È uno di massimi esperti di Cina e mercati emergenti, partner fondatore di Mindful Capital Partners. Alberto Forchielli commenta su StartupItalia l’affaire SVB. L’effetto domino è scongiurato?
«Mi trovo a Boston in questo momento e ho telefonato a tre amici che qui hanno startup: tutti hanno un conto aperto con la Silicon Valley Bank, perché era l’unico istituto che capiva le realtà innovative. Aveva una logica nel mercato. E ora dovrà nascere qualcosa di simile». A pochi giorni dal fallimento di SVB abbiamo intervistato Alberto Forchielli, Partner Fondatore di Mindful Capital Partners, per capire l’impatto nazionale e oltre confine del crollo di uno dei soggetti di riferimento per l’ecosistema startup americano. Il presidente USA Biden ha garantito che tutti i fondi sono stati messi al sicuro per clienti, startupper e piccoli imprenditori che avevano depositato somme di varia entità. Sulla stampa si legge di uno scossone che potrebbe avere un impatto ad ampio raggio, ad esempio in Cina o nel vecchio continente. Ma su questo fronte Forchielli è di tutt’altro avviso.
Alberto Forchielli, Partner Fondatore di Mindful Capital Partners
SVB in Cina
«Nella misura in cui il governo USA ha preso provvedimenti, direi che siamo a posto. Le altre banche non sono così verticalizzate come lo era la Silicon Valley Bank – argomenta Forchielli -. Avranno senz’altro perdite sui titoli, ma sono anche molto più professionalmente gestite». Che dire dunque di quanto si legge sulla stampa di settore sui timori che il fallimento di SVB possa generare il panico sull’altra sponda del Pacifico? L’istituto, in effetti, è stato uno dei primi soggetti ad atterrare in Cina, dove si è guadagnato una credibilità soprattutto agli occhi degli startupper. Ma la sua presenza nel paese asiatico è sotto forma di una joint venture con la Shanghai Pudong Development Bank. «Parliamo di un soggetto autonomo, con bilanci propri. Ecco perché al momento non è successo nulla».
Crisi così eclatanti, con una risonanza simile, non sono frequenti e quel che rende particolare la circostanza è il fatto che, questa volta, nel mirino non è finito l’ecosistema startup con casi di corruzione, bolle scoppiate o unicorni sopravvalutati. «È stato invece un classico errore da banca – ridimensiona Forchielli -. La dottrina bancaria spiega che si dovrebbe avere attività e passività coordinate in modo che le durate siano compatibili. Bisogna sempre calibrare per far fronte al ritiro dei depositi, è la bibbia del mondo bancario». Come ha spiegato Biden nella dichiarazione in cui ha gettato acqua sul fuoco, tutti i vertici di SVB sono stati licenziati. «Non avevano fatto un buon lavoro – aggiunge l’esperto – avevano bloccato gli asset a lungo termine e quindi non avevano liquidità».
Le responsabilità
Il fallimento della Silicon Valley Bank è una storia collegata profondamente al contesto di regole e norme degli Stati Uniti come ci descrive Forchielli. «Si sapeva che SVB aveva grosse perdite sui titoli. La gente così ha iniziato a ritirare. Per tamponare hanno sperato in un aumento di capitale da 2 miliardi, ma così è suonato il campanello d’allarme. E così in un solo pomeriggio i clienti hanno richiesto di ritirare decine di miliardi di dollari». Non essendoci, il crollo era inevitabile.
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Non saremmo dunque di fronte a una crisi che potrebbe contagiare il sistema bancario internazionale, come alcuni osservatori invece suggeriscono. Parte della responsabilità per quanto accaduto si deve invece secondo Forchielli alla Federal Reserve americana e alla precedente amministrazione Trump. «Una situazione come quella di SVB non sarebbe possibile in Europa. Il controllo che veniva esercitato sull’istituto era ridicolo. Questo perché Trump aveva fatto passare una legge per sburocratizzare le banche e così la soglia si è alzata. Risultato, soltanto poche grandi banche erano davvero controllate e tra queste non c’era la Silicon Valley Bank».
Il peggio è passato?
Stando così le cose, il fallimento non dovrebbe comportare ulteriori preoccupazioni per un panorama tech e Big Tech su cui già soffia un vento meno favorevole rispetto a qualche anno fa. «Non impatterà sul fund-rasinig, semplicemente perché questo non è un problema dovuto alle startup, ma a una banca che ha allocato male i soldi». Dunque nessun contagio, o effetto domino in vista al momento. Resta invece il nodo per capire quale altro soggetto potrà svolgere quel che di buono ha svolto finora la Silicon Valley Bank.
«Dovrebbe nascere un’altra SVB. Alcuni amici di Boston mi hanno spiegato che la banca forniva servizi essenziali. C’era davvero del valore in quel che faceva». Tra le eventualità in vista c’è quella di una specializzazione delle singole banche nell’ambito startup. «Magari un sportello privilegiato per le aziende innovative». Nel caos dello scorso fine settimana si è fatto avanti pure Elon Musk, che si è detto aperto all’idea di acquisire la SVB. «Ma credo sia improbabile al momento. Avrebbe più senso qualcuno come Warren Buffet, o magari Wells Fargo e Bank of America».
In Cina tutto bene
Se è davvero così ridimensionato l’onda d’urto di questo fallimento, in Cina che cosa sta succedendo? «Per quanto riguarda SVB non è successo nulla. La Cina continuerà a crescere fino a diventare la più grande economia del mondo, anche se vedo un graduale scollamento dell’economia occidentale da quella cinese». Scampato pericolo per le startup del gigante asiatico? «Il mondo tech cinese è gigantesco, rivaleggia con quello americano. Sono basate quasi tutte a Shenzhen e a Pechino. Il governo le incoraggia da matti: la maggior parte dei fondi VC sono pubblici. Le incentivano al punto che ci sono centinaia di startup sullo stesso business. C’è un problema di ridondanza in Cina».