Quali sono i temi legati al futuro che dovrebbero interessare Parlamento e Governo? Con StartupItalia nasce un’agenda condivisa che guarda alla nuova imprenditorialità
Il caro-energia che incide sui consumi di privati e aziende, le pressioni inflazionistiche globali, i venti di guerra che soffiano dall’est-Europa e impattano su contesti economici internazionali. E ancora l’emergenza sanitaria del COVID-19 che fatica ad allontanarsi completamente e che incombe su una stagione invernale ancora tutta da scrivere. Così questa fase storica segnata dalla “prevedibile imprevedibilità” – così ha definito l’Economist questo momento così fragile e incerto– e da una serie di emergenze senza precedenti si inserisce in una fase cruciale per l’Italia.
Abbiamo deciso di proporre un viaggio per comprendere quanto i temi dell’innovazione e del futuro siano presenti nei programmi dei vari schieramenti e delle varie formazioni politiche in campo, ma anche quanto la politica dovrebbe mettersi in ascolto di coloro che si occupano di futuro, trattando gli argomenti infrastrutturali e culturali legati al digitale. E ancora sicurezza informatica, IoT, machine learning, AI, digital health, smartworking e lavoro connesso, internazionalizzazione, sostenibilità.
Da lunedì 5 settembre ogni giorno stiamo ospitando il parere di un esperto, accademico, startupper, investitore, professionista che ci suggerisce su un’azione da proporre alla classe politica. Lo abbiamo fatto fino al giorno delle elezioni e continueremo a farlo in queste settimane. Obiettivo: stilare un’agenda condivisa sulle priorità legate a digitale e nuova imprenditoria da parte dell’ecosistema italiano dell’innovazione. Un modo per avviare un confronto con chi si candida a governare il Paese nei prossimi anni. Giovedì 22 settembre ci siamo ritrovati in live streaming per condividere l’agenda con tutta community. Se hai voglia di dire la tua scrivici su [email protected]
Pasqualino Monti (Autorità di sistema portuale del Mare di Sicilia Occidentale): innovare il sistema dei porti
«I sistemi portuali rappresentano un elemento nevralgico per il Paese: basti pensare alla crucialità del trasporto legato al turismo, un pilastro portante della nostra economia, e alla logistica che movimenta il Made in Italy, volano dell’internazionalizzazione, nonché materie prime fondamentali per l’impresa e le attività quotidiane. Tuttavia, la mancanza di un Piano Industriale di lungo periodo ha determinato la polverizzazione del comparto, generando colli di bottiglia che gravano sui nostri conti per circa 70 miliardi di euro l’anno: una cifra che può essere equiparata a due manovre finanziarie. Per ottimizzare le nostre risorse e sfruttare al meglio la capacità del settore, è necessario che il prossimo esecutivo valorizzi la strategicità dei sistemi portuali e intervenga in modo determinante,
Tullio Pirovano (Lutech): cybersecurity settore fondamentale
In un contesto in cui la transizione digitale è divenuta prioritaria, è fondamentale che la stessa venga accompagnata da una crescente cultura del concetto di cybersecurity e soprattutto da una consapevolezza, estesa all’interno a tutti i livelli dell’azienda, in merito ai rischi latenti che il nuovo panorama internazionale non fa altro che enfatizzare. Le analisi di settore, come ad esempio il recente rapporto Clusit, confermano la crescita costante ed inesorabile degli attacchi informatici alle nostre aziende. Dall’ultimo rapporto Clusit, è emerso infatti che solo nel primo semestre del 2021 si sono verificati oltre mille attacchi informatici e per quanto riguarda la loro distribuzione in base alla gravità, nel primo semestre 2021 gli attacchi gravi con effetti molto importanti sono il 74% del totale, mentre nel 2020 erano il 49% del campione. La cybersecurity rappresenta un settore fondamentale nello scenario nazionale ed è necessario prevedere investimenti a lungo termine per l’attuazione di processi, soluzioni, servizi e strumenti che consentano di poter dotare le aziende del giusto atteggiamento per trasformare la gestione del rischio non più in qualcosa da rincorrere costantemente ma in un approccio consapevole e sistematico che entri nel DNA e nel Business as usual.
Stefania Pompili (Sopra Steria): politiche attive per le STEM
Il numero dei laureati in materie scientifiche e tecnologiche, le cosiddette STEM, non riesce ancora a soddisfare le esigenze delle imprese e della pubblica amministrazione. Solo l’1,6% degli studenti con diploma di laurea, tra i 20 e i 29 anni, ha studiato scienze, tecnologia, ingegneria, matematica o affini. Il mismatch cresce ulteriormente se si fa una differenziazione di genere, considerando solo le studentesse. I numeri, in questo caso, si riducono ulteriormente. La situazione è allarmante poiché genera un disallineamento tra le richieste dell’impresa, legate alla digital transformation e quindi allo sviluppo economico del Paese, e la preparazione dei laureati sul mercato. L’ultimo report di Unioncamere, che analizza le previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine, mette in evidenza un dato che deve farci riflettere: il settore del digitale necessiterà di circa 22.000 risorse nel 2023 che diventeranno oltre 60.000 nel periodo che andrà dal 2024 al 2026. E’ evidente che bisogna intervenire in modo incisivo per sanare questo gap. Servono politiche attive di informazione e coinvolgimento dei più giovani, fin dalle scuole primarie, per scardinare i pregiudizi di genere legati alle STEM e dotare da subito le classi di strumenti avanzati e competitivi per un approccio senza barriere al digitale.
Massimiliano Magrini (United Ventures): complementarità virtuosa tra capitale pubblico e privato
Benedetto Di Salvo (Italtel): investire su formazione e nuove competenze
Il cambio di paradigma nello sviluppo – incentrato sulla sostenibilità – e la fase di profonda evoluzione tecnologica impongono alle imprese di spingere sulla digitalizzazione dei sistemi per restare competitive sul mercato. Dall’altro lato si richiede alle istituzioni un ammodernamento delle infrastrutture e delle policy, capaci di restare al passo con i tempi, favorendo e non frenando l’innovazione. Per questo, ora più che mai, investire nella formazione delle persone risulta fondamentale per sostenere la crescita. Le aziende tech possono giocare un ruolo chiave nello sviluppo delle competenze digitali, sia con iniziative destinate ai lavoratori già dipendenti, sia puntando alle nuove generazioni, integrando la formazione accademica con percorsi dedicati, per esempio attraverso academy interne. In questo senso, è fondamentale creare sinergie tra settore pubblico e privato, specie in una fase in cui la disoccupazione giovanile è a livelli alti e preoccupanti. Percorsi di reskilling, partnership con istituti accademici e università, certificazioni e sviluppi di competenze sono gli strumenti prioritari da mettere in campo subito, per non restare indietro.
Massimiliano Giansanti (Confagricoltura): puntare sull’innovazione per la crescita del settore
Confagricoltura guarda con favore al nuovo scenario politico in corso di definizione. Tra le priorità che il prossimo governo dovrà affrontare, vi sono certamente la stabilizzazione del reddito degli agricoltori e l’incremento della potenzialità produttiva del comparto, anche attraverso il digitale, per farsi garante della sicurezza alimentare a favore dei consumatori italiani ed europei. Stante l’ultimo Censimento dell’ISTAT, le aziende agricole del futuro si presentano come imprese di dimensioni maggiori rispetto al passato, che mettono al centro della propria strategia l’innovazione. Imprese impegnate nella diversificazione delle proprie attività, a partire dalla produzione di energia rinnovabile. L’innovazione, dunque, si presenta come un asset chiave per l’evoluzione del comparto dal momento che strutture più organizzate portano anche un innalzamento dell’offerta di lavoro. Investire sul digitale e “allungare il passo” verso modelli sempre più inclusivi e sostenibili è una necessità. Ad esempio è ancora limitata la presenza di giovani agricoltori che, insieme all’imprenditoria femminile, sono in grado di dare una maggiore spinta verso la modernizzazione. Per questo salto in avanti, è necessario intervenire, attraverso politiche attive, con ogni sforzo possibile per tutelare un settore nevralgico per la nostra economia.
Ilaria Fava (Roma Startup): semplificare processi di investimento
Molto è stato fatto negli ultimi anni per far partecipare l’Italia alla scena internazionale dell’Innovazione, ma almeno altrettanto rimane ancora da fare. In primo luogo, ci deve essere una progettualità di lungo periodo: sostenere l’innovazione deve essere un obiettivo primario e condiviso, come è stato per la Francia, da portare avanti con continuità e chiarezza. E con un’azione sinergica tra tutti gli stakeholders. Questo obiettivo va perseguito rafforzando gli strumenti di stimolo agli investimenti nel settore. Gli incentivi fiscali si sono dimostrati strumenti efficaci per stimolare l’angel investing (che è una fondamentale risorsa – economica e di competenze – nelle fasi iniziali delle startup), occorre darvi continuità e stabilità d’azione, prevedendo incentivi – privi di bizantinismi – che abbiano un orizzonte temporale di efficacia almeno quinquennale. E rafforzarli: sarebbe opportuno seguire l’esempio inglese ed inserire un meccanismo di detassazione dei capital gain, introdurre un’ulteriore detrazione in caso di fallimento e passaggio a perdita dell’investimento (in Italia opera un regime sostanzialmente opposto), ed aumentare l’importo massimo detraibile con riferimento ad investimenti in società ad alta attività di ricerca e sviluppo. Occorre poi semplificare il processo di investimento eliminando tutti gli elementi di incertezza: negli Stati Uniti l’utilizzo di strumenti contrattuali semplificati quali il SAFE hanno contribuito alla crescita degli investimenti in fase seed, riducendo costi e tempi di transazione per tutte le parti. Questo richiede in primis slegare i benefici fiscali dalla formalità della chiusura dell’aumento di capitale (come avviene attualmente) per legarli a quelli del trasferimento dei fondi (a titolo di capitale di rischio) da parte dell’Investitore. Sempre sul lato investimenti occorre dare continuità all’azione di CdP, aumentando sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo il numero dei fondi VC italiani e la loro capacità di investimento, sostenendo i first time funds ed assicurando una maggiore rappresentanza femminile nei comitati di investimento. L’innovazione si alimenta nel confronto e richiede dinamismo ed una capacità diffusa di fare rete sia a livello nazionale, che internazionale. E non può che coinvolgere tutti i settori dell’economia come della pubblica amministrazione.
Alberto Scuttari (CoDAU): più management nelle università
Il PNRR, attraverso la Missione 4, ha stanziato undici miliardi di euro a favore del mondo universitario: le risorse economiche, dunque, non sembrano più essere il problema più grave, mentre lo stanno diventando le competenze, le infrastrutture, il sistema delle regole. Serve infatti attenzione sul fronte degli strumenti gestionali e del personale: due asset necessari proprio a far fruttare i fondi a disposizione e a tradurli in misure concrete per lo sviluppo del comparto, con ricadute positive sulla formazione della nuova classe dirigente. Oggi, per ottenere il risultato, le università devono disporre di più management e debbono ricercare una ulteriore qualificazione del proprio management. La sfida del sistema universitario è attrarre talenti e aumentare il numero di giovani laureati, anche provenienti da altri Paesi, raggiungendo almeno il 40% nella fascia tra i 25 e i 34 anni e formare efficacemente le competenze richieste dal mercato del lavoro Questo è senz’altro un traguardo da raggiungere attraverso un grande lavoro di squadra con le imprese e le istituzioni.
Cristina Angelillo (Innovup): defiscalizzare assunzioni per trovare i migliori talenti
L’attuale normativa sulle startup deve essere uniformata tramite un testo unico o un libro bianco, a fronte di una stratificazione delle norme che sta generando effetti sempre più negativi. Inoltre, non dobbiamo “ghettizzare” le nuove imprese – nell’ambito della loro normativa ad hoc – ma guardare all’intero sistema-Paese per rimuovere gli ostacoli che le aziende, che siano startup, PMI o aziende “tradizionali”, si trovano ad affrontare ogni giorno. Una volta razionalizzato il passato è necessario guardare al futuro rafforzando alcuni strumenti ed introducendone di nuovi per rispondere alle esigenze del mercato, come ad esempio maggiori incentivi per il corporate venture capital, per supportare e favorire anche le exit di tipo industriale. Una questione non meno importante riguarda gli incentivi sul talento: le startup italiane fanno più fatica di altre aziende a trovare, assumere e trattenere talenti che di conseguenza scelgono spesso di espatriare, sarebbero quindi da prevedere nuove misure legate alla defiscalizzazione delle assunzioni. Sarà infine fondamentale nei prossimi anni continuare ad iniettare liquidità nei diversi strumenti gestiti da CDP-VC per raggiungere due obiettivi: attirare fondi internazionali e favorire investimenti di round B, C e a seguire (sulla base ad esempio del modello francese) che oggi, in Italia, praticamente non esistono.
Antonio Prigiobbo (NAStartUp): servono nuove strategie e spinte al Sud
Sono passati dieci anni dalla prima spinta verso un paese più accogliente all’economia delle startup. Dieci anni posso sembrare un periodo breve o lunghissimo, in base al punto di vista. La cosa più preziosa che possiamo fare è misurare il tanto fatto per sviluppare ancora nuovi strumenti, diversificandoli, rendendoli trasparenti, sia sul fronte delle startup, che degli operatori. È servito avere una strategia di coordinamento delle istituzioni e delle azioni. Serve aumentare ancora l’ambizione, aumentare opportunità per le startup innovative, ma anche individuare chi accelera la crescita e le scaleup. Servono nuove strategie e nuove spinte al Sud, il sistema economico istituzionale tende ad assestarsi sui primi risultati, la quantità. Serve invece più premialità e qualità e quantità dei progetti. Non sole le università si dovrebbero occupare di startup ma anche le scuole superiori.
Christian Lechner (Luiss Guido Carli): centrale sviluppo del Venture Capital
Il settore venture capital andrebbe sviluppato ulteriormente aumentando i fondi di co-investimento pubblico. CDP Venture Capital è uno strumento importante che andrebbe rafforzato. Gli investimenti VC in Italia rimangono relativamente bassi rispetto a Paesi di riferimento come la Francia o la Germania ma anche la Spagna. Il volume di VC investito nel 2021 in Italia è paragonabile all’investimento VC in Francia nel 2014. Il settore ha quindi un ritardo di circa 7-8 anni. La mancanza di fondi porta anche il rischio della fuga delle startup per gli investimenti di crescita (Series B) o addirittura di IPO all’estero. Per invertire questa tendenza, l’Italia si può ispirare alle best practice di altri paesi. L’HighTech Gruender Fond in Germania, ad esempio, è diventato attore indispensabile dell’ecosistema dell’innovazione: partito come puro co-investitore pubblico, cioè seguendo l’investimento dei VC privati, è diventato nel giro di due decenni la guida per i VC privati nonchè l’attore con più esperienza (numero e volume di investimenti nel tempo). Per la mancanza di investimento early stage, si potrebbe seguire il modello israeliano dove il co-investimento pubblico varia con le fasi di sviluppo delle start-up. Nelle fasi iniziali (seed) il VC pubblico investe 6€ su 1€ investito da VC privati mentre nella fase di crescita investe solo 1€ su 2€ investiti da VC privati. Il modello francese con i Fonds de Proxmité e rispettivi incentivi potrebbero favorire invece degli investimenti nel Sud dell’Italia. Quindi il rafforzamento del VC pubblico potrebbe aiutare a sviluppare ulteriormente il sistema VC in Italia e colmare il gap con altre nazioni. Evidentemente tutto andrebbe accompagnato da una formazione diffusa sull’imprenditorialità in Italia.
Diego Dimalta (Associazione Privacy Network): cybersecurity e privacy centrali nella quotidianità
Tematiche come cybersecurity e privacy saranno sempre più centrali nella vita quotidiana di ognuno di noi, ma purtroppo, in generale, si parla ancora poco di diritto all’uso delle tecnologie come anche di tutela dei diritti delle persone nei confronti delle grandi piattaforme social o nei confronti dell’uso incontrollato di sistemi di intelligenza artificiale. Per questo, il nuovo governo dovrebbe tenere conto di questi 5 punti: creare un sistema di amministrazione digitale sicuro, unico e nazionale; estendere la moratoria di cui al DL 139/2021 sul riconoscimento facciale, per far sì che i processi decisionali automatizzati creati dal pubblico tutelino al meglio i diritti umani, in modo trasparente e responsabile; prendere una posizione netta contro i sistemi di social scoring, che non sono in linea con i principi di una società democratica; pretendere che i servizi web usati dalle scuole garantiscano i diritti degli studenti e che utilizzino i dati per i soli scopi dichiarati, evitando abusi sui dati e sui diritti dei minori; farsi parte attiva nelle sedi UE al fine di sollecitare una soluzione per riorganizzare gli accordi con gli USA riguardo al trattamento di dati personali: a seguito della sentenza Schrems II, le aziende italiane infatti si trovano davanti a un vuoto normativo che impedisce di fatto l’utilizzo della gran parte dei sistemi web-based distribuiti da aziende americane, creando grossi problemi per il mercato.
Alberto Nasciuti (Kpi6): abbassare costo del lavoro per attrarre i talenti
In Italia abbiamo un problema oggettivo di supporto all’ecosistema per startup, restiamo fanalini di coda in Europa nelle classifiche per gli investimenti in innovazione e tecnologie. Di conseguenza scarseggiano le competenze perché ci sono pochi soldi per stimolare e assumere persone preparate e per predisporre dei percorsi di formazione di alto livello. In sostanza manca la benzina per accelerare la crescita delle startup, e mi riferisco al fundraising con capitale di rischio, che dovrebbe beneficiare di abbondanti contributi pubblici, come avviene in Francia. Non è un caso, infatti, che proprio la Francia stia diventando la California d’Europa, una startup nation con la forte presenza dello Stato, che crede e investe nell’innovazione. Un altro problema sul quale il legislatore dovrebbe concentrarsi nei prossimi anni, è il costo del lavoro, che in Italia è altissimo e sbilanciato. A parità di saldo, preferirei pagare meno contributi allo Stato, ma lasciare molti più soldi nella busta paga del dipendente; fino a quando non saremo nelle condizioni di alzare gli stipendi netti dei dipendenti, non saremo abbastanza attrattivi per i professionisti e per i giovani talenti. Con la modalità di lavoro full remote, soffriamo la concorrenza delle grandi corporate e big tech, che assumono lavoratori italiani mettendoli nelle condizioni di lavorare da casa, ma pagando un costo del lavoro più basso rispetto a quello italiano, e quindi potendosi permettere stipendi molto più alti. Inoltre, servono leggi più flessibili rispetto all’attuale Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), spesso limitante, per inserire un professionista in azienda e consentirgli di raggiungere la massima produttività, nella modalità che preferisce”.
Carlo Stagnaro (Istituto Bruno Leoni):
Primum non nocere: è questo l’obiettivo che dovrebbe darsi un governo attento ai temi dell’innovazione e del digitale. Le imprese innovatrici troppo spesso si scontrano con norme obsolete o, peggio ancora, adottate precisamente allo scopo di impedirne l’ingresso. Un secondo tema riguarda la cultura delle imprese italiane, in particolare quelle piccole o piccolissime: serve adottare meccanismi, anche di natura fiscale, per incentivarle a superare le resistenze contro la digitalizzazione, rendendole parte del ciclo dell’innovazione anziché ostacolo a esso. Infine, occorre prevedere una sorta di diritto a innovare, cioè a sperimentare prodotti, processi e modelli di business. Se vogliamo attirare capitali e cervelli, la burocrazia più tentacolare d’Europa è un lusso che non possiamo permetterci”.
Pierluigi Vitale (Università degli Studi di Salerno): agenda politica aperta alle sfide del digitale
Si dice spesso che le nuove generazioni faranno lavori che oggi non esistono. Perciò dobbiamo domandarci che cosa si sta facendo per preparare il paese a questa transizione. Abbiamo analizzato l’agenda politica dei vari leader sui social network, osservando che si parla con una certa corrispondenza dei temi mainstream nel Paese, come ambiente, economia, lavoro e sicurezza, ma non ci si dedica alla digitalizzazione. Bisognerebbe prospettare il futuro parlando di digitale, perché se si arriva tardi sulle nuove economie, metaverso, NFT, intelligenza artificiale, crypto, si rischia di non riuscire più a governare i processi. Nessuno sta raccogliendo la sfida e non ci sono proposte approfondite. Perciò nella prossima legislatura mi aspetto più coraggio per aggiornare l’agenda politica, anche se queste discussioni pubbliche portano pochi voti. Bisogna iniziare a parlarne, il digitale non può rimanere un argomento limitato ai soli operatori del settore, e la classe politica deve formarsi e alzare il livello delle sue conoscenze in questi ambiti. Serve più divulgazione, stimolando i soggetti competenti e i professionisti, ad avvicinarsi alla politica per dare un contributo.
Andrea Troisi (Troisi Ricerche): il ruolo della PA nella transizione
Abbiamo bisogno subito di una Pubblica Amministrazione che sappia lavorare per progetti. Esattamente come si fa in un’azienda, in uno studio professionale, in una industria. La sovrapposizione tra la chiusura della politica di coesione 14-20, PNRR e nuova politica di coesione 21-27 determina una congiuntura di fondi da programmare, gestire, monitorare e rendicontare che non hanno precedenti. 484 miliardi di euro di spese straordinarie ed aggiuntive dalla fine del 2021 al 2029 si traducono in 54 miliardi di euro disponibili in media all’anno. Le risorse in arrivo prevedono un meccanismo di gestione e programmazione a livello centrale, che si declina, per una parte consistente delle risorse, a livello territoriale in bandi e avvisi a cui le Amministrazioni beneficiarie devono rispondere. Regole, sistemi e linguaggi di progettazione, attuazione, monitoraggio e rendicontazione diversi e complessi. A reggere una tale potenza di fuoco una PA che, dalla fotografia che la Ragioneria dello Stato le scatta ogni anno, non appare affatto in buona salute. La partita della transizione amministrativa si gioca dentro alle singole Amministrazioni. Quello che deve venire dal centro è, in prima battuta, il nuovo quadro delle competenze necessarie ai diversi comparti della Pubblica Amministrazione: in che direzione dobbiamo andare? Solo dopo aver verificato cosa sia necessario che i dipendenti pubblici sappiano fare, solo allora si potrà procedere a definire, con cognizione di causa, un sistema che permetta ai singoli enti di: verificare le competenze presenti e i fabbisogni da programmare; progettare degli interventi mirati a riorientare ed elevare le competenze (reskill and upskill); avere accesso a risorse formative, la cui qualità sia verificata e certificata; poter verificare gli apprendimenti dei dipendenti; certificare le competenze acquisite in maniera univoca. L’attuazione della rivoluzione passerà attraverso la riorganizzazione della PA, partendo dalla mappatura e formazione (quella vera, reale e certificata) delle competenze.
Andrea Di Camillo (P101 SGR): semplificare normativa per chi investe tramite VC
La direzione degli incentivi fiscali è quella giusta, ma oggi la misura soffre di due difetti. Il primo è che non c’è visibilità sul futuro, perché le aliquote cambiano di anno in anno. E la seconda è che finora è stato difficile, per non dire impossibile, utilizzare questi crediti per chi investe in fondi di venture capital, che sono i reali motori dell’innovazione trainata dalle startup. Attualmente la legge prevede una detrazione IRPEF del 50% per le persone fisiche che investono nel capitale di rischio di startup innovative o PMI innovative e che mantengano la posizione per almeno tre anni. L’investimento può essere effettuato direttamente, o per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr). Quello che auspichiamo faccia il nuovo governo per dare slancio al settore è da un lato stabilizzare questo incentivo per almeno 5 anni. Dall’altro semplificare la normativa e “sburocratizzarla” perché i crediti fiscali siano utilizzabili anche da chi decide di investire in innovazione attraverso i fondi di venture capital.
Simona Testoni (a|impact): Il Venture Capital a servizio dell’impatto sociale
Puntare su un’innovazione che sia capace di contribuire a risolvere le più grandi sfide sociali e ambientali che deve affrontare la nostra società. Credo sia questa una delle priorità che la classe politica debba mettere al centro della propria agenda. Con il contributo di tutti gli attori dell’ecosistema dell’innovazione è urgente definire e implementare a tempo di record un piano strategico di lungo respiro. Un piano ambizioso che coinvolga tutto l’ecosistema a partire dalla formazione di studenti e professionisti alle startup con una dotazione di risorse ancora più significativa rispetto al passato. Un piano in grado di catalizzare capitali internazionali e talenti da tutto il mondo e alimentare una nuova generazione di imprenditori e innovatori. E’ necessario però indirizzare e premiare la ricerca di nuovi modelli di business che sappiano coniugare la sostenibilità economica con la generazione di impatto sociale e ambientale per la costruzione di una società moderna più equa e inclusiva ed un vero rilancio del paese. Non possiamo perdere l’opportunità di cambiamento e rinnovamento che questo momento drammatico della storia ci mette davanti. Cambiamento positivo che il mondo dell’innovazione più di altri settori può contribuire ad innescare a beneficio della collettività.
Alec Ross (Bologna Business School): Italia lavori per attirare nomadi digitali
Quando sento parlare del tema cittadinanza in campagna elettorale, ius soli sì, ius soli no, io guardo sempre i dati. Prendiamo la lista Fortune 500, le più grandi aziende americane. Il 40% sono state fondate da immigrati, figli di immigrati. Il 44% degli unicorni negli Stati Uniti è stato fondato da immigrati. Il “sogno americano” è sempre stato alimentato da ondate di immigrati che lavorano duramente per costruire una vita migliore per se stessi e le loro famiglie. L’Italia dovrebbe lavorare sodo per attirare i nomadi digitali e manodopera altamente qualificata. Gli immigrati qualificati non rappresentano una minaccia, non rubano il lavoro agli italiani, anzi, creano opportunità di lavoro anche per gli italiani come accade negli Stati Uniti.
Fausta Pavesio (angel investor): innovazione dovrebbe essere permanente nei ministeri
Purtroppo vedo poca attenzione delle forze politiche alle tematiche dell’innovazione vera, come mi piace chiamarla, cioè l’innovazione che davvero re-inventa prodotti e mercati facendo leva sulla tecnologia e sul digitale. O peggio, vedo l’innovazione trattata come qualcosa a sè: da questo punto di vista un Ministero dell’innovazione non ha senso, come non ha senso a mio parere l’Innovation manager in azienda: l’innovazione dovrebbe essere presente e permeante in tutti i ministeri così come in tutte le funzioni aziendali. Dal punto di vista degli investimenti in startup credo occorra agire su due leve: da un lato la semplificazione, con la creazione di strumenti standard – soprattutto per gli investimenti “early stage” – così che possa essere più facile ampliare la platea degli investitori. Dall’altra sarebbe fondamentale azzerare le tasse sul capital gain, per fare sì che tutti gli introiti possano essere completamente re-investiti, creando così un effetto moltiplicatore. In generale poi, più apertura internazionale in entrata e in uscita: attirare capitali esteri in Italia e aiutare le scaleup a crescere globalmente. C’è tanta strada da fare e tanta cultura – a tutti i livelli – da creare!
Riccardo Donadon (H-FARM): special economic zone ed educazione al digitale
Sono convinto che il digitale e l’economia dell’innovazione debbano avere una fisicità. Bisogna creare luoghi che vengano letti dalle persone come luoghi di innovazione. Attivando una special economic zone si otterrebbe una bolla che consentirebbe lo sviluppo rapido di un determinato settore. Come dicevo nel 2012, l’Italia dovrebbe attivarne all’interno di macro regioni. Serve consolidare il tema dell’innovazione, favorendo l’aggregazione di persone e ottenendo così un effetto volano importante. Quelle zone comincerebbero a correre 10-15 anni avanti, con una community che usa sistemi di pagamenti e di mobilità nuovi, testando. L’innovazione dovrebbe pervadere ogni programma elettorale. L’altro tema gigantesco è quello dell’educazione al digitale: c’è un paese inconsapevole, con percorsi di studio non più coerenti con l’attualità.
Andrea Barchiesi (Reputation Manager): urgente riflessione politica su intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale, grande esclusa di questa campagna elettorale, sta cambiando il mondo. Dai leader politici è lecito aspettarsi regole, ma anche una riflessione sull’etica dell’AI. Essa non conosce i principi di giusto o sbagliato, a meno che non gli vengano ‘insegnati’ dall’uomo: quali principi morali vogliamo che adottino le AI programmate per gestire le nostre città, ad esempio? In caso di attacco hacker o blackout, l’intelligenza artificiale potrebbe dover scegliere se continuare ad alimentare un ospedale o spostare l’energia altrove. Ma il discorso è ancora più ampio. L’etica riflette i sistemi culturali, varia a seconda della latitudine e della storia di una società. È possibile selezionare a priori quale etica adottare per tutti? Quali organismi sovranazionali dovranno controllare la sua applicazione? Il mondo accademico si sta già interrogando su questo tema, è tempo che anche la politica intervenga.
Thalita Malagò (IIDEA): politiche pubbliche sostengano produzione proprietà intellettuali
L’industria dei videogiochi è un settore strategico a cui il nuovo Governo dovrebbe guardare per l’enorme potenziale che presenta in termini di creatività e innovazione, impatto culturale, sociale ed economico. Come già avviene da tempo in diversi paesi europei, le politiche pubbliche dovrebbero sostenere la produzione di nuove proprietà intellettuali e l’attrazione di investimenti dall’estero, la creazione di nuove opportunità di lavoro ad alto valore aggiunto sul territorio nazionale, la prospettiva di una nuova frontiera dell’export per il “made in Italy” culturale e tecnologico. Sarebbe inoltre importante favorire l’utilizzo dei videogiochi come mezzo di supporto alla didattica e come strumento da applicare ad altri settori, come la promozione del turismo, la valorizzazione del patrimonio culturale e artistico, la divulgazione scientifica e la salute.
Vittoria Gozzi (Wylab): bridge tra VC esteri e l’Italia
La creazione del Fondo Nazionale Innovazione e l’intervento di CDP sono stati una pietra miliare, e un punto di svolta per l’ecosistema startup. Vanno a intervenire in punti in cui il mercato aveva fallito e hanno potenziato i VC italiani. La speranza è che, avendo messo questa base, si dia l’avvio a stimolo e sviluppo di startup di qualità su cui investiranno soggetti stranieri. Bisogna creare un bridge tra VC europei e l’Italia. Le startup giovano già di benefici fiscali, ma si potrebbe intervenire sul capital gain. Occorrerebbe poi fare interventi regionali per incentivare i Founder a mettere la sede in una specifica zona d’Italia. Penso alle tax free area per chi viene dall’estero e vuole fondare un’azienda qui. Va infine fatta una riflessione sulla formazione: le startup come tutte le aziende italiane hanno problema enorme di ricerca di skill qualificate.
Salvatore Ippolito (Bea e angel investor): task force di startupper per migliorare la PA
Sulla digitalizzazione in Italia c’è molto lavoro da fare, in diversi ambiti. Nel mercato riscontriamo una forbice considerevole tra la domanda e l’offerta di nuove competenze, servono professionisti in grado di gestire la complessità delle nuove sfide tecnologiche, come il metaverso, la realtà aumentata, la virtual reality, il web3. Inoltre, ci sono ambiti specifici che andrebbero precisati meglio ed eventualmente normati: penso al patrimonio artistico italiano, alle sue potenzialità nel metaverso e nel web3, alle nuove modalità di fruizione digitale per visitare l’Italia, alla creazione di ‘digital twin’ per prototipi industriali. Ci sono potenzialità enormi, ma anche interrogativi aperti: quale tipo di normativa occorre immaginare per tutelare, ad esempio, i diritti di riproduzione digitale? Quali i limiti? Domande sulle quali il legislatore dovrà fornire risposte che prevedono un’ampia fase di studio ed interpretazione, anche in termini di benchmark globale. Bisogna affrontare in modo organico e strutturato il vasto capitolo degli sgravi e contributi per favorire la prosperità dell’ecosistema delle startup italiane, sostenendo i territori, i distretti industriali, e con uno sguardo attento alla crescita di una nuova leva di imprenditori e leader. Infine, il problema, che può diventare una opportunità, inerente la riqualificazione professionale dei dipendenti della Pubblica Amministrazione: si potrebbero coinvolgere i giovani startupper, i migliori talenti digitali, e attivare un task force con le migliori professionalità, per trasferire competenze, esperienze, entusiasmo e condividendo le straordinarie opportunità del digitale. Un percorso inverso dunque rispetto al classico “give back”, una sorta di “give forward”, dove sono i più giovani a trasmettere conoscenza e valore a professionisti non nativi, né immigrati digitali.
Nico Valenti Gatto (B4i – Bocconi for innovation): startup e investimenti non sono slogan
Spero che le parole innovazione, startup, imprenditori, investimenti, talenti, resilienza, costanza non vengano completamente svuotate di ogni significato o ridotte a semplici slogan elettorali, ma rappresentino pilastri inevitabili e inamovibili sui quali costruire la crescita che serve ad aumentare il numero di imprese che crescono di organico, di fatturato, di attrattività e che di conseguenza portano sul mercato soluzioni di valore. Bisogna essere pienamente consapevoli che una startup è una grande impresa in divenire, in questo modo le politiche di sviluppo potranno essere coerenti con quello che serve in questo particolare momento storico. L’elettorato deve esserne consapevole: la cultura imprenditoriale e la voglia di migliorare e far crescere il paese devono rappresentare leve di scelta che determinano anche per chi votare. Per quest’ultimo punto, ci dobbiamo dare da fare noi del settore, le scuole e le università, con la piena collaborazione della classe politica.
Laura Colombo (ETAss): riforma del sistema universitario e formazione
In questi giorni gli esponenti dei vari partiti ci propongono slogan miracolosi e messaggi risolutivi di problemi annosi: al di là di chi dice cosa ciò che accomuna i leitmotiv dell’arco istituzionale è la tendenza a spostare le responsabilità di ciò che non è stato fatto o di ciò che è stato fatto male. Nella mia esperienza di circa 30 anni di attività nell’ambito della formazione aziendale e dell’alta formazione, ho visto molti ministri succedersi e malgrado abbiano avuto spazio tanti differenti punti di vista, alcuni temi in particolare sono stati parcheggiati o sottovalutati a detrimento di uno sviluppo del sistema IFL Istruzione Formazione Lavoro, ovvero delle persone e delle imprese. Tre sono i temi che vorrei venissero presi in ancora maggiore considerazione. Il primo è la riforma del sistema universitario e in parallelo dei corsi IFTS e ITS (oggi oggetto di tanta attenzione). I corsi di Alta Formazione stanno vivendo un periodo di grande innovazione ma a mio avviso ancora non sono ancora effettivamente rispondenti al mutamento che l’intero sistema imprese ha subito negli ultimi due anni, sia sotto la spinta della digitalizzazione che dei mutamenti di mercato. L’altro tema è quello dei finanziamenti per la formazione aziendale dedicati agli over 50, soggetti che spesso le imprese non tengono in grande considerazione – se non a livelli apicali – e che necessitano di programmi specifici di upskilling.
Barberis (Nana Bianca): opportunità accessibili e semplificate
Alla classe politica che si candida a governarci per i prossimi cinque anni chiedo di tenere l’innovazione come priorità, come un faro che possa illuminare le varie azioni messe in campo nei differenti ambiti e nelle varie industrie. Perché mai come oggi è proprio grazie all’innovazione aperta e condivisa che si possono trovare idee scalabili ed efficaci in grado di cambiare il mondo. Ma per farlo al meglio occorre coinvolgere l’ecosistema italiano dell’innovazione, composto da una pluralità di attori che da sempre hanno provato a fare la loro parte, spesso andando controcorrente rispetto a un sistema di regole fatto da mille vincoli. Mi riferisco a investitori, business angel, imprenditori e startupper che nonostante tutto hanno creduto sempre di poter fare la differenza. Oggi quel capitale umano e tecnologico, disseminato in Italia un po’ ovunque nei mille distretti territoriali e connessi, è necessario metterlo in condizione di accedere in maniera semplificata alle varie opportunità che si presentano. Come quando si disegnano nuove esperienze di navigazione online, anche in questo caso è essenziale rendere l’esperienza di accesso al credito alle opportunità accessibile e in un certo senso usabile. La classe politica che si candida a governarci deve anche creare dei ponti che mettano in contatto esperienze differenti in giro per il mondo: mai come oggi la disruption dell’innovazione si misura dalla sua capacità di essere trasversale, diffusa, reticolare. Moltiplicare le opportunità è un prerequisito della buona politica che guarda al futuro.
Davide Dattoli (Talent Garden e angel investor): all’innovazione serve stabilità
Non si sta parlando in alcun modo di innovazione. Purtroppo la campagna elettorale è focalizzata sul breve termine e non si sta discutendo invece di come costruire il paese del futuro. Quello di cui c’è più bisogno è capire cosa vogliamo essere tra 10/15 anni. Lì la politica può avere efficacia, non certo in attività a breve termine all’interno di un mercato globale. Prima di tutto chiedo stabilità. L’ecosistema francese è diventato il principale in Europa perché l’attenzione all’innovazione è stata sempre chiara e condivisa negli ultimi 15 anni. Hanno capito che non ci si può basare sul passato, ma bisogna scommettere sull’economia dei prossimi anni. Poi ovviamente servono benefici fiscali per chi investe. Ma quel che occorre di più è scegliere una direzione e mantenerla. Ad esempio, su CDP Venture Capital è necessario continuare a far sì che supporti le startup in Italia. Questo genererebbe credibilità agli occhi degli investitori internazionali. Se parliamo di innovazione, siamo ancora un paese in via di sviluppo.
Maria Francesca Silva (Esperta rigenerazione urbana e smart city): parola d’ordine è connessione
I prossimi anni non saranno solo ricordati come quelli della crisi energetica, inflattiva, della guerra in Ucraina ma anche dei grandi investimenti. Il PNNR, le Olimpiadi, la Candidatura all’Expo, il Giubileo devono essere occasioni per investire nelle città e ripensare il nostro modo di vivere. La parola d’ordine deve essere “connessione”. Gli investimenti devono riguardare le infrastrutture per connettere anche le città secondarie, per incentivare il south working, lo sviluppo di coworking e la diffusione di startup su tutto il territorio. Gli edifici devono essere pensati come luoghi di incontro complementari al consolidato smart working, i servizi alla persona sempre di più in ottica digitale e uguali su tutto il territorio nazionale.
Mario Grosso (Politecnico di Milano): lotta a crisi climatica sia centrale
Sul “futuro” è evidente come il tema della lotta ai cambiamenti climatici debba essere parte centrale e asse portante di qualsiasi programma elettorale. Diversamente passerebbero altri cinque anni di inazione, che non ci possiamo assolutamente permettere più. A questo proposito con Italian Climate Network e Climalteranti stiamo facendo un’analisi approfondita dei vari programmi, che verrà pubblicata a breve.
Enrico Pandian (Imprenditore e investitore): agevolazioni per chi investe in startup
È necessario cambiare drasticamente l’approccio che molti grandi investitori hanno nei confronti delle startup e delle PMI innovative. In Italia sono ancora troppo timidi rispetto a quello che avviene in altri Paesi europei. Per agevolare questo passaggio, ci auguriamo che il prossimo governo possa aumentare le agevolazioni previste per chi investe in imprese innovative, anche considerando il fatto che i dati ci dicono che sono quelle che più di ogni altre stanno creando posti di lavoro, benessere e ricchezza per l’economia italiana nel suo complesso.
Alessandro Rosina (Università Cattolica di Milano): tecnologia per valorizzare il capitale umano
Antropologia delle nuove generazioni e tecnologie abilitanti devono trovare la loro migliore sintesi nel sistema produttivo italiano. Da un lato, le nuove generazioni devono poter portare competenze digitali avanzate e specifiche life skills nelle aziende (anche in quelle medio-piccole) e in tal modo diventare leva per il loro sviluppo competitivo. Dall’altro, le nuove tecnologie nelle aziende devono diventare leva per migliorare l’ambiente di lavoro e valorizzare ancor più il capitale umano. Senza favorire e alimentare questo circolo virtuoso, con politiche efficaci sul lato sia della domanda che dell’offerta, l’Italia rischia di condannarsi a un percorso di basso sviluppo, ancor più schiacciata dall’accentuato peso del debito pubblico e dell’invecchiamento della popolazione.