C’è stato un tempo in cui la terza economia mondiale, coi suoi videogiochi, le telecamerine e gli orologi digitali era sinonimo di innovazione tecnologica all’avanguardia. Quel tempo non esiste più. L’arcipelago nipponico ha perso terreno nella classifica globale della competitività digitale. Ecco perché
I nati negli anni Settanta e Ottanta se lo ricordano bene. Il Giappone sembrava destinato a guidare il mondo. Perché? Innanzitutto perché era una superpotenza tecnologica. Qualsiasi cosa fosse innovativa sembrava dover arrivare da Tokyo e dintorni. Oggi, quei tempi sono molto lontani. Il Giappone mantiene ancora una forte competitività tecnologica in alcuni settori come la robotica, le batterie e alcuni input intermedi ad alto valore aggiunto e macchinari. Il Giappone ha anche una ricca base di capitale umano con alti tassi di alfabetizzazione. Ma tra i paesi più sviluppati si colloca al di sotto della media per quanto riguarda la competitività digitale, l’e-government e l’e-learning.
Basta guardare al risultato dell’ultima graduatoria annuale dell’Institute for Management Development. Il celebre istituto, con sede in Svizzera, ha collocato il Giappone al 29esimo posto su 63 nella classifica globale della competitività digitale.
Record storico negativo
Un’anonima metà classifica non può certo soddisfare la terza economia mondiale ed ex capitale dell’innovazione. La 29esima posizione è il record storico negativo per quanto riguarda la competitività digitale globale del Giappone, che ha perso una posizione rispetto al 2021 soprattutto a causa della carenza di lavoratori digitali qualificati. La graduatoria analizza 54 fattori incentrati su conoscenza, tecnologia e preparazione al futuro per accertare la competitività digitale di un paese.
Il Giappone non totalizza risultati straordinari e, soprattutto, arranca rispetto ai competitor asiatici. Basti pensare che Singapore si piazza al quarto posto, i classici rivali della Corea del Sud all’ottavo. La Cina, in grande ascesa a livello tecnologico si piazza al 17esimo posto, mentre la sua regione amministrativa speciale di Hong Kong al nono. Anche Taiwan (undicesima) è davanti al Giappone. Talvolta, Tokyo arranca addirittura in fondo alla classifica. Addirittura ultimissima in quattro categorie: esperienza internazionale delle imprese, agilità aziendale, opportunità e utilizzo dei big data.
Il ritardo pesa sul fronte sanitario
Ci sono anche alcuni punti positivi. In particolare su formazione, banda larga wireless, robotica, brevetti high-tech e partecipazione elettronica. Ma è difficile farsi bastare un premio di consolazione per un paese che prima dei suoi due “decenni perduti“, poi diventati tre, sembrava destinato a guidare la tecnologia mondiale. E invece ora si trova a rincorrere a causa di un sistema burocratico, amministrativo e aziendale ancora antiquato e altre pesanti ombre sulla sua competitività tecnologica e digitale come l’inesorabile tramonto demografico.
Basta dare uno sguardo all’antiquato sistema dell’hanko, vale a dire il timbro personale ancora ampiamente utilizzato per firmare i documenti dai cittadini giapponesi. Oppure al fatto che l’utilizzo dei floppy disk per i processi amministrativi non è stato ancora del tutto superato, nonostante nella maggior parte dei paesi del mondo vengano ritenuti oggetti quasi preistorici. Il ritardo nella trasformazione digitale è stato avvertito in modo acuto durante la pandemia da Covid-19 perché gran parte dell’amministrazione sanitaria pubblica giapponese si basa ancora su metodi di registrazione obsoleti che non riescono a tenere il passo con i casi.
“Tokyo è ultima in quattro categorie: esperienza internazionale delle imprese, agilità aziendale, opportunità e utilizzo dei big data”
L’Agenzia digitale giapponese è stata incaricata di aprire la strada ad applicazioni digitali, come l’uso esteso del sistema My Number (un numero identificativo individuale associato a una serie di servizi), compresa l’integrazione con le patenti di guida nel 2024. Altre iniziative includono sussidi alle imprese finanziati dal governo negli ultimi anni per favorire questa necessaria evoluzione digitale. Le aziende che desiderano ridurre il proprio peso passando alcune o tutte le operazioni al virtuale possono richiedere dei sussidi governativi. Da diversi lustri, i governi che si sono succeduti a Tokyo hanno promesso una svolta a livello digitale. Ma i risultati non sono ancora stati soddisfacenti.
La carenza di personale
A incidere la carenza di personale nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La causa è un problema legato all’offerta. Prima del Covid, la carenza di personale ICT in Giappone era di circa 220 mila unità. Il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria stima che la carenza si aggraverà e aumenterà a 450 mila lavoratori entro il 2030. D’altronde, lo stipendio medio del personale ICT in Giappone era circa la metà di quello del personale statunitense.
Ma la resistenza alla trasformazione digitale è motivata anche dalla cultura del lavoro giapponese, dove l’utilizzo di strumenti antiquati come il fax è ancora ampiamente diffuso. E, come dimostra il sistema dell’hanko, le transazioni formali e i documenti vanno completati ancora in forma analogica. O meglio, fisica.
Il governo sta provando a cambiare musica anche sul fronte degli investimenti nella tecnologica digitale che sono tradizionalmente lenti in Giappone, anche perché storicamente le aziende pubbliche e private guardano con timore a violazione dei dati e della sicurezza in un panorama socioculturale che dà grande valore alla privacy e alla riservatezza. La strada da fare è ancora tanta. Chi lo avrebbe mai detto, quando qualche decennio fa ci si immaginava un futuro guidato dal Giappone. O meglio, si pensava che il Giappone in un certo senso vivesse già nel futuro.