Biologa marina partenopea, a soli 25 anni è la prima italiana ad aver preso parte alla spedizione a bordo della nave rompighiaccio “Agulhas II”. «Non ci ho pensato due volte. Il mare mi ha sempre affascinata»
Laura Fortunato è una biologa marina napoletana di 25 anni con una grande passione: il mare. Una passione che è diventata un lavoro e l’ha spinta sino in Antartide, alla ricerca di qualcosa che neanche lei conosceva bene. Questa giovane ragazza oltre ad essere una coraggiosa appassionata dei suoi studi è anche la prima italiana che ha preso parte alla spedizione a bordo della nave rompighiaccio “Agulhas II”, una delle unità oceanografiche più moderne. Dottoranda in Fenomeni e Rischi Ambientali (Feria) all’Università Parthenope di Napoli, Laura Fortunato ha partecipato al progetto ACCESS – Antarctic Circumpolar Current Eddies Survey and Simulations, portato avanti dalla stessa Università nell’ambito del Programma nazionale di ricerche in Antartide in collaborazione con l’Università di Cape Town e altri partner europei. Il progetto è finanziato dal ministero dell’Università e Ricerca, gestito dall’Enea per la pianificazione logistica e dal Consiglio nazionale delle Ricerche per la programmazione scientifica. A coordinare i lavori c’è un’altra eccellenza napoletana, il prof. Yuri Cotroneo, che a soli 40 anni ha già preso parte a sei spedizioni in dieci anni ed è stato anche capomissione. La missione di Laura e del suo team è quella di studiare la dinamica e le caratteristiche degli “eddy di mesoscala” generati dalla Corrente Circumpolare Antartica a Sud dell’Africa. Ci siamo fatti raccontare proprio da lei quello che significa e quali sono le sue ambizioni in un futuro che è già degno di nota.
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Con il mio team studiamo le strutture di circolazione marine per capire come variano e come riescono a trasportare calore verso i poli. Questo è quello che si intende per “eddy di mesoscala” generati dalla Corrente Circumpolare Antartica a Sud dell’Africa. La corrente che circonda l’Antartide è fondamentale per gli oceani e a causa dei cambiamenti climatici alcune caratteristiche, in termini di circolarità, stanno cambiando. Studiarle è molto importante per capire come sarà il Pianeta sul quale vivremo domani.
Come è nata la passione per l’oceanografia?
È una cosa che sento da sempre dentro me stessa. Sin da bambina il mare mi ha sempre affascinata. A novembre ho iniziato il dottorato in Oceanografia, ma già a ottobre mi hanno comunicato che sarei potuta partire per l’Antartide. Per me è stato un sogno che si stava realizzando. Così ho partecipato al corso di addestramento e, senza pensarci due volte, me sono andata.
Quali erano le tue aspettative?
Inizialmente temevo di non sentirmi coinvolta in questa collaborazione tra ricercatori, essendo l’unica italiana. I miei colleghi erano principalmente sudafricani, finlandesi e tedeschi. Invece mi sono ben ambientata ed è stata un’esperienza veramente formativa sia da un punto di vista professionale che personale. Per un periodo sono stata nella base sudafricana, che si trova in cima a una montagna, ma mi è piaciuta di più l’esperienza sulla nave: ogni giorno esci fuori e vedi un panorama unico, i ghiacciai, gli animali. Debbo anche ammettere che quattro mesi mi è sembrato, comunque, un tempo ragionevole. Alcuni colleghi ci restano anche un anno ma è difficile riuscire a resistere per così tanto tempo.
Di che cosa ti sei occupata in Antartide?
Studiavo campioni di acqua tramite una serie di strumenti che, una volta lanciati nell’oceano, attraverso i satelliti rendono possibile la raccolta dati. Si tratta di una raccolta i cui risultati sono palesi nel lungo periodo e adesso siamo al lavoro per monitorarli. Tra un paio d’anni arriveranno i primi risultati.
Come ti sei trovata in un clima e una situazione così diversa dal solito?
Diciamo che inizialmente è stato molto difficile. Io ero abituata a fare camping e barca a vela, ma vivere su quella nave non è stata proprio la stessa cosa. La mia piccola cabina, per me, era una suite. C’erano il bar, il ristorante e, da questo punto di vista, non mi è mancato niente, ma mi è mancata tanto la nostra cucina perché si mangiava cibo sudafricano, essendo la nave sudafricana. Ho trascorso a bordo Natale, Capodanno, in un gruppo in cui l’età media era tra i 30 e i 40 anni, io ero la più piccola.
Hai mai notato casi di gender gap?
Sulla nave devo dire che in certi momenti mi sono trovata un po’ in soggezione: in certe zone una donna da sola è meglio che non ci stia, mentre un uomo non ha questo problema. Durante il mio percorso universitario, devo ammettere, non ho mai vissuto il gender gap anche se nel laboratorio dove lavoro siamo in due ragazze e otto ragazzi. In certi ancora pensano che se sei una donna tu non possa aspirare a un tipo di lavoro dinamico. Ma, invece, quello che penso è che se credi davvero nei sogni puoi arrivare dove vuoi. In questo tipo di scelte influisce molto anche il contesto familiare e sociale dove si vive; in alcuni contesti si vede ancora la donna come colei che deve fare una famiglia e occuparsi esclusivamente di casa e bambini.
Quali consigli ti senti di dare ad altre ragazze che vorrebbero intraprendere il tuo percorso?
Circondarsi di persone positive e pensare che nulla è impossibile. La ricerca è, prima di tutto tecnologia. Si deve studiare. Per il mio progetto, ad esempio, ho dovuto ricostruire le correnti sfruttando un modello che è un meccanismo informatico, usando software per l’analisi dei dati e per elaborare grafici ecc. Tutto questo, però, l’ho imparato anche fuori dal percorso universitario, frequentando un corso sull’intelligenza artificiale e le scienze computazionali per la previsione dei fenomeni. Con questo voglio dire che è importante spingersi oltre, stimolare sempre la propria curiosità e approfondire quello che interessa studiare: l’Università offre senz’altro la base da cui partire ma poi sta a noi mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti.
Come ti vedi tra qualche anno?
Beh, questa è una domanda a cui dare una risposta è molto difficile. Senz’altro porterò avanti le mie ricerche sempre con entusiasmo. Se questo avverrà in Italia o all’estero ancora non lo so, ma sono sicura di avere intrapreso una strada che voglio assolutamente proseguire.