Da un progetto di ricerca sull’intelligenza artificiale a una startup, premiata come una delle più promettenti del campo da un prestigioso network europeo, ELISE, su ben 400 candidature. Il protagonista della nostra storia di oggi è Alessandro Nuara, Ceo di AD cube, una soluzione di AI applicata al mondo della pubblicità online.
Ingegnere informatico, si specializza nel campo dell’intelligenza artificiale, con un particolare focus sul decision making, al Politecnico di Milano. Qui lancia la sua idea di ricerca: osserva il mercato dell’advertising online e si rende conto che, sebbene i canali e le opportunità per gli inserzionisti siano cresciuti, i ritorni economici sugli investimenti sono spesso deludenti. Come allora ottimizzare le campagne sfruttando algoritmi di intelligenza artificiale?
Alessandro prova a dare una risposta a questa domanda, aggregando un team con competenze eterogenee, fatto di ingegneri, professori universitari e altri giovani ricercatori come lui. Le prime pubblicazioni su riviste di settore lo portano direttamente in America, a San Francisco. Ed è qui che il suo talento viene notato da Amazon Ads. Per sei mesi si trasferisce a Seattle nel quartier generale della big tech. Ma il suo è solo uno step di un percorso ambizioso. Ed è per questo che decide di tornare in Italia per dare vita, insieme ad altri quattro founder, a ML Cube, spinoff universitario focalizzato su soluzioni nell’ambito del machine learning. AD cube nasce come costola poi di ML Cube, con Alessandro che ricopre il ruolo di Ceo.
«Ho dovuto imparare in fretta le differenze tra lavorare come ricercatore e come Ceo. Il primo lavora in profondità su un problema, il secondo deve sviluppare, in pochissimo tempo, delle competenze trasversali e saper uscire dalla sua comfort zone. Il punto in comune è che entrambi si trovano ad affrontare e risolvere ogni giorno problemi nuovi», spiega Alessandro a Startupitalia.
Un ponte tra Google e Meta
Ad cube è una piattaforma che grazie ad algoritmi di AI ottimizza le campagne di advertising online, con l’obiettivo di accrescere il ritorno sull’investimento. Per farlo, la tecnologia fa dialogare e interagire diversi sistemi (es. Google e Meta) e può essere usata via abbonamento da un target di clienti, come agenzie di marketing e aziende di media e di grande dimensione:
«Abbiamo voluto rispondere a tre domande comuni degli inserzionisti. Quanto investire per raggiungere i miei obiettivi? Come distribuire il budget sulle piattaforme? E ancora qual è il target giusto a cui rivolgermi? Ad Cube risponde a questi dubbi e si occupa di apportare modifiche o correzioni alla campagna, per esempio, spostando il budget da un canale più performante a uno che lo è meno», sottolinea Alessandro. Per realizzare Ad cube Alessandro e il suo team stanno affrontando tanti ostacoli, soprattutto per competere con altre aziende, big tech come startup, che hanno dei grossi budget alle spalle:
«Come proviamo a superarli? Innanzitutto, abbiamo puntato, sin da subito, sulla costruzione di un algoritmo che sappia essere efficace su determinate nicchie di mercato, le stesse che spesso le big tech non riescono a coprire. E poi abbiamo scelto di lavorare in modo cross channel, la nostra tecnologia riesce a spostare il budget degli inserzionisti da Google a Meta, un’attività che nessuno di questi due player potrebbe fare, per questioni evidenti di conflitti di interesse», svela Alessandro.
La vittoria e la ricerca di un round
Gli sforzi nel creare una piattaforma proprietaria stanno dando i primi frutti, come il riconoscimento ottenuto da ELISE, network europeo per le eccellenze nel campo dell’intelligenza artificiale, che ha premiato AD cube tra i leader europei nel campo dell’AI, anche con un premio di 60mila euro:
«Non ci aspettavamo di essere tra i 16 progetti premiati La competizione era alta con oltre 400 candidature provenienti da tutta Europa. Ci inorgoglisce che a premiarci sia stato un comitato composto da alcuni tra i più grandi esperti di intelligenza artificiale», racconta Alessandro. Il team intanto è alla ricerca del primo round: finora il progetto si è auto finanziato.
«È vero che in Italia è difficile trovare capitali come in altri Paesi, come per esempio, Francia e Stati Uniti, dove sono finanziati con somme ingenti a volte anche team che sono in possesso solo di un’idea progettuale. Il mondo della ricerca, e degli spinoff universitari può rappresentare allora delle strade per aprirsi da subito a un panorama internazionale e ampliare il proprio network di conoscenze anche sugli investitori e per osservare, al contempo, quello che avviene nel mondo e costruire soluzioni più efficaci. Tuttavia, questo può solo avvenire se si orienta da subito la propria ricerca verso il mercato», conclude Alessandro.