La sbrisolona, il dolce tipico di Mantova, sposa l’inclusività e così in città nasce SbrisolAut, un’impresa a impatto sociale attiva dal 2022. L’obiettivo? Creare opportunità di lavoro a lungo termine per persone con disturbo dello spettro autistico, che al momento sono otto, inserendole nella produzione di prodotti di pasticceria artigianali di alta qualità e tipici del territorio.
Gli ingredienti di SbrisolAut
SbrisolAut unisce tre elementi fondamentali: il tentativo di garantire professionalità e occupazione a persone che possono essere escluse dal mondo lavorativo, la valorizzazione dei prodotti tipici della tradizione dolciaria italiana e l’utilizzo di materie prime provenienti da filiere biologiche.
Ad ideare il progetto è stata Laura Delfino, psicologa, che si occupa di autismo dal 2002, quando ha inizia a lavorare in una fattoria nell’Oltrepò Pavese insieme a giovani con questo tipo di disabilità. «La fattoria era un luogo di vita ma anche di lavoro – spiega a Startupitalia – . Da questa esperienza ho capito che ragazzi e ragazze possono lavorare in maniera efficace in un contesto strutturato, che risponda ai bisogni della persona, ma che potenzi anche le abilità lavorative». Il punto è decisivo: la strutturazione dei contesti di lavoro è centrale per creare benessere.
Un cambio di prospettiva
Laura Delfino inizia così a guardarsi attorno. Dopo aver conosciuto le realtà di Auticon, azienda di consulenza informatica che assume solo persone con disturbo dello spettro autistico con talento tecnologico, e della nota PizzAut, decide di fondare SbrisolAut, mettendo alla guida un team di professionisti, e non di genitori. Una scelta dettata da un preciso cambiamento di prospettiva: «Non devono essere solo i genitori che si impegnano per costruire il futuro dei figli, ma anche i professionisti, che hanno bene in mente non solo i punti di forza e debolezza delle persone con disturbo dello spettro autistico, ma anche quali aspetti dell’ambiente possono diventare barriere e quali invece strumenti di facilitazione».
SbrisolAut e il diritto al lavoro
SbrisolAut afferma dunque il principio del diritto al lavoro e a un contesto lavorativo che crei benessere per tutti e tutte. E così un laboratorio di pasticceria diventa un modello di impresa profit replicabile. Perché la natura commerciale? Per garantire la sostenibilità economica dei posti di lavoro, senza dipendere da bandi o da azioni benefiche. «Non è corretto che ci si occupi di autismo solo nel sociale. Vogliamo che le aziende inizino a pensare che questi ragazzi e ragazze possono lavorare».
«I contesti possono disabilitare le persone»
Il discorso del contesto lavorativo è centrale. «Quando ho visto che i giovani con disturbo dello spettro autistico restavano senza lavoro, e con la percezione di essere inadeguati, perché alcune aziende telefonavano per sottolineare le difficoltà relazionali, ho capito che dovevamo fare qualcosa in termini lavorativi». Il passo verso la consapevolezza è breve: «Non sono le persone disabili, ma sono i contesti che possono disabilitare le persone e lo fanno tutte le volte che viene detto loro di non essere adeguate per un determinato luogo di lavoro».
No agli stereotipi
I primi passi di SbrisolAut sono all’insegna dell’abbattimento di barriere e stereotipi. È la cooperativa sociale “Sapori di libertà” a fornire un laboratorio di pasticceria all’interno della Casa circondariale di Mantova e anche un altro all’esterno, dove sono occupati ex detenuti. «Sono stati proprio loro gli insegnanti dei nostri giovani», spiega Laura.
Anche la formazione in SbrisolAut è inclusiva. Innanzitutto, è presente il supporto di due job coach, figura che secondo Laura Delfino «dovrebbe essere fornita dallo Stato». In secondo luogo, la formazione è stata adattata al funzionamento autistico: «Noi la chiamiamo rivoluzione dolce, perché è una rivoluzione di prospettive – spiega la fondatrice del progetto -: non ci si deve più domandare se la persona è adatta a quel tipo di contesto ma se il contesto è adatto alla persona. Se non lo è, cosa si può fare per adattarlo?».
Cosa deve sapere un’azienda inclusiva?
Cosa deve sapere allora un’azienda? «Penso sia fondamentale che l’azienda conosca l’autismo e il suo funzionamento, in modo d poter prendere alcuni accorgimenti, dalla posizione della postazione alla riduzione delle luci, dall’insonorizzazione di alcune stanze al linguaggio. «La nostra comunicazione è piena di barriere: usiamo modi dire, sottintesi, metafore, sarcasmo; queste barriere non consentono a una persona con disturbo dello spettro autistico di comprendere fino in fondo le intenzioni degli altri». Per farsi capire bene, bisogna quindi esprimere chiaramente le proprie intenzioni e dare informazioni precise, per esempio per quanto riguarda gli orari.
Agire secondo le specificità di tutte e tutti
La psicologa è chiara in proposito: «Servono la riduzione di quell’individualismo che sta caratterizzando la nostra comunità. Se si iniziasse a pensare e a progettare tenendo in considerazione le varie diversità, probabilmente avremmo comunità più sensibili e attente alle persone».
Non serve essere «super bravi», come invece richiede la società contemporanea. «La Costituzione afferma che i cittadini hanno diritto al lavoro, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, non che bisogna essere super bravi. Iniziamo a pensare che tutti possiamo fare qualcosa a beneficio della comunità e quindi anche nostro. Ognuno di noi può agire per il bene altrui: diamoci una mano e lavoriamo».
SbrisolAut, il grande sogno
I sogni di Laura Delfino sono due: «L’introduzione di contratti a tempo indeterminato, che diano serenità ai dipendenti e alle loro famiglie, e la replica di questo modello anche in altre città, dove valorizzare contemporaneamente il lavoro delle persone e i prodotti tipici locali».
Il sogno più grande è però volto all’inclusività: «Che si assumano le persone in base alle capacità, indipendentemente dall’autismo». In questo modo si può realizzare il desiderio riportato da un ragazzo con disturbo dello spettro autistico, che poi è il desiderio di tutti e tutte: «Vorrei che le aziende non vedessero il mio autismo ma quello che so fare».