I numeri dei download crescono, in modo costante. Ecco a cosa può servire l’app immuni per gestire un autunno ancora in emergenza sanitaria: perché vale la pena installarla?
Quasi 7 milioni di download, 6.679.118 per la precisione, pari al 17 per cento degli smartphone italiani: i numeri ufficiali di immuni, aggiornati al 1 ottobre e comunicati dal Ministero della Salute, dipingono un bicchiere mezzo pieno. Nel mese di settembre sono stati quasi 1,3 milioni i nuovi download, in crescita rispetto ad agosto, segno che tra la popolazione comincia a diffondersi la conoscenza di questo strumento – forse anche complice la spinta emotiva dell’aumento delle infezioni Covid-19, che hanno ricominciato a crescere dopo le vacanze. Ma qual è la vera situazione e a cosa può servire oggi, in piena seconda ondata, l’installazione di immuni?
Diamo un po’ di numeri
Qualunque sia la percentuale di utenti che ha installato immuni, i dati comunicati dalle fonti del Ministero della Salute dicono quanto segue: sono 338 gli utenti che avevano installato l’app e sfortunatamente hanno contratto il Coronavirus, e che quindi hanno comunicato tramite l’app l’avvenuto contagio con apposita segnalazione. Questo ha generato 5.329 notifiche ad altrettanti utenti immuni, con un aumento significativo dall’inizio delle scuole (oltre 1.100 solo nei primi 10 giorni del nuovo anno scolastico), e stando alle informazioni fornite ciò ha permesso di spezzare non meno di 13 catene di contagio in altrettanti potenziali focolai. Sono situazioni nelle quali immuni è di fatto indispensabile, in questi casi con estrema difficoltà si sarebbe potuto risalire a questi possibili contagi con gli strumenti tradizionali: sono dunque da calcolare come guadagno netto, per così dire, nella strategia per contenere l’epidemia.
Come funziona immuni è presto detto: sfrutta il Bluetooth (per essere precisi la versione Low-Energy della tecnologia, che ha un impatto davvero minimo sulla carica dello smartphone) per scambiare con altri telefoni nelle vicinanze una serie di codici pseudo-anonimi, che di fatto impediscono di risalire all’identità di chi incontriamo e che vengono conservati nella memoria locale per 15 giorni. L’app distingue tra possibili contatti a rischio, e quelli che non lo sono, in base ai criteri decisi dal Ministero della Salute: se siamo stati a meno di 2 metri di distanza per più di 15 minuti potremmo essere stati esposti, dunque nella sfortunata ipotesi qualcuno dovesse aver contratto il virus, e segnalasse la positività nell’app, riceveremo una notifica.
immuni è un’app sviluppata sulla base del protocollo Google-Apple appositamente studiato: è basata su una architettura decentrata, dunque i dati sui contatti che raccoglie il nostro telefono rimangono esclusivamente a bordo dei nostri smartphone. Nessuno quindi potrà essere al corrente di chi incontriamo o quando: l’app non ha accesso neppure al GPS, quindi non può accedere a quel tipo di informazioni. L’unica funzione centralizzata è quella della distribuzione dei codici di chi scopre di essere contagiato: anche quelli sono però dati del tutto pseudo-anonimi, una scelta operata per minimizzare i rischi per la privacy dei cittadini. Le informazioni utili ai medici sul piano epidemiologico vengono raccolte tramite il sistema di contact tracing tradizionale: quello che svolgono gli addetti ai lavori cercando di rintracciare i contagi mediante le informazioni fornite direttamente dai pazienti.
A cosa serve immuni
Come appena detto, immuni non sostituisce il contact tracing tradizionale: quello resta indispensabile e irrinunciabile, serve soprattutto per rintracciare e informare le possibili catene di contagio all’interno di luoghi frequentati abitualmente come gli uffici. Pensate a un dipendente che risulti positivo al Covid-19: oltre a informare come è ovvio i suoi colleghi, si tenterà di incrociare le agende di questi ultimi per scovare possibili altre esposizioni di chi è entrato in contatto con loro, poi si passerà alle famiglie e gli altri contatti con ovviamente rischio sempre meno grave quanto più ci si allontana dalla possibile fonte del contagio.
Invece immuni serve a scoprire se per sfortuna siamo rimasti in prossimità di un portatore del virus del tutto inconsapevole (perché asintomatico) abbastanza vicino, e abbastanza a lungo, tanto da aver rischiato di contrarre a nostra volta l’infezione: può succedere in metro, tram, bus, in fila al supermercato o all’ufficio postale. Sono situazioni nelle quali è impossibile che il contact tracing tradizionale funzioni: immuni serve a colmare queste lacune. Di fatto il sistema di exposure notification, così lo chiamano Google ed Apple, serve a provare a rintracciare i contatti casuali a rischio con i cosiddetti pazienti asintomatici: si tratta dei casi più complessi da individuare, perché sono quelli che possono sfuggire al contact tracing tradizionale.
Che cosa succede se immuni ci notifica un possibile contatto a rischio? La notifica che riceviamo è del tutto anonima, non sapremo dove o quando è successo: nessuno a parte il proprietario del cellulare saprà che è arrivata e a quel punto potrà decidere di farsi controllare, prima ancora di manifestare i sintomi, così da scoprire in anticipo l’eventuale infezione e mettere al sicuro i propri cari che rischierebbero a loro volta il contagio. Il suo utilizzo è vantaggioso dunque per noi stessi, ma soprattutto lo è per il prossimo: proprio come le mascherine, il suo utilizzo è un gesto altruistico che serve a impedire che la diffusione del virus prosegua.