È tra le 100 donne italiane più influenti al mondo. Ha insegnato in Bocconi, condotto un programma su Sky, e ora lavora nel trading a Dubai. Su LinkedIn spiega alle persone come trovare lavoro
«Diciamocelo: chi è che vorrebbe davvero tornare indietro? Non è un tema economico, ma di felicità. Quando pensavamo di non essere liberi durante la pandemia ci siamo resi conto che lo eravamo di più. È un tema che fa venire i brividi». L’indietro, lo avrete capito, è quando tutto era in presenza. Da Dubai, dove vive, la Financial Coach Silvia Vianello ha risposto alle domande di StartupItalia sul lavoro e sulle novità che hanno stravolto (per molti in meglio) la quotidianità delle persone dopo la pandemia. «Alla fine della storia la maggior parte degli imprenditori contrari allo smart working richiede la presenza per controllare i dipendenti. Manca la fiducia. Non ha senso andar in ufficio per stare su Zoom». Inserita da Forbes tra le 100 donne italiane più influenti al mondo, Silvia Vianello è nata a Noventa di Piave e nel corso della sua carriera (o carriere) ha lavorato per grandi aziende come Maserati, insegnato in Bocconi a Milano, e condotto programmi televisivi. Ha vissuto in più parti del mondo, da Parigi, Houston e New York, per poi stabilirsi negli Emirati Arabi.
Leggi anche: Unstoppable Women, le 1000 donne che stanno cambiando l’Italia
Se ti dovessi descrivere in poche parole?
Versatile. Mi sono reinventata un sacco di volte. Quando ero in Italia alla mattina insegnavo in Bocconi, il pomeriggio ero su Sky a presentare un programma, alla sera facevo consulenze. C’è stato poi un periodo in cui mi divertivo a condurre eventi. Rispetto ad oggi facevo più fatica a bilanciare lavoro e vita privata, ma non ho mai avuto il pallino della carriera. Semplicemente mi piace fare tante cose. Al momento mi occupo di trading e opero sulla Borsa di Wall Street.
Sei molto seguita su LinkedIn. Nella tua bio scrivi che aiuti le persone a trovare lavoro
Bisogna conoscere tutta una serie di meccanismi per farlo. In Italia è difficile da scardinare la modalità del passaparola: tantissime piccole aziende, quando cercano personale, chiedono a chi conoscono. Se vogliamo invece cercare online dobbiamo entrare nella giungla. Su LinkedIn, per esempio, accade che nella maggioranza dei casi le application vengono scartate da software che filtrano i CV. Sono gli ATS (Applicant tracking system, ndr). Alcuni di questi filtri sono impostati dai recruiter, altri in automatico. L’ATS dà priorità a chi risiede nella stessa località della sede aziendale. Se ci si vuole candidare come social media manager, più volte la parola “social media” apparirà nel cv e più alta sarà la possibilità di essere tracciati.
“Credo che ciascuno debba investire almeno 5mila euro in un budget annuale in formazione”
Da anni però leggiamo che i CV non servono più a nulla.
Se vogliamo stare in questa giungla servono eccome. Se migliaia di persone mandano video cv, a meno che non ci siano software per filtrarli, è chiaro che i recruiter non avranno il tempo tecnico per fare l’on-boarding in tempi rapidi. Il curriculum è ancora importante.
Chi descrive il mondo del lavoro degli ultimi anni non può non tener conto delle Grandi Dimissioni. Ma cosa c’è d’altro?
Su LinkedIn ho scritto dei boomerang employees e dei quite quitter. Questi ultimi sono lavoratori talmente scontenti della propria situazione che non fanno più l’extra mile. Hanno smesso di lottare, o magari stanno portando avanti altre attività in parallelo. Ma ci sono anche le aziende quite firing, ovvero con dipendenti mummie, che per qualche motivo, che sia legale o sindacale, non possono licenziare. I boomergan employees invece sono quelli che se ne erano andati e alla fine sono tornati. Dopo un anno, o anche meno, si sono riappacificati con l’azienda, magari con posizione e stipendio migliori.
Negli ultimi anni è cambito anche il tempo che aziende e persone dedicano al lavoro
Leggevo di 70 aziende in UK, con migliaia di dipendenti, che hanno abbracciato la cultura del “lavoro quattro giorni a settimana”. Il 76% non ha riscontrato cali di produttività, anzi la felicità ha fatto sì che le persone riescano a condensare tutto in meno giorni. A Dubai già alcune aziende lavorano fino al venerdì mattina, tendenzialmente da casa. Si può fare di più con meno. Come? Attraverso la felicità lavorativa. Da noi c’è il ministro della felicità e quello dell’intelligenza artificiale che collaborano per un miglioramento continuo nelle condizioni di vita dei lavoratori.
“Se una persona pensa di essersi laureato e quindi di saper fare, sbaglia. Molti dicono che la formazione continua costi, ma io ribatto: quanto costa l’ignoranza?”
Come presenteresti Dubai a chi non la conosce?
C’è meritocrazia e non c’è discriminazione nei confronti delle donne. Questo discorso vale per gli europei: siamo tenuti in palmo di mano e veniamo privilegiati. A Dubai la legge viene rispettata nei minimi dettagli, ma oltre alla cultura del rigore c’è anche quella della felicità. Durante la pandemia abbiamo chiuso soltanto tre settimane, con un numero di morti più basso in percentuale rispetto ad altri paesi. In altre parti del mondo pesa la cultura del massacro psicologico. Stando lontana dall’Italia ho imparato che ci si può svegliare felice la mattina, senza farsi ammorbare. Ho abitato in posti in cui la cultura è diversa, non ci si lamenta, le news non ti bombardano. Si vive più sereni.
Tornando al capitolo lavoro, concentriamoci su università e formazione continua.
In Italia ho lavorato tanti anni in università e c’è ancora un grande gap tra teoria e realtà. Ci sono business school molto valide, ma in generale la situazione, soprattutto nelle pubbliche, è svantaggiata da stipendi e borse di ricerca non adeguati. Parliamo di elementi fondamentali per migliorare e incrementare la conoscenza in un paese. Poi sulla formazione aggiungo: se una persona pensa di essersi laureato e quindi di saper fare, sbaglia. Quando ti laurei sai qualcosa, che è diverso dal saper fare qualcosa. Molti dicono che la formazione continua costi, ma io ribatto: quanto costa l’ignoranza? Credo che ciascuno debba investire almeno 5mila euro in un budget annuale in formazione. Mi riferisco a libri, eventi, corsi, tutto ciò che serve a imparare. Non ci si può aspettare che qualcuno investa su di noi.
Nel nostro format Italia 2022 in diversi hanno avanzato l’ipotesi di attivare free economic zone per potenziare la crescita e lo sviluppo. Come a Dubai. Funzionerebbe secondo te?
Qui è stata la loro più grande fortuna. Ci sono condizioni di partenza diverse. A Dubai sono passati da 100mila abitanti a 10 milioni, la maggior parte stranieri. C’era necessità di fare investimenti importanti per convincere la gente ad abitare in mezzo al deserto. In Italia ci sono gli imprenditori, ci sono le persone, è pieno di talenti, ma sono strozzate dalle condizioni. Secondo me non è tanto la free zone la chiave: il tema è fare un piano che permetta a chi vuole innovare di farlo, dando incentivi veri. Così le free economic zone sarebbero inserite in un piano di sviluppo più vasto.
Un consiglio per chi vuole dare una svolta alla propria carriera?
Bisogna studiare, capire e copiare le persone che fanno la vita che vorremmo fare noi. Nonostante il mio Phd in economia e finanza, non ero pronta a lavorare sui mercati finanziari. L’unico modo è stato imparare da errori e successi degli altri. Ho studiato da trader esperti come Emanuele Bonanni. Io volevo vivere al mare e per farlo ho capito che non c’è successo senza sforzo.