Lo chiamano crackdown, giro di vite
Un’era che finisce. Sul Time Adam Segal del Council on Foreign Relations ha utilizzato questa espressione per descrivere quanto sta accadendo in Cina, dove Big Tech come Alibaba, Tencent e Didi stanno subendo gli effetti del nuovo corso stabilito dal Partito. Se negli ultimi 15 anni, infatti, l’ecosistema è potuto crescere senza una regolamentazione adeguata, spingendo sull’acceleratore per innovare e conquistare fette enormi di mercato, oggi la potenza guidata da Xi Jinping ha tirato il freno a mano. Sulla stampa internazionale si parla di crackdown, giro di vite.
Cina e Big Tech: il nuovo corso
Quanto sta accadendo in Cina rientra in un trend globale che anche su StartupItalia stiamo raccontando. Dagli Stati Uniti fino all’Australia, passando per la Corea del Sud, sono diversi i casi di leggi e iniziative da parte dei Parlamenti per porre fine a oligopoli che favoriscono le Big Tech. Gli sviluppi di Pechino, ovviamente, dovranno essere inseriti nelle ricette di stati non democratici e, secondo alcuni osservatori, le decisioni cinesi potrebbero anche mettere i bastoni tra le ruote agli sforzi della politica in Occidente.
Tencent e videogiochi
Nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo la notizia sull’introduzione di un nuovo limite di ore da spendere davanti ai videogiochi online da parte dei minori di 18 anni in Cina: massimo tre ore a settimana. In molti – compreso chi scrive – non sapevano però che da tempo il Partito aveva già imposto massimo un’ora e mezza al giorno davanti a pc o console. A pagarne le conseguenze è stato Tencent, il gigante di Shenzhen che ha però già fatto sapere quanto i minori rappresentino una piccola parte dei propri clienti. La linea del Partito sui videogiochi era già stata espressa sulla stampa, dove venivano definiti “droga elettronica” e “oppio per la mente”.
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Alibaba, multa record
Alibaba è una delle storie imprenditoriali cinesi di maggior successo. Fondata da Jack Ma nel 1999, oggi la multinazionale gestisce l’ecommerce più grande della Cina. Quella che avrebbe potuta essere l’IPO più ricca della storia – Ant Group, affiliata del gruppo Alibaba, stava per quotarsi a Hong Kong a 37 miliardi di dollari – è stata bloccata da Pechino. Subito dopo, era inizio 2021, si erano anche perse le tracce di Jack Ma, mentre le azioni della multinazionale continuavano a scendere. Il monopolio in cui ha operato per anni Alibaba non è più accettabile da parte del Partito, che è riuscito a ottenere anche un impegno nel campo della solidarietà da parte della Big Tech: l’azienda donerà 15,5 miliardi di dollari per la “prosperità comune” entro il 2025.
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Didi: fine corsa?
L’altro soggetto Big Tech su cui ci concentriamo è Didi, la Uber cinese. Sull’azienda è caduta una frana di denunce di irregolarità che, da anni, ne caratterizzerebbero il business. Nel 2012, come si legge sul New York Times, mentre un VC investiva 3 miliardi di dollari su Didi, la startup non era a posto con diverse autorizzazioni. Si tratta di uno dei soggetti che sono stati più penalizzati dal crackdown in corso. Negli ultimi giorni il Wall Street Journal ha anche riferito di un interessamento da parte di soggetti statali cinesi che vorrebbero rilevare quote della società.