In lizza ci sono altri paesi come Francia e Germania. Sul piatto 3 miliardi di euro di investimenti e 6mila nuovi posti di lavoro. Sembrava fatta, e invece…
Se a marzo 2022 anche noi scrivevamo di un accordo molto concreto che vedeva l’Italia destinataria quasi certa di un investimento da parte di Intel per ospitare una fabbrica di chip, nelle scorse ore il numero uno della società americana Patrick Paul Gelsinger ha dato aggiornamenti che rendono le prospettive meno scontate. L’Italia, infatti, sarebbe ancora in partita, ma la multinazionale sta valutando altre possibili destinazioni: Germania Francia, Irlanda, Polonia e Spagna. Il Ceo ne ha discusso in un’intervista al Corriere della Sera, testata che ha parlato di “parole fredde” da parte di Gelsinger. A inizio 2022 l’Italia sembrava in testa per aggiudicarsi quell’investimento da parte di Intel. Si è letto di almeno 3 miliardi di euro e di 6mila nuovi posti di lavoro.
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La crisi dei chip è uno dei temi caldi delle cronache tech degli ultimi anni. Dopo lo scoppio della pandemia e l’invasione russa in Ucraina, l’economia ha subìto più di una scossa e la supply chain ne ha risentito. Oltreoceano gli Stati Uniti stanno investendo parecchio su questo fronte: l’amministrazione Biden vuole installare in patria le fabbriche per ridurre le dipendenze dall’estero sia per quanto riguarda i chip, sia per le batterie. In particolare gli occhi sono puntati su Taiwan, da dove proviene il 90% dei chip avanzati, come ha ricordato il Ceo di Intel.
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Trattandosi di Taiwan non si può non citare la minaccia cinese. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, diversi osservatori sostengono che in Oriente non sia improbabile un’operazione analoga. L’isola a un passo dal continente asiatico è reclamata da Pechino da decenni come parte integrante del proprio territorio. Nel momento in cui dovesse verificarsi una escalation, le ripercussioni sull’economia globale e, nella fattispecie sul settore dei chip, sarebbero immediate.