Giacomo Novembre, neuroscienziato 35enne, ha vinto uno dei finanziamenti più ambiti, lo Starting grant europeo, destinato a promettenti progetti di ricerca. Il suo prevede uno studio su come la musica influenzi il movimento e possa portare a terapie di supporto per il Parkinson
Uno su mille ce la fa: la regola per professioni a difficile accesso, specie in Italia. Tra queste la ricerca. Ma la storia di Giacomo Novembre, 35 anni, neuroscienziato fiorentino, dimostra che impegno, passione e “uno studio matto e disperatissimo” come racconta a StartupItalia, possono portare lontano. E alla lunga perfino al rientro in Italia per contribuire alla cura per il Parkinson con la musica, dopo un lungo peregrinare tra centri di ricerca internazionali. Perché per Giacomo, una laurea in filosofia e un decennio di studi all’estero sulle neuroscienze, è arrivato uno dei risultati più ambiti, un finanziamento dal Consiglio europeo delle ricerche (Erc). Lo starting grant dell’Erc ammonta a una cifra esorbitante “considerando la media dei finanziamenti alla ricerca” riflette il ricercatore: un milione e mezzo di euro.
Un milione e mezzo di euro per curare il Parkinson
Soldi che arriveranno dritti in Italia, presso l’Istituto di tecnologia di Roma. Lì Giacomo sta per mettere in piedi, a partire da maggio 2021, un team che studierà come la musica – il suo pallino dai tempi del liceo scientifico, quando cantava in una band – possa stimolare il movimento. La musica “è universale: è presente in tutte le culture, sembra innata nei bambini”. Ci sono dei substrati biologici “che potrebbero giustificare il suo funzionamento come canale di comunicazione e perché quando si ascoltano alcuni suoni si tende a battere il tempo e ballare” spiega. Si partirà da lì per capire “quali processi fisiologici regolino tali processi” prosegue. “Per arrivare a informazioni essenziali allo scopo di costruire terapie di supporto per chi sviluppa problemi motori a seguito di ischemie o morbo di Parkinson”.
“Al liceo tantissimi interessi fuorché lo studio”
Proprio sull’interazione tra musica e cervello si sono concentrati gli studi post accademici di Giacomo. Che non ha capito da subito quale fosse la sua strada. “Mio papà è professore universitario in pediatria”, ma lui non sembrava volerne seguire le orme. “Alle superiori avevo tantissimi interessi fuorché quello dello studio”, confessa. La scintilla è arrivata più tardi, “iscrivendomi a quella che al tempo era una nuova facoltà, creata da illustri intellettuali come Massimo Cacciari, Emanuele Severino, Edoardo Boncinelli”. Era Filosofia della Mente e del linguaggio del San Raffaele di Milano, un percorso che combina studi filosofici e scientifici insieme. Un ambiente “pieno di stimoli, con autentici geni, autori di importanti scoperte”. A volte le lezioni erano “strutturate su confronti: da una parte il filosofo e dall’altra lo scienziato. Con due approcci opposti, uno materiale l’altro astratto”. Si studiava “come la mente potesse ridursi al cervello, i processi del linguaggio”.
Le esperienze all’estero: il master e poi il dottorato di ricerca
È lì, scherza, “che sono diventato un secchione” e poco a poco “ho cominciato a dedicarmi solo allo studio”. Prima con il master in Neuroscienze cognitive al Donders Institute di Nijmegen in Olanda. Poi con il dottorato di ricerca al Max Planck Institute di Lipsia, ammesso dopo una selezione serratissima con una tesi sperimentale su come le aree del cervello si attivano a seconda dei compiti richiesti. A 30 anni sbarca all’Istituto Marcs di Sydney, dove, ricorda, “mi sono trovato a costruire da zero un intero laboratorio per studiare come il cervello rendesse possibile la coordinazione tra musicisti”. Ancora, successivamente, qualche anno a Londra, e infine la chiamata da Roma all’Istituto di tecnologia “dove mi è stata offerta la possibilità di rientrare”.
In Italia mancano le coperture
Non tutti gli affetti hanno risentito della sua lunga assenza dall’Italia. Una ragazza lo ha seguito in tutti questi anni, “portando il suo lavoro di ostetrica fuori dall’Italia”. Oggi è sua moglie e insieme hanno una bambina di un anno. Il rientro non era tra i progetti perché l’Italia “spesso non mette nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro, in assenza di finanziamenti”. E non si parla solo di borse di studio, “ma di investimenti pubblici come quelli Erc, che offrono coperture per i progetti nella loro interezza”.