Questo è il primo appuntamento di una serie di uscite che proporremo ai nostri lettori ogni domenica.
Nota: Diego Banovaz è il Ceo di Fairbooks, una startup che si definisce «Lo Spotify dei lettori, l’Uber degli scrittori», una piattaforma web per scrittori indipendenti che vogliono pubblicare la propria opera gratuitamente. Ci hanno proposto di raccontare la vita di chi fa startup nell’acceleratore romano di Luiss Enlabs. Questo è il primo appuntamento di una serie di uscite che proporremo ai nostri lettori ogni domenica.
Due minuti nella mia testa.
Esco da un locale, in automatico la testa continua a portare avanti la canzone che c’era in sottofondo. Cammino e mi accorgo che, passando vicino ad un altro locale, la canzone era esattamente al punto in cui me l’aspettavo.
Attraverso la strada e da una pizza al taglio fuoriesce la medesima canzone, perfettamente temporizzata con i miei pensieri.
Modalità Ingegnere. “Wow! Perfettamente sincronizzato, locali scollegati, da parte opposta dalla strada. Saran collegati in wifi? No, dev’esser un servizio cloud di streaming. Chissà se usano gli Azure Media Services!”
Modalità Legal. “Però aspetta, l’onore del pagamento SIAE per la riproduzione contemporanea dello stesso brano in più posti prevede il triplo pagamento della fee? Del gestore del locale o del provider del servizio?”
Modalità Marketing. “Cazzo però, figo sto servizio. Chissà che Growth hack hanno usato per esser così pervasivi nella zona. Magari hanno qualche feature potente per il WoM… Affiliation e robe così o Guerrilla / Ninja Marketing?”.
Modalità Business. “Mmm sarà ADV Fueled o sarà a subscription? Che pricing tier può avere un servizio del genere? Ma soprattutto, come han fatto a metterlo in giro con tutti i competitors che ci sono? Spotify, Apple Music, Groove…”
E dopo tutto questo iter, riecheggia nella cavità della mia testa un solo pensiero: “Ma sarai un coglione? Sono più di cent’anni che hanno inventato la radio?”
E voi vi domanderete… Come sei arrivato a questo?
Obbligo di presentazione, non tutti mi conoscono. Sono laureato in Informatica, specializzato in Ingegneria Informatica, appassionato di letteratura fin da ragazzo. Posso dire che, dovessi scegliere tra la programmazione e la letteratura, beh, probabilmente mi fingerei morto come quando una ragazza ti domanda se la vedi ingrassata.
Vi risparmio tutti i dettagli, vi basti sapere che per seguire i miei sogni ho abbandonato un bel lavoretto a tempo indeterminato da Ingegnere a Monaco di Baviera, in una società che sviluppava esattamente le cose che mi piacciono ed uno stipendio che faceva partire nella mia testa cinque minuti di applausi ogni volta che veniva accreditato sul mio conto.
E per cosa?
Il magico mondo delle Startup!
Hai un’idea in testa? Hai le competenze tecnico informatiche per realizzarle? Hai tutto quello che ti serve.
Pensa erroneamente un Ingegnere.
E io sono un Ingegnere.
l’arroganza dello Startupper non la batte nessuno
Nuovamente cerco di “skippare” traccia su questo disco, facendovi solo immaginare lo sforzo necessario per mettere assieme qualcosa che funzioni… e soprattutto affrontare la realtà che non tutto è solo codice! Non che l’esperienza mancasse, più e più volte avevo partecipato ai classici Startup Weekend e format affini. Eventi interessanti per l’atmosfera e l’infarinatura per contaminazione di tutte quelle competenze che gli Ingegneri non pensano nemmeno esistano.
E così, una volta abbandonato il lavoro, costituito un team e capito “all’incirca” come gira il mondo si iniziano a fare i pitch e le applications. Per chi non parla startupparo, i Pitch sono le “presentazioni” del progetto di fronte ad una platea di investitori o altri esponenti del panorama startup, mentre le application sono le “richieste di asilo” presso i programmi di accelerazione o incubazione.
Ed è proprio di un’esperienza legata a questo mondo che voglio andare a parlare in queste quattro righe neanche rilette, sputate su Word come distensivo tra uno Sprint e l’altro… Ottobre, guardo le scadenze in agenda, mi rendo conto che sono via proprio quando ce n’è una. Prendo un volo, torno a casa, registro un video, ultimo la compilazione, invio.
Sai che avranno applicato in centinaia per quel posto e sai che non sei l’unico a pensare di avere per le mani il progetto più figo del mondo… Però sei comunque della convinzione che bisogna solo vedere se sono abbastanza in gamba da capirlo.
Perché diciamocelo: l’arroganza dello Startupper non la batte nessuno. Spesso senza i mezzi, le giuste analisi, un team carrozzato. Spesso senza altro che vanity metrics a sostenere le sue tesi o numeri volutamente virati in suo favore privi di un approccio razionale… Lo startupper è in grado di mettere tutto in discussione per un’idea, di ritenere i competitors inferiori per partito preso e la propria nicchia o il proprio modello superiori in qualcosa. È per questo che in tanti falliscono ed è esattamente anche per questa arroganza e forza di fondo che alcuni hanno successo. Pensiamo un attimo a Uber e al suo trovare “cavilli legali per affittare auto con conducente in paesi in cui serve la licenza per fare il tassista”.
Disruptive, si dice, ‘na rottura di coglioni, si pensa.
Perché sta proprio in questo “non aver niente da perdere” che nasce la magia dello startupper, in questa arroganza che le corporate non possono permettersi perché loro sì, loro hanno qualcosa da rischiare.
Ma non voglio divagare, non voglio perdermi in filippiche e onanismo psicologico, voglio arrivare al punto.
L’application è andata a buon fine, mi arriva un’email che mi dice che vogliono fissare una call. Sai già che non vuol dire che sei stato preso, probabilmente è solo l’N-esimo passo di selezione prima di arrivare in fondo al tunnel. Passano i giorni, prepari le tue vanity metrics senza sapere che sono tali, nascondi nelle maniche tutti gli assi che riesci a farci stare e poi BAM! Sei in call. Spari tutto fuori come un drago, entusiasta di poter spiegare, per la millesima volta, il sogno che stai realizzando. Lo scarso entusiasmo dall’altra parte ti lascia perplesso, la call finisce e ti arrovelli mentre nella tua testa le diverse componenti del tuo ego si azzuffano in una sorta di Processo di Biscardi gestito da un Reggimento di Alpini.
Neurone #1 “Eh! Lì dovevi dire che è un comparable, non un competitor! COGLIONE!”
Neurone #2 “Ma va! Hai visto l’espressione di quello sulla destra? Quella l’ho azzeccata! Piuttosto dovevi sottolineare meglio la passione che ci stiamo mettendo Neurone #3!”
Neurone #3 “Sono anni che chiedo la MOVIOLA IN CAMPO! Non possiamo continuare a discutere di queste cose!”
Quando parte la pausa pubblicitaria e tutto si quieta, finalmente puoi archiviare la cosa fino “alla data che ti hanno dato”.
Passano i giorni, continui a comportarti normalmente. Sviluppi, contatti, spammi, ti guardi attorno. L’unico segno che l’occhio attento può notare ma che, aihmé, non sei in grado di coprire è come l’accorciarsi delle unghie lascia presumere che entro fine anno il tuo avambraccio sarà direttamente privo di mano.
Arriva la fantomatica data e… Surprise surprise.
“We apologize for being a bit late with the Selection 🙁
It is a difficult choice, there are so many great startups to evaluate. Please let our team to think it through during the weekend.
Thank you all for your patience!”
È l’esatto momento in cui il Signore altissimo in persona ti guarda dal cielo e, con un giocattolo per bambini che riproduce i versi degli animali della fattoria, ti esorta ad avvicinare il suo nome a quello dell’animale prescelto. E mentre ti rodi e continui a lavorare a testa bassa, i giorni passano e arriva la novità: anche questa selezione è passata! Prossimo appuntamento a Roma il 10 dicembre.
Non l’ho ancora detto ma sono invischiato anche con l’organizzazione di eventi. Quindi il tutto si è tramutato in lavorare dal 3 dicembre all’8 al Sestriere, prendere le macchina, ritornare a Trieste e da Trieste il giorno dopo partire per Roma. Ben sapendo che due giorni dopo ancora sarei stato a Milano per lo StartupItalia Open Summit.
E così ci si ritrova di nuovo sul palco, di fronte ad una platea gremita. E dopo il pitch? Tredici sessioni da una ventina di minuti con diversi mentor e advisor pronti a vedere se la tua idea è valida per un investimento. Dopo dodici sessioni andate da paura, in cui mi sentivo il re del mondo arriva la #tredicesimabatosta. Il direttore del programma di accelerazione mi fa sentire un perfetto stronzo, si mette a smontare il modello di business con la perizia di Ramsay Bolton in Games of Thrones.
Esco da lì con le orecchie basse e, nuovamente, una data per il “le faremo sapere”.
Passano i giorni, passano le settimane. Decido di andare a trovare un amico a Firenze per staccare un po’, guido per 2.000km in un weekend per organizzare il capodanno a Cracovia, approfitto per fare qualche giorno sulla neve…
Vi chiedo uno sforzo di immaginazione, lo so, non è facile immaginare quanto sto provando a descrivervi. Una baita in montagna, i tuoi venti amici / amiche più cari che fanno ogni tipo di attività. Giochi da tavolo, escursioni, forgiare oggetti in alluminio partendo da latte di birra (non scherzo), preparare lauti pasti a tema, sbronzarsi con Rum da 60€ a bottiglia…
E io sono lì, in un angolo, attaccato ad una chiavetta WiFi appesa sul tetto, cercando di lavorare sul progetto nonostante tutto ciò che mi circonda. E ci aggiungo anche una sfilza ininterrotta di chiamate e messaggi per l’organizzazione del capodanno.
Ed è proprio in questo contesto idilliaco e di “connettività limitata o assente” che mi suona per la cinquantesima volta il telefono.
“Si, pronto, parlo con Diego? Volevo dirti che abbiamo valutato il tuo progetto XXX.XXX€ e che siamo interessati a procedere con l’accelerazione…”