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Dare a ragazze e ragazzi con Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) una possibilità concreta di lavoro e, di conseguenza, anche di maggiore socializzazione. L’obiettivo del lavoro inclusivo, infatti, è da sempre quello di creare contesti in cui ogni talento possa esprimersi al meglio. E così, durante la pandemia, proprio in un momento particolarmente delicato, Gioia De Angelis pensava a come abbattere quei muri che troppo spesso ancora rendono difficile l’inserimento professionale di persone con neurodiversità.

Il lavoro come strumento di integrazione sociale

Tutto nasce da Astuta Ability Academy, un’associazione di professionisti nel campo della disabilità, fondata nel 2021, con l’obiettivo di insegnare abilità mirate all’acquisizione di competenze lavorative per persone con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, valorizzando i loro talenti e fornendo supporto nella ricerca di un impiego che riconosca le loro capacità. Il passo successivo, dopo l’insegnamento e l’acquisizione di competenze specifiche, è facilitare l’inserimento lavorativo, offrendo supporto alle aziende del territorio nel processo di integrazione e creando nuove occasioni di impiego.

Una birra per brindare all’inclusione

«Spesso si parla di autismo in relazione ai bambini, tralasciando che poi queste ragazze e ragazzi passano alla fase adulta e hanno bisogno di affrancarsi, per quanto possibile, dal contesto familiare. Per questo abbiamo dato vita a un’associazione di promozione sociale, la Astuta Ability Academy, che permettesse di stare in società in maniera autonoma”, spiega a Startupitalia Gioia De Angelis, responsabile del progetto “S𝐞𝐧𝐳𝐚;𝐫𝐞𝐭𝐞” che a Civitanova Marche produce la “𝐁𝐢𝐫𝐫𝐚𝐜𝐜𝐚”.

«Come accade per tutti i giovani si deve iniziare cercando un lavoro che li renda autonomi. E così, al termine del percorso scolastico, abbiamo iniziato a valutare soluzioni lavorative in diversi contesti del territorio, come supermercati, panifici e simili. E’ a questo punto che ci siamo resi conto che non tutti potevano essere inseriti in posto di lavoro già presenti sul territorio e da lì ci è venuta l’idea di fare qualcosa noi, di creare un contesto protetto per chi non ha la possibilità di essere inserito, almeno non da subito, in altri situazioni».

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Socializzazione e convivialità 

Nasce così la scelta di produrre birra per puntare su qualcosa che, oltre alle buone intenzioni, fosse sostenibile a livello economico. Un progetto importante, concretamente fruibile, che richiama anche una certa convivialità. 

«Bere una birra insieme può rappresentare un’occasione di socializzazione, che spesso manca», sottolinea De Angelis. «Si tratta di un processo aziendale a 360 gradi, che parte dalla produzione, dove per il momento ci siamo fatti affiancare da alcuni professionisti del settore, per passare all’imbottigliamento, all’etichettatura e al trasporto. Abbiamo provato a rendere il meno meccanizzati possibile tutti i processi produttivi in modo che, stabilendo una routine, i ragazzi e le ragazze possano occuparsene fino in fondo, in base alle singole competenze».

Per realizzare une vera indipendenza, «abbiamo fatto in modo che le ragazze e i ragazzi potessero arrivare con i mezzi pubblici da casa al posto di lavoro, senza dover dipendere dai genitori per il trasporto. L’importante è creare abitudini che possano essere ripetute tutti i giorni in sicurezza, conoscendo il percorso da fare e le variabili in campo»

Imparare a gestire gli imprevisti

In questo processo di crescita una parte importante è l’aiuto nella gestione dell’imprevisto: «Se posso fare un esempio molto concreto, a uno dei nostri ragazzi è capitato che il controllore gli chiedesse il biglietto sull’autobus, mentre veniva al lavoro. Lui ha detto di non averlo e gli è stata fatta una multa. In realtà aveva l’abbonamento, ma visto che il controllore ha chiesto ‘il biglietto’ lui non gli ha mostrato il suo titolo di viaggio, che era valido».

«Il processo produttivo della birra in sé rimane lo stesso, con gli stessi metodi, ma è quello che c’è lungo il percorso che va adattato e cambiato, cercando di strutturarlo per chi può avere esigenze diverse», conclude la responsabile del progetto. «Si tratta di un percorso di apprendimento lungo, che non inizia e non si esaurisce al birrificio. Va fatto in un’ottica di concretezza, senza retorica, domandandosi da dove si parte e che cosa ciascuno può fare: solo così si diventa una risorsa autonoma. In questo senso servono figure educative specializzate, pronte a comprendere la singola persona e le sue caratteristiche individuali».