Abbiamo parlato con Massimo Mantellini di cosa significa ancora oggi tenere un blog online. E molto altro: come il destino di Twitter e della net neutrality. Il 2 maggio si celebra il World Bloggers Day
Il 2 maggio si celebra la giornata mondiale dei diari personali trasformati in pubblici, una delle prime forme di comunicazione comparse in Rete dopo l’avvento del World Wide Web: i blog. Dopo aver trascorso una vita a scriverci su Usenet (per chi c’era), intorno al 1996-1997 sulle prime rudimentali pagine HTML sono comparsi anche i pensieri di quelli che una volta chiamavamo netizen. Poi seguirono le piattaforme, che permettevano anche a chi non aveva competenze tecniche di aprirsi un proprio blog: fu allora che iniziò l’epoca d’oro di questo strumento, oggi relegato sullo sfondo dall’avvento dei social media. Ma cosa è cambiato per noi tutti da allora? Ne abbiamo parlato con Massimo Mantellini, che oltre a scrivere su Manteblog (uno dei più rodati blog sulla piazza italiana) è anche un attento osservatore e critico di quanto accade in Rete da oltre 20 anni.
In principio era il blog
Oggi, dicevamo, i blog non rivestono più il ruolo centrale che ricoprivano qualche anno fa: un tempo ci si dirigeva quotidianamente sulle pagine di questo o quel blogger per scoprire cosa pensasse di un determinato argomento, spesso ci si palleggiava da un blog all’altro un determinato tema per instaurare un dibattito. Ci si leggeva e ci si citava a vicenda. Oggi funziona tutto in modo molto diverso, se vogliamo la comunicazione si è fatta meno orizzontale e più verticale: ci rivolgiamo agli account di influencer e personaggi famosi per abbeverarci e conoscere ciò che fanno, le dichiarazioni sono contenute in 30 secondi di video o in poche centinaia di caratteri quando ancora si appoggiano su Twitter.
“La mia sensazione – racconta Mantellini a StartupItalia – è che siano semplicemente cambiati gli strumenti di espressione: oggi vedi i giornalisti disperatamente alla ricerca di visibilità che aprono un profilo su TikTok, o contenuti informativi che finiscono su Instagram, due piattaforme che con l’approfondimento dei temi centrano poco per loro natura e non perché abbiano colpe particolari. Il punto è che quelli che un tempo si chiamavano lettori si spostano, soprattutto quelli di specifiche fasce d’età, e tu li segui. La riflessione che si può fare è che i contenuti giornalistici ne risultano ridimensionati: ma per ragioni organiche”.
In altre parole, ci dice Mantellini, un tempo la scelta di dove andare a depositare i propri pensieri era limitata: i blog erano praticamente l’unico luogo dove poterlo fare, e ben si prestavano a costruire le prime reti sociali e soprattutto ad approfondire gli argomenti di discussione. “Poi sono diventati preminenti altri tipi di piattaforme – continua Mantellini – E mi sembra che il risultato principale sia che si ampli di molto la platea di coloro i quali fruiscono dei contenuti. Mi pare chiaro che l’evidenza dica che alla maggioranza, ai più giovani ma non solo, non interessano oggi i temi più complessi: ma forse era lo stesso anche prima, semplicemente leggono e fanno altro”.
Il paradosso della massa
Certo appare curioso che, al crescere delle possibilità di accesso e del numero di cittadini in Rete, il declino di uno strumento di comunicazione semplice ed efficace come i blog sia iniziato: “Non è un paradosso – precisa Mantellini – basta fare un esempio con il mio blog. Ci scrivo le stesse cose da 20 anni, vale a dire le piccole questioni personali, mie riflessioni sulla politica in Italia, eventi culturali e altre cose che interessano a me: negli ultimi anni è stato sempre meno letto, non perché un tempo fosse un paradiso di contenuti che oggi non è più, ma semplicemente perché una volta il traffico era diretto verso le poche piattaforme disponibili”.
In altre parole, per quei pochi anni (un decennio al massimo?), abbiamo assistito a una sorta di “sovraesposizione dei contenuti giornalistici” ci dice Mantellini: “C’era questa grande illusione, vista col senno di poi un po’ sciocca, questa idea secondo cui gli ambienti digitali avrebbero fatto da spinta alla crescita culturale e intellettuale delle persone. In realtà, gli ambienti digitali nel momento in cui sono diventati più potenti hanno semplicemente rispecchiato meglio gli interessi delle persone: in fin dei conti quindi non è cambiato molto, il pubblico è semplicemente meglio rappresentato e osservandolo da fuori accetti che le persone sono così come le rappresentano i social”.
Attenzione però anche a banalizzare o, peggio, infilarsi nello stereotipo dei giovani privi di valori: “Una cosa da vecchi barbosi: dire che questi giovani guardano solo i gattini su TikTok – precisa Mantellini – Non sono in grado di dire come siano i più giovani rispetto ad altre generazioni, mi sembra che il ventenne coltivi sempre quel tipo di prospettive e ingenuità che possono essere commoventi e interessanti. Se penso al ’68, e guardo i ragazzi che oggi manifestano per l’ambiente, mi sembrano comportamenti simili: ma non credo si possa generalizzare, non credo che tutti i giovani il venerdì scendano in piazza. Come al solito tendiamo a evidenziare taluni comportamenti, ma il panorama generale è molto più complesso”.
Il caso Twitter
Forse non tutti sanno che Evan Williams, tra i fondatori di Twitter, è stato anche il creatore della piattaforma Blogger poi acquisita da Google (e che per lungo tempo è stato il principale host di blog di tutto il pianeta). Twitter, per molti aspetti erede di quell’approccio culturale che era stato dei blog, è oggi al centro delle notizie per l’operazione che Elon Musk sta portando avanti per la sua acquisizione. “Twitter stesso ha una quota di auto-riferito molto forte, è un posto dove parlano tra loro poche persone” precisa Mantellini, che aggiunge: “La mia idea è che Musk sia il classico personaggio strano, spesso sopra le righe, e che questa questione di Twitter stia diventando troppo importante rispetto a quanto sia in realtà: non è una piccola acquisizione, certo, è sempre la persona più ricca del mondo che sposta i suoi denari. Ma il punto forse non è se Twitter chiederà di autenticarsi per l’accesso, o se Musk farà rientrare Trump”.
Durante l’ultima campagna presidenziale per gli USA, ricorda Mantellini, è emerso un tema per altro totalmente condiviso dai due candidati: sia Joe Biden che Donald Trump a più riprese hanno parlato della Section 230 del Communication Decency Act, anche nota come sezione del “buon samaritano”, ed entrambi concordavano sulla necessità di riformarla o persino di cancellarla. “Il punto secondo me – continua Mantellini – è comprendere se Twitter continuerà ad esistere in un ambiente che continuerà a essere neutrale, come lo intendevamo alla vecchia maniera, o se la Section 230 sarà cancellata e sparirà la norma che ha salvato le aziende americane sul Web negli ultimi 30 anni”.
La Section 230 è di fatto ciò che oggi tiene separate le responsabilità di chi mette a disposizione la piattaforma, da quelle di coloro i quali postano i contenuti sulle piattaforme stesse: “Sarebbe interessante chiedere a Musk cosa pensa di questo argomento: vuole essere corresponsabile dei contenuti postati da altri? Soprattutto in un Paese in cui vige il Primo Emendamento, queste sono davvero le questioni che orientano il ragionamento su cosa sarà Twitter nel prossimo futuro. E non solo: siamo tutti concentrati a discutere su cosa sarà Twitter nel suo angolino, ma il discorso va allargato” dice Mantellini.
La Rete resti neutrale
La questione, in altre parole, è stabilire non soltanto se Musk si comprerà Twitter, o se riammetterà Trump sul social dei cinguettii: dobbiamo comprendere come Twitter si porrà rispetto a questioni come quella della Section 230, o il Digital Service Act appena approvato dall’Unione Europea che, nelle premesse, potrebbe avere un impatto ancora più significativo di quanto non abbia già avuto il regolamento noto come GDPR. “Fino a oggi la differenza principale tra Internet e quanto di altro c’era prima è stato una sorta di diritto di accesso e potenzialità nella libertà di espressione e comunicazione che nella realtà non c’era mai stata” aggiunge Mantellini.
“Se riuscissimo a mantenere la Rete libera nel modo, se volete infantile, in cui l’abbiamo sempre inteso in questi anni, allora in questa Rete continuerà a poterci essere di tutto: da Elon Musk a un ragazzo che inventa un nuovo servizio o una nuova piattaforma” dice Mantellini. “Ma se eliminiamo la neutralità, se Internet finisse per giocare unicamente dentro le regole che siano quelle del business all’americana o della dittatura cinese – conclude – alla fine di Internet non rimarrà poi molto”. Ed è proprio qui il vero nucleo della questione: nel giorno in cui si celebrano i blog, è bene ricordarci come sono nati, cosa abbiano significato per la libertà d’espressione e la libertà dentro e fuori la Rete. Decisamente qualcosa di più della banale questione di come spende i suoi soldi Elon Musk.