Ha fondato uno dei primi fondi sul deeptech in Italia. Conosce bene il nostro Paese, ma anche la Francia. «Parigi è stata capace di slegare il progetto startup dagli avvicendamenti politici»
Le hanno viste tutte. Hanno cavalcato le ondate della tecnologia, setacciando gli ecosistemi di mezzo mondo. Le crisi per loro sono momenti di correzione, inevitabili nel ciclo dell’innovazione. «Dal metaverso alle cripto sono stato sempre tiepido. Sull’intelligenza artificiale vedo invece un potenziale impatto su tanti settori e in altrettanti prodotti e servizi». Fausto Boni, General Partner di 360 Capital, fondo di Venture Capital italo-francese, è il protagonista di questa nuova puntata del percorso che stiamo compiendo insieme a investitori e investitrici, protagonisti della trasformazione digitale. A loro spettano le responsabilità di puntare sulle persone giuste, prima che sulle tecnologie disruptive.
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Sopravvivere alla bolle
«Quando c’è crisi i turisti delle startup se ne vanno – argomento Boni – quelli che invece investono perché ci credono rimangono». Il General Partner di 360 Capital ha vissuto uno dei momenti più drogati dall’hype del digitale: erano gli anni ’90, quando bastava appiccicare parole chiave come web e internet sul marchio di un business per posizionarsi e sperare in un investimento. «Ero a New York quando Amazon stava per quotarsi in Borsa». In Europa neppure si poteva immaginare la rivoluzione che Jeff Bezos aveva avviato in un garage di Seattle, impacchettando e vendendo libri giorno e notte grazie al web. Ma tra le Big Tech del futuro c’era anche tanta fuffa.
«Ho lavorato per quattro anni negli USA a McKinsey. È stato in quel periodo che ho notato il fenomeno del digitale, e mi sono convinto che non solo si sarebbe esteso, ma che avrebbe raggiunto l’Europa con modelli autoctoni». Il vecchio continente, e l’Italia in particolare, non era certamente terra di Venture Capital. Rientrato in patria, Boni ha speso parecchie domeniche con amici e colleghi per studiare i trend, capire le innovazioni su cui i primi team stavano lavorando. Hanno iniziato un lento percorso di due diligence informale, per capire quale fosse lo spazio di investimento disponibile. Col Visti nel 2023, quegli esordi dell’ecosistema restituiscono un clima e un’atmosfera pionieristici, alimentati da persone appassionate e di cui la stampa nemmeno si curava.
Pionieri del VC
«In Europa c’erano meno di 10 fondi VC, per rendere l’idea». E in Italia, dobbiamo esserne orgogliosi, nel 1997 è nato uno dei primi: 360 Capital. Una realtà italo-francese, che ha unito Stati in partenza molto simili fra loro, ma che ben presto hanno preso strade e velocità diverse. «L’80% del nostro portfolio è composto da aziende sparse tra Italia e Francia. Globalmente abbiamo 500 milioni di euro in gestione su quattro fondi attivi, dal seed al Serie A». I settori spaziano in verticali come Deeptech, B2B process automation e mass consumer disruption.
In più riprese ci è capitato di affrontare il confronto tra Italia e Francia, Paesi di primo piano a livello politico ed economico, eppure molto distanti quando si parla di rapporto con l’innovazione. Fausto Boni, che la Francia l’ha conosciuta per lavoro, ci racconta quando tutto è cambiato Oltralpe, consentendo a Parigi di guadagnare terreno e permettersi una condizione di rilievo tra i paesi leader in Europa. «Francia e Italia alla fine degli anni ’90 avevano condizioni di partenza simili. Poi è successo che il governo francese ha iniziato a investire. Uno dei primi a farlo è stato Sarkozy, quando ancora era ministro delle Finanze».
Perché in Francia è diverso
La sfida sull’innovazione ha assunto anche contorni politici, in una Francia che fin dal Secondo Dopoguerra ha cercato di affermarsi come Paese leader in Europa, a volta anche sfidando il ruolo dominante degli Stati Uniti nel vecchio continente. «Si sono dati da fare per far crescer un piano a lungo termine, mettendo soldi». Quegli inizi ricordano molto i nostri, qualche anno fa, con il lancio del Fondo Nazionale Innovazione. «In Francia però sono partiti 20 anni fa».
Ce ne siamo occupati soprattutto nel corso dell’ultima campagna elettorale, a settembre 2022, quando StartupItalia ha raccolto i pareri di rappresentanti dell’ecosistema dell’innovazione. Moltissimi interventi hanno fatto appello alla politica tutta affinché trattasse le startup non come un terreno divisivo o polemico, ma come punto di incontro su cui vi possa essere un’unanime visione per costruire un paese competitivo, che crea lavoro e ricchezza grazie ai giovani e ai talenti. «La Francia è stata capace di slegare questo progetto di medio-lungo termine dagli avvicendamenti politici. I vertici di queste strutture sono stabili. In Italia, purtroppo, ogni volta che cambia la politica è il disastro».
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Vita da VC
Nelle interviste ai venture capitalist spesso emerge che, così come per gli imprenditori e le imprenditrici, a muovere questi professionisti dell’innovazione è sempre la passione. Per un argomento, un tema, una tecnologia. «Pensi di averle viste tante dopo tanti anni – riflette Boni -. Le cose che ricordo con più soddisfazione non sono quelle su cui abbiamo guadagnato di più, ma le situazioni che siamo riusciti a raddrizzare». Per un VC il rapporto con i media e le notizie richiede poi un necessario distacco, per evitare di cadere preda degli hype. Alcuni anni fa tutti parlavano di Clubhouse (sparito dai radar), di NFT (che hanno perso appeal) e poi di metaverso (buzzword che rimbombava in ogni comunicato stampa).
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Oggi si parla di intelligenza artificiale, di ChatGPT. Anche in questo caso è meglio rimanere cauti? Sarà l’ennesima ondata che ci lasceremo alle spalle tra un paio di trimestri? Per Boni quanto visto finora lascia intendere il contrario:«Se consideriamo che siamo solo agli inizi di questi sviluppi è difficile non vedere una disruption massiccia».