Fondata a Gerusalemme nel 1999, è stata acquisita da Intel nel 2017. Il suo obiettivo è diffondere sensori e tecnologia per le driverless car
La quotazione in Borsa è l’obiettivo ultimo per chi fonda una startup. La IPO, la cosiddetta offerta pubblica iniziale, trasforma una società privata in un soggetto appunto pubblico, che da quel momento opera su un mercato globale dovendo rispondere a nuove regole, a cominciare da quella sulla trasparenza dei bilanci. Oggi, mercoledì 26 ottobre, Mobileye, acquisita dal gigante tecnologico Intel nel 2017 per oltre 15 miliardi, inizia a operare sul Nasdaq: ha venduto 41 milioni di azioni (a 21 dollari ciascuna), ottenendo una valutazione complessiva di 17 miliardi. Come ricorda il Financial Times si tratta dell’IPO più grande nel mercato americano da inizio 2022, anche se nei piani di Intel il valore atteso dell’azienda per sbarcare in Borsa avrebbe dovuto essere di 50 miliardi.
A motivare il fatto che la valutazione sia stata più che dimezzata concorre una serie di fattori. Il periodo storico non è dei migliori sui mercati e perfino le Big Tech scontano risultati al di sotto delle aspettative. Mobileye non è di certo la prima startup a quotarsi in Borsa in un settore, quello dell’automotive, che ha già registrato IPO notevoli a cui sono però seguite correzioni importanti dei titoli. Un esempio su tutti è quello di Rivian, azienda USA che non si occupa di guida autonoma (fa auto e van elettrici, anche per Amazon), ma che più volte è stata tirata in ballo come potenziale competitor di Tesla. Rivian si è quotata a Wall Street meno di un anno fa: valutata oltre 66 miliardi, il suo prezzo è sceso da un massimo di 172 dollari a poco più di 30.
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Le aspettative su questi soggetti devono far dunque i conti con un contesto dominato dall’incertezza per via dell’inflazione. Attraverso la IPO Mobileye ha raccolto 861 milioni di dollari, per un’azienda che Intel aveva scelto di acquisire proprio perché impegnata nello sviluppo di sensori e tecnologie per la driverless car. Fondata a Gerusalemme nel 1999, l’azienda ha collaborato in passato con Audi e altre case automobilistiche, per attrezzare i veicoli con tecnologie in grado di aiutare e in alcuni casi sostituire il lavoro di chi sta al volante.
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Sul nodo guida autonoma senz’altro il mercato statunitense sta consentendo una maggiore sperimentazione della tecnologia. A San Francisco, Cruise (acquisita anni fa da General Motors) ha già messo in strada i propri robotaxi, in grado di prelevare un passeggero e portarlo a destinazione senza che nessuno (in carne e ossa) guidi. A livello normativo – il caso di Uber insegna – è difficile aspettarsi che il legislatore batta sul tempo il fenomeno della prossima moda tecnologica, inquadrando in pochi anni il mercato in un framework legale esaustivo, evitando il più possibile abusi e violazioni. In Europa la situazione è ancora più complicata, con i singoli governi dei paesi membri più o meno sensibili alla questione.
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Uno dei settori su cui gli esperti ritengono che la guida autonoma possa svilupparsi è quello della logistica. A questo proposito vi avevamo raccontato della partnership tra Volvo e Aurora, il cui obiettivo è realizzare camion a guida autonoma, con ricadute occupazionali non indifferenti (si è stimato che fino a 6,4 milioni di camionisti potrebbero perdere il posto di lavoro). Tornando a Mobileye, la sfida dell’azienda israeliana è sempre stata ambiziosa: uno dei suoi cofounder, Amnon Shashua (dottorato in scienze cerebrali e cognitive al Massachusetts Institute of Technology), ha spiegato che l’azienda vuole divenire partner delle case automobilistiche, offrendo loro il RoadBook, ovvero una mappa digitale di tutte le strade in America e in Europa, che le auto potranno leggere per operare senza più la presenza fissa del pilota.