Ha lavorato in Borsa Italiana per dieci anni. Poi si è licenziata per dar vita a un progetto che aiutasse le imprese creative nella trasformazione digitale. Oggi è un ecosistema da più di 2mila persone
Del periodo pandemico tutti ricordiamo il fenomeno che più ha caratterizzato la rivoluzione nel mondo del lavoro insieme allo smart working. Per anni abbiamo parlato del trend delle Grandi dimissioni, della YOLO economy (acronimo di You Only Live Once), di migliaia di persone che hanno abbandonato il proprio posto in ufficio per fare altro, concentrarsi su stesse, lanciare una startup. Ma forse ci siamo dimenticati che tante altre, prima del 2020, si erano già buttate, rischiando. Sara Malaguti, classe 1984, rammenta bene come si sentiva nel 2017, quando ha lasciato un posto a tempo indeterminato in Borsa Italiana, dove era entrata nel 2008. «Ho vissuto un periodo di solitudine. Non è stato facile lanciare qualcosa di mio». Flowerista è sbocciata così, in quel clima personale. «Oggi so che, pur essendoci difficoltà, si possono superare se ci si mette in rete. Se avessi trovato più supporto in storie simili alla mia sarebbe stato più semplice. E forse non mi sarei sentita sbagliata. Voglio raccontare storie perché so che ce la si può fare».
Dieci anni in Borsa
Nata a Bologna e vissuta a Milano dopo la laurea prima in lettere e poi in economia dei beni culturali, Sara Malaguti rilegge quegli anni con sincerità. «Avevo le idee confuse. Mi sono ritrovata per puro caso a lavorare nella finanza. Come se non avessi riflettuto su chi volessi essere davvero da grande». Condizione che tanti e tante hanno vissuto (o stanno vivendo). Non sentirsi in errore o in difetto è un punto di partenza imprescindibile per far luce con tranquillità sul proprio percorso. «Il mio primo lavoro è stato quello che mi ha accompagnato dal 2008 al 2017, in Borsa Italiana».
Un decennio di grande trasformazione: dall’inizio della crisi provocata dal crollo di Lehman Brothers negli USA Sara Malaguti ha passato tutti quegli anni in uno dei luoghi più importanti dell’economia del nostro paese. «Ero nell’ufficio marketing comunicazione ed eventi. Ho visto le imprese più importanti, le quotate. E ho visto che avevano problemi comuni: esigenze in termini di strategia, acquisizione di talenti, di trasformazione digitale». A Palazzo Mezzanotte ha iniziato a mettersi in gioco, prestando le proprie competenze verso un’apertura degli spazi al servizio delle persone e della cittadinanza. «Negli anni sono diventata la figura che si è occupata della digital transformation di Borsa Italiana».
Un luogo che grazie anche al lavoro di Malaguti è stato aperto alla cittadinanza, come durante le giornate del FAI. «Magari alcuni si immaginano la Borsa con ancora le grida, ma non ci sono più quegli agenti». Lei che per i beni culturali ha sempre avuto un debole per passione e formazione ha ricordato che nel palazzo simbolo dell’economia milanese, c’è però un tesoro poco conosciuto. «La Borsa è stata costruita su scavi romani: grazie a un pavimento di vetro sono ancora visibili i resti di un teatro».
Chi aiuta le imprese creative?
Nonostante il percorso fatto e i riconoscimenti ottenuti, Sara Malaguti voleva altro per il proprio futuro lavorativo. E così si è licenziata per buttarsi nell’imprenditoria. «Nel 2018 mi sono spostata a Varese, anche per una questione di costi. A un’ora da Milano non mi sentivo gli occhi addosso, come se fossi più libera di fare i miei errori». Flowerista, che oggi conta su una community di oltre 2mila persone, è nata come un blog e pagine social in cui mettere le proprie competenze maturate nel mondo delle quotate al servizio delle micro imprese creative. «Faccio un esempio: un’orafa che aveva sempre venduto tramite passaparola si è ritrovata a dover gestire il successo della propria pagina Instagram. Questo è diventato il mio pane quotidiano: fare fiorire imprese, partendo dall’idea di aiutare i brand ad andare online».
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Cinque anni fa era un altro mondo. E non soltanto perché c’è stata una pandemia di mezzo. «Flowerista è una realtà consulenziale. Ci piace definirci come ecosistema aperto». Conta su un team di dieci persone, che si occupano non soltanto di digital marketing. «Vogliamo accompagnare le imprese creative in vari campi e con formule differenti». Per questo c’è la possibilità di pagare un abbonamento per accedere a corsi on demand con cui formarsi per far nascere il brand e portarlo al go to market. «E poi ci sono le persone, che seguono le imprese creative in tutto quello di cui hanno bisogno».
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Flowerista ha puntato molto sulla community. «Nel momento in cui ci si iscrive si compila un form sulla propria professione e sulle proprie competenze». Le categorie variano dalla grafica all’architettura, dalla comunicazione al design fino all’artigianato. E l’aspetto importante è che se un’azienda creativa del network ha bisogno di una competenza è dalla community che può trovare la giusta connessione con un talento. «C’è un forte senso di appartenenza». E per renderlo ancora più visibile, soprattutto all’esterno, l’azienda ha scelto di lanciare il primo Osservatorio permanente sulle Imprese Creative in Italia.
«Il potere oggi è delle community. Dico sempre: bisogna rendersi conto che tutti facciamo parte di un ecosistema di contatti umani. E che la creatività non basta: non si può non innovare. Occorre mettere il naso fuori, perché le tecnologie prima o poi arrivano e stravolgono i piani». Tecnologie come l’intelligenza artificiale che promettono di cambiare (o spazzare via) tanti lavori. Anche se Sara Malaguti resta dell’idea che qualcosa resterà immutato. «La macchina non ha contatti umani. La macchina non ha community».