altro verso il baratro. “Eh, ma quello hanno il business model ben definito…” “Gli altri hanno una nicchia inesplorata!” “Gli altri sono una replica Italiana di un prodotto che spacca di brutto” etc etc etc.
Guardi l’orologio, sono le otto di sera. Non sei MAI uscito da quel posto così preso ma sai che non puoi stare lì ancora senza peggiorare la situazione. Ti giri verso il tuo fidato compagno.
“Kodo, trip advisor e birra. Subito.”
C’è chi potrebbe dire “ecco i friulani!” Altri potrebbero dire “con l’alcool non si risolve niente!” Ed io poi potrei rispondere che ci sono degli studi che dicono che nelle fasi di brainstorming un tasso alcoolico tra lo 0.5 e gli 0.8 mg/l può portare a degli eccellenti risultati.
La realtà è semplicemente che avevamo bisogno di staccarci completamente dal quadro che stavamo disegnando ininterrottamente da settimane, di prenderci una boccata d’aria e capire che il mondo non si limitava a quelle quattro mura. Il destino ci ha portato in un locale con 12 spine di birra artigianale, la nostra indole da esploratori e visionari alla decisione di volerle assaggiare tutte.
Il giorno dopo si poteva nuovamente ripartire da un “Everything is awesome!”.
Per il resto dello Sprint l’alternarsi delle fasi awesome/awful è stato naturale come il ciclo giorno notte, tanto da darci anche modo di abituarcisi e di imparare a “tirare verso awesome” quando l’altro è in “awful” e viceversa. Si, si è fatto pesante uso della canzone tratta dal film Lego “everything is awesome”.
Ad ogni modo, in qualche parte di noi si è risvegliata quella consapevolezza che ci ha portato a riconsiderare quanto stavamo facendo: volevamo avere tutte le risposte immediatamente, sapere subito come e dove concentrarsi, non avere di fronte “una strada” ma una vera e propria “autostrada” sulla quale correre verso il successo. Ed è stato il rendersi conto di questo che ci ha permesso di cambiare prospettiva. Nei mesi passati avevamo studiato un sacco approcci Lean, data-driven e ora stavamo andando solo a “sentiment”, dimentichi della nostra natura ingegneristica.
E quindi via con i sondaggi, email bombing dallo stampo mafioso del tipo “un’email che non potrai rifiutare” per raccogliere qualche informazione di più. E poi ancora, integra le analitiche su tutto, heat map, eventi, hooking… In altre parole diventi il peggior stalker dei tuoi utenti, inizi a monitorare tutto quello che succede. Ti trovi in situazioni del tipo “Ma potrà servirci il numero di serie del device” e la risposta è sempre SI. Ti tornano alla mente i grafici delle “correlazioni assurde” come la correlazione tra “il numero di suicidi negli states e la percentuale di utenti di Internet Explorer” e decidi per certo che un domani il mondo potrebbe aver bisogno di un’infografica che correli “numero di libri letti mentre si sta seduti sul cesso e probabilità di prolasso fecale durante l’ascolto radiofonico di una canzone del buon Gigi nazionale”.
E così, iterazione emotiva dopo iterazione emotiva, si arriva al momento di doversi preparare per il Demo Day. Come riuscire a far trasparire tutti i trascorsi? Come far capire, in un contesto strutturato a storie e task l’iter nebuloso e contorto come quello che stavamo attraversando?
C’è una canzone, una canzone che mi viene in mente ogni volta che c’è un Demo Day, ogni volta che c’è un pitch, un incontro con un investitore… La canzone non c’entra una beneamata fava, è un di un gruppo prog death metal canadese e parla di tutt’altro ma il titolo non riesco a togliermelo dalla testa, è diventato una sorta di mantra, poche semplici parole in grado di settarmi nella modalità “wannabe disruptive entrepreneur”.
“Business Suite & Combat Boots”
Ok, chiunque, sano di mente, può pensare sia un’enorme cazzata… Però a me, il solo titolo, fa capire cosa sto andando a fare. Mi visualizzo immediatamente la camicia, la giacca, la cravatta… Mi riporta alla mente le riunioni con i clienti della mia vita da consulente, le tremende giornate dei rilasci, gli interventi ai convegni, i pitch… E nel contempo mi ricorda che, anche se siamo tutti vestiti per rappresentare il massimo livello di civilizzazione, quello che stiamo facendo è lottare per prevalere, è combattere per le proprie idee e la propria startup. Mi ricorda sempre il lato ferale, “da battaglia”, della giornata che si profila.
E a proposito di Business Suite, arriva il giorno del Demo Day e sono l’unico ad indossarla. Poco male, mi sono presentato in altre occasioni vestito da banana / borat / lupo / toga senza sentirmi a disagio, non vedo perché avrei dovuto farlo in una situazione che ho semplice ritenuto troppo formali. Durante il Demo Day (D-Day per gli amici), ogni startup ha quarantacinque minuti per esporre i risultati ottenuti durante lo Sprint. La struttura è piuttosto schematica del tipo:
“Storia: ottenere un incremento della user retention del 10%, demo: come vedete da questo grafico, disegnato con una matita sulla carta igienica e fotografato con l’iPhone…”
Alla fine di ogni storia, spazio per le domande e, in buona sostanza, gli insulti.
“Ao (ricordiamone l’importanza), come fai a dire che hai ottenuto sta cosa se non hai analizzato st’altra?”
E via discorrendo fino alla resa e gogna pubblica del “demostrante”!
E se pensate che questo sia il peggio che può capitarvi, vi sbagliate di grosso. Perché di peggio, dopo un intero Sprint di “emotional rollercoaster” c’è un bel:
“Mi è piaciuta molto la presentazione e il lavoro che avete svolto. Non ho ancora capito come faremo a farci i soldi con sta roba.”
Game, set, match. Punto e a capo.