Gli ultimi sviluppi della vicenda che ha messo alle strette la piattaforma di Jack Dorsey. In attesa di rivedere il programma per l’assegnazione, chi è verificato diventerà osservato speciale anche fuori dal social network
Dopo le continue polemiche sui badge di verifica assegnati a esponenti xenofobi e “suprematisti bianchi” statunitensi, Twitter torna sui suoi passi. E ferma tutto. La piattaforma ha infatti deciso che rivedrà l’assegnazione dei distintivi che garantiscono una sorta di ufficialità della propria presenza sul social network. E che lo farà anzitutto in modo particolare: verificando i comportamenti di quegli utenti anche offline e non solo rispetto a ciò che pubblicano o fanno circolare online.
Il controllo offline
I badge di verifica saranno dunque rimossi da alcuni account. L’annuncio, dato l’altro giorno, ha prodotto subito un certo effetto, specialmente nel mondo della cosiddetta “alt right” statunitense. In molti si erano tuttavia chiesti che senso avesse rimuovere quel badge blu piuttosto che sospendere o bloccare l’account in via definitiva. Secondo il gruppo guidato da Jack Dorsey la faccenda riguarda appunto ciò che queste persone fanno nella vita reale. Ammesso che la si possa distinguere con semplicità da quella digitale. Ma questo è un altro discorso.
Le nuove policy sull’hate speech
Qual è il passaggio essenziale delle nuove regole della piattaforma? Semplice. Se un utente le viola su Twitter, cioè con post, commenti e altri atteggiamenti non approvati, sarà sanzionato secondo i metodi tradizionali. Cioè penalizzando la visibilità dei tweet, bloccando l’account o la funzionalità di messaggistica diretta, sospendendo l’utente e così via. La novità è appunto che gli utenti verificati saranno in qualche modo monitorati anche in ciò che fanno fuori dalla piattaforma. Per capire, in modi certo piuttosto scivolosi, se siano in grado di rispettare quelle indicazioni anche nella vita reale. Viceversa, addio all’agognato distintivo di verifica.
Per fare un esempio, un utente verificato che pubblichi banali foto di cuccioli o rilanci articoli di tenore neutrale e poi organizzi una manifestazione di stampo nazifascista be’, in quel caso non sarebbe bloccato o sospeso da Twitter (perché lì sopra avrebbe formalmente rispettato le regole) ma, per un discorso di allineamento a certi valori, non potrebbe mantenere il badge. Questo lo snodo. Una policy un po’ arzigogolata da applicare, non c’è che dire, ma con una sua logica.
Gli ostacoli fondamentali
La difficoltà fondamentale è capire come si possa portare avanti questa sorta di pedinamento offline. Probabilmente lo si potrebbe condurre solo confidando su fonti pubbliche, come giornali e altro, e solo per personaggi di una certa levatura nazionale. Altrimenti non se ne comprendono davvero i meccanismi: forse Twitter intende assoldare un esercito di investigatori privati?
La frase-chiave nelle nuove policy del social recita che “le ragioni per la rimozione possono riguardare comportamenti su Twitter e fuori”. Si capisce che, per la prima volta nella storia dei social network, il gioco cambia alle radici e per difendersi dalle contestazioni che le vengono mosse in continuazione una di quelle piattaforme pretende di proiettare le sue condizioni d’uso al di fuori del proprio “recinto dorato”. Un passo inedito.
Ovviamente, quelle regole prevedono una “sanzione interna”, chiamiamola così, cioè in questo caso la rimozione del badge di verifica, e per questo possono avere un senso. D’altronde in questa sorta di elementi di gamification e ufficialità i siti possono muoversi come meglio preferiscono. Tant’è che, negli anni, i parametri per l’assegnazione di quei distintivi – un po’ ovunque, non solo sull’uccellino celeste – sono cambiati diverse volte.
Il caso estremo
Uno dei casi che hanno condotto la piattaforma di San Francisco a questa scelta è stato quello del suprematista Jason Kessler, noto su Twitter come @TheMadDimension, organizzatore della drammatica manifestazione di Charlottesville dello scorso agosto, in Virginia, quella organizzata contro la rimozione della statua del generale Robert Lee da un parco cittadino che ha messo insieme suprematisti bianchi, nazionalisti, neoconfederati, neonazisti e diversi appartenenti a milizie assortite.
Come forse si ricorderà la manifestazione, dalla quale il presidente Donald Trump ha faticato moltissimo a prendere le distanze, si è conclusa con una vittima e 19 feriti provocati dall’irruzione in automobile di una persona legata ai manifestanti su un gruppo di contromanifestanti. Il 34enne Keller, dopo aver rimosso un primo account, aveva in seguito ottenuto la verifica su un secondo profilo. Se online, nonostante il tenore dei contenuti diffusi, la sua presenza sembrava accettabile, le azioni messe in pratica offline – fra cui, appunto, la marcia Unite the Right – hanno creato diversi problemi alla piattaforma. “Il sistema non funziona e fa ripensato”, ha spiegato Dorsey riferendosi appunto alle procedure di verifica. Nel frattempo quel badge è sparito. Come molti altri, fra cui quello dei giornalisti e attivisti alt right Laura Loomer e Richard Spencer.
Le degradazioni e il programma da rivedere
Così, mentre partono queste “purghe”, anzi queste “degradazioni” per dirla in gergo militare, il programma è stato bloccato in attesa che vengano pensate nuove policy per l’assegnazione dei distintivi. Nel frattempo tutti gli altri utenti certificati (sarebbero circa 290mila, fra di essi anche chi scrive) saranno sottoposti a una nuova analisi.
Difficile capire come questa soluzione intermedia sarà sviluppata. In che modo, cioè, Twitter “indagherà” sulle attività offline dei suoi utenti verificati. Il punto, però, è chiaro: più che una verifica dell’identità, il badge diverrà sempre più una sorta di investitura in linea con i valori della piattaforma.