L’Italia lasciata fuori dalla cabina di regia incassa che la linea di sovvenzioni non peserà sul proprio debito pubblico, ma chiede molti più fondi. Olanda, Svezia, Austria e Danimarca pronte a dare battaglia
Nel tardo pomeriggio di ieri, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e la Cancelliera tedesca Angela Merkel hanno presentato all’Europa un piano da cui partire per plasmare il Recovery Fund proposto nel pieno della pandemia da Parigi e subito accettato da Berlino, a patto che non si parlasse più di quegli Eurobond richiesti dall’Italia. Tramontata definitivamente l’ipotesi di mutualizzazione del debito (i covidbond di Giuseppe Conte avrebbero di fatto spalmato il debito sovrano italiano sul resto d’Europa, permettendo al contempo a Roma di emettere obbligazioni con tutti i vantaggi derivanti dalla tripla A comunitaria, una ipotesi inaccettabile per i fautori dei conti in ordine, che temono di dover pagare per la nostra fiscalità allegra), il fronte mediterraneo (Parigi) e quello rigorista (Berlino) sembrano essere arrivati a un compromesso. Compromesso, però, che rischia ora di scontentare tanto l’Olanda quanto l’Italia. Ecco allora cosa sappiamo sul Recovery Fund franco – tedesco.
Macron intanto diventa più debole in patria
Iniziamo da una notizia appena battuta dalle agenzie. Per una Francia più forte in Europa si registra un Macron più debole in patria. Se ieri monsieur le president era riuscito a riportare la Francia nella cabina di regia europea, cabina che negli ultimi tempi era stata occupata solo dalla Germania, oggi il presidente d’Oltralpe deve fare i conti in casa con il venir meno della sua maggioranza.
Assemblea Nazionale, l’emiciclo parlamentare francese in formazione “anti contagio”
In mattina si è infatti composto un nuovo gruppo parlamentare, il nono per la precisione, dal nome “Ecologia, democrazia, solidarietà”, che riunisce 17 deputati, di cui 7 in arrivo da LRM. Il partito di Macron scende così a 288 deputanti, sotto la soglia dei 289 necessari per aver la maggioranza assoluta al Palais-Bourbon. Un incidente di percorso che potrebbe anche ripercuotersi sulle decisioni francesi in campo comunitario. Ma è ancora troppo presto per dirlo.
Il Recovery Fund disegnato da Macron e da Merkel
L’intesa raggiunta da Germania e Francia è «su un piano temporaneo da 500 miliardi di euro che vengano dalle spese del bilancio Ue, quindi non prestiti, a diposizione delle regioni e dei settori più colpiti dalla pandemia». Lo ha spiegato Angela Merkel dopo il video-vertice con Emmanuel Macron.
I 500 miliardi «dovranno essere rimborsati, non dai destinatari», ma da tutti «gli Stati membri». «Non è un accordo dei 27 paesi dell’Unione europea, è un accordo franco-tedesco. Ma non c’è accordo fra i 27 se prima non c’è un accordo franco-tedesco», ha scandito l’inquilino dell’Eliseo sottolineando che la Francia è tornata ad affiancare la Germania alla plancia di comando dell’Unione. «Ora è la Commissione europea che deve presentare la sua proposta – ha continuato Macron -. Dovrà costruire un’unanimità attorno a questo accordo. C’è ancora del lavoro da fare, ma è un passo avanti senza precedenti».
Le reazioni in Europa
Tiepida la risposta di Palazzo Chigi («buon punto di partenza»), che soffre probabilmente lo scotto di non essere stato chiamato al vertice (dopo la dipartita dell’UK, l’Italia sperava di prendere posto nei trilaterali, ma a quanto pare sono diventati stabilmente bilaterali) e, soprattutto, confidava in un Recovery Fund che si aggirasse tra i 1.000 e i 1.500 miliardi di euro. L’agenzia di stampa economica Radiocor, il 23 aprile scorso, attribuiva al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, queste parole: «La dotazione del Recovery Fund dovrebbe essere di 1.500 miliardi e fornire grants (sovvenzioni) agli Stati membri. Le sovvenzioni sono essenziali per preservare il mercato unico, un ‘level playing field’ e assicurare una risposta simmetrica a uno shock simmetrico», pronunciate nel suo intervento in videoconferenza al Vertice Ue. Ma anche il vice presidente lettone Valdis Dombrovskis e il commissario all’Economia, l’italiano Paolo Gentiloni, hanno più volte chiesto un fondo per la ricostruzione da un triliardo (che con MES, investimenti della BEI e SURE arriverebbe poi a oltre 1500 miliardi).
Sebastian Kurz, cancelliere austriaco
C’è poi il fronte rigorista. A stretto giro dalla presentazione del Recovery Fund franco-tedesco, il premier austriaco, Sebastian Kurz, ha subito avvertito: «Ho sentito Olanda, Svezia e Danimarca e la nostra posizione non cambia. Devono essere prestiti, non aiuti».
Saranno prestiti o sussidi?
La domanda che tutti si pongono è: chi prenderà i soldi del Recovery Fund dovrà restituirli o potrà tenerseli, come se fossero un regalo? Cambia parecchio per un Paese come il nostro, che deve vedersela con un debito già mostruoso e destinato a esplodere ulteriormente a causa delle spese impreviste per il Coronavirus (Cura Italia, decreto Rilancio, ecc…).
Emmanuel Macron e Angela Merkel
I 500 miliardi di euro del fondo di rilancio franco-tedesco “dovranno essere rimborsati”, ha precisato ieri il presidente Macron rispondendo a una domanda dopo il vertice con Angela Merkel. “Non saranno però rimborsati dai destinatari” del prestito, ma “dagli Stati membri”. Una frase sibillina, che in un primo momento non ci aveva consentito di comprendere appieno il progetto Macron – Merkel in una delle sue parti essenziali: il Capo dello Stato francese intendeva dire che saranno prestiti o più genericamente debito comune, con la totalità degli Stati membri che si impegnano a riversare soldi nel fondo fino alla sua chiusura?
In un primo momento anche noi eravamo stati tratti in inganno dalle sue parole, che sembravano lasciare in gioco entrambe le possibilità. Il documento finale del vertice a due ha invece chiarito ogni dubbio: si pescherà da mercati di capitali, con emissioni comuni e il debito sarà appunto comune, benché circoscritto per portata e limite di tempo.
Perché per l’Italia è fondamentale che non siano prestiti
Attualmente, ci troviamo in una situazione parecchio scomoda: quella del debitore fortemente indebitato che deve continuare a indebitarsi per fare fronte a spese impreviste. Il rischio di andare definitivamente a picco non è mai stato così elevato. E a questo giro l’incapacità politica c’entra poco: è più un sommarsi di sfortune, disattenzioni cumulate alla nostra storica attitudine a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Non che l’Italia sia mai stato il Bengodi, s’intende, ma quando non si fa nulla per ridurre il fardello del debito si rischia poi di finire fuori strada più facilmente di chi invece ha gestito meglio le proprie finanze non appena le condizioni meteorologiche peggiorano. E ora il barometro segna tempesta.
Palazzo Chigi
La scorsa settimana abbiamo avuto due brutte notizie: tanto il SURE (la cassa integrazione comunitaria) quanto il MES a zero condizioni, benché a tassi fortemente agevolati, sono prestiti. Se prenderemo quei soldi, il debito aumenterà ancora. Ovviamente anche i finanziamenti della BEI sono soldi in prestito. Dei tre appigli che l’Unione europea ci ha fornito finora per tirarci fuori dal burrone, nessuno fornisce la salvezza auspicata. Ecco quindi perché un Paese come il nostro, con i titoli di Stato che pure vanno a ruba (altro debito) ma sono a un passo dal livello spazzatura per un numero sempre crescente di agenzie di rating, ha bisogno che il Recovery Fund sia fatto di sovvenzioni a fondo perduto e non di prestiti.
Chi decide sul Recovery Fund?
«Accolgo con favore la proposta costruttiva fatta da Francia e Germania. Riconosce la portata e le dimensioni della sfida economica che l’Europa deve affrontare e giustamente pone l’accento sulla necessità di lavorare su una soluzione con il bilancio europeo al centro. Ciò va nella direzione della proposta su cui sta lavorando la Commissione, che terrà conto anche delle opinioni di tutti gli Stati membri e del Parlamento europeo», ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Il piano della Commissione, che potrebbe anche differire da quello di massima Macron – Merkel, dovrà essere votato il 27 maggio dall’Europarlamento ma il via libera lo otterrà solo dai leader europei riuniti in Consiglio. L’Italia spera che la proposta della Commissione porti una dote raddoppiata, l’Olanda che i sussidi vengano tramutati in prestiti. Il percorso è dunque ancora lungo e accidentato.