Il Digital Services Act e il Digital Markets Act portano novità per i giganti del digitale. Intervista a Marco Tullio Giordano, partner 42 Law Firm
Al centro di dibattiti e polemiche quando si parla di Recovery Fund, rilancio dell’economia e finanza. Ma se l’argomento diventa tutela della privacy e regolamentazione dello strapotere dei giganti tech, l’attenzione sull’Unione Europea cala di molto. Eppure le istituzioni di Bruxelles si sono guadagnate diverse medaglie sul campo per aver preso posizioni chiare contro Google e Apple, tanto per citarne alcune. La commissaria per l’Europa digitale, la danese Margrethe Vestager, è stata soprannominata tax lady dall’ex presidente USA, Donald Trump. Ed è proprio dalla sua scrivania che passano due leggi che potrebbero potenzialmente cambiare le carte in tavola: il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA) non sono ancora state approvate e non si ridurrebbero a una lista di buone intenzioni. Se i giganti non dovessero rispettare le nuove norme, le multe potrebbero raggiungere il 10% del loro fatturato globale. Per approfondire la questione ne abbiamo parlato con Marco Tullio Giordano, avvocato e Partner 42 Law Firm.
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Big Tech: nuove leggi dopo 20 anni
«Finora abbiamo soltanto proposte legislative – ha spiegato a StartupItalia – Molto probabile che verrano rilasciate come direttive, dunque fonti europee, che dovranno essere calate nei singoli stati con decreti di recepimento». Le novità del DSA e DMA arrivano a 20 anni dagli ultimi aggiornamenti normativi sull’ecosistema digitale. «L’ultima normativa europea che ha provato a regolamentare internet è stata la direttiva 2000/31/CE, la e-Commerce directive. Era l’epoca della bolla delle società del dot-com. L’impronta fu lassista – ci ha spiegato – il principio cardine era la mancanza di responsabilità degli internet service provider. Non si volle imporre a società come eBay di fare controlli su tutti i contenuti caricati sulla piattaforma. L’unico obbligo era agire su reazione in caso di segnalazione da parte degli utenti».
Digital Services Act: focus sui contenuti illegali e pubblicità
Facebook e altri Big tech hanno spesso difeso la propria posizione, sventolando il diritto della libertà di espressione degli utenti anche in situazione ben oltre il limite della critica e del contenimento verbale. Negli ultimi mesi, soprattutto durante i giorni più intensi della campagna elettorale USA, Twitter e altre piattaforme hanno fatto un scelta di campo esplicita, bollando come tendenziosi i tantissimi tweet in cui Trump parlava di brogli. D’altra parte la strada per ripulire i social dai gruppi più violenti è ancora lunga. Con il Digital Services Act la Commissione Europea punta a fare ordine. «Il DSA sarà rivolto a tutte le aziende tecnologiche digitali presenti in Europa, dunque anche ad aziende mondiali che vendono servizi qui. La bozza mantiene un’assenza di responsabilità diretta: per tutelare la neutralità della rete – ha argomentato Giordano – non possiamo dare a Fb il diritto di dire cosa è giusto o sbagliato. La novità è però nelle multe e nella responsabilità nel caso in cui le aziende non dovessero reagire a una segnalazione».
Ora gli utenti potranno non soltanto segnalare i contenuti – post, immagini, video – alle piattaforme affinché li rimuovano. Il Digital Services Act dà anche la possibilità agli iscritti di indagare sulla rimozione di un contenuto, interrogando direttamente le piattaforme. La legge proposta dalla Commissione della von der Leyen punta anche all’obbligo per i Big tech di collaborare con le autorità nazionali per la rimozione di qualsiasi post illegale. Non poteva poi mancare un capitolo sulla pubblicità online, in mano a pochissime società grazie ad algoritmi e dati che permettono campagne di advertising mirate sugli utenti. Con il Digital Services Act l’UE impone alle aziende di informare l’iscritto sul perché nel proprio feed riceve determinate pubblicità o suggerimenti a seguire o mettere like. «Tutte le aziende tecnologiche – ha proseguito l’esperto -dovranno dire quali sono le regole che stanno dietro agli algoritmi e verrà loro richiesto di fornire un punto di contatto in Europa. Esattamente come per la GDPR».
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Come si legge sul portale ufficiale dell’UE, queste due nuove leggi della Commissione Europea non mirano a punire i Big Tech, ma a regolamentare una situazione impossibile da gestire con le regole attuali, scritte in tutt’altro contesto. Oggi il digitale, dai social all’ecommerce, è parte integrante della vita di cittadini e aziende. “La proposta di legge sui servizi digitali – si legge sul sito – darà regole per garantire responsabilità, trasparenza e controllo pubblico” sulle attività dei Big tech. Delle due bozze, quella sul DMA è verticale sui giganti, a differenza della DSA che riguarda tutte le realtà.
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Digital Markets Act
Per quanto riguarda questa seconda colonna portante delle novità normative in ambito digitale, tutto parte da una definizione: gatekeeper. Con il Digital Markets Act l’Unione Europea intende creare un’ecosistema più equo possibile per tutti (aziende e consumatori). Le multinazionali che rientrano sotto la definizione di gatekeeper dovranno soddisfare alcuni criteri. Ma chi sono i gatekeeper? Questo è un altro nome per definire i Big Tech: si parla di società con un fatturato di almeno 6,5 miliardi annui nello Spazio Economico Europeo, oppure una capitalizzazione di 65 miliardi. Tra le novità più interessanti compare quella di permettere al venditore e all’acquirente di “accordarsi” per concludere il pagamento al di fuori della piattaforma. Infine la Commissione chiede ai giganti di consentire ai consumatori di disinstallare software nativi, ovvero già preinstallati sui device come le app, come ulteriore ridimensionamento della loro posizione dominante. «Il DMA non sarebbe servito 20 anni fa – ha detto Giordano – oggi servono regole chiare sui gatekeeper, ovvero i punti di accesso della rete».
Margrethe Vestager, commissaria UE per l’Europa digitale
Lotta al cyberbullismo
Una delle tematiche cruciali della sicurezza online riguarda infine i contenuti illegali che spesso finiscono sotto la definizione di cyberbullismo. Vite distrutte per immagini e video divenuti virali e sui quali le piattaforme hanno spesso monetizzato, intervenendo soltanto dopo una macchinosa procedura. «Le vittime di questi reati online – ha concluso Giordano – avranno un decalogo per tutelare i propri diritti. Il DSA individuerà le procedure per rimuovere i contenuti e le piattaforme non potranno più dire cavarsela dicendo che le vittime non hanno seguito l’iter corretto per richiedere la rimozione».