La giornalista 51enne è stata arrestata 13 volte, condannata cinque volte a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate. È ancora detenuta nel carcere di Evin
La settimana dei Nobel prosegue con l’assegnazione di uno dei premi più attesi dell’anno, il Nobel per la Pace. Ad aggiudicarselo, Narges Mohammadi, attivista e giornalista iraniana 51enne arrestata 13 volte, e condannata cinque volte a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate. «La coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali», ha motivato il comitato per il Nobel. A Mohammadi, ancora detenuta nel carcere di Evin, vanno i complimenti delle più alte cariche istituzionali. Con lei si sono congratulati il presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
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Le ragioni del riconoscimento
Secondo il testamento di Alfred Nobel, i Nobel per la Pace viene conferito a qualcuno che ha lavorato per la “fraternità” tra le nazioni, riducendo gli eserciti e tenendo congressi di pace. Nel corso degli anni si è ampliato coinvolgendo vari tipi di sostenitori della pace, dalle organizzazioni internazionali come il Programma alimentare mondiale ai medici che lavorano a sostegno delle vittime di stupro. Quest’anno, il comitato ha riconosciuto l’impegno della giornalista nella sua lotta contro l’oppressione delle donne e per promuovere i diritti umani e la libertà, esortando l’Iran a rilasciarla al più presto. La presidente del Comitato norvegese, Berit Reiss-Andersen, ha sottolineato che la lotta di Narges Mohammadi è portata avanti «a fronte di un’enorme sofferenza», aggiungendo: «Mohammadi è ancora in prigione. Se le autorità iraniane prenderanno la giusta decisione, la rilasceranno così che potrà essere qui per ritirare il premio a dicembre». Il Comitato ha ricordato, in particolare, il suo ruolo nella mobilitazione di protesta seguita alla morte nel settembre 2022 di Mahsa Jina Amini: «Dalla prigione ha espresso supporto per i dimostranti e ha organizzato azioni di solidarietà insieme con altri detenuti. Le autorità penitenziarie hanno risposto imponendole restrizioni ancora più severe, vietandole persino di ricevere telefonate o visitatori; lei però è comunque riuscita a far diffondere un articolo che è stato pubblicato dal New York Times nel primo anniversario dell’uccisione di Mahsa. Più ci rinchiudono, più diventiamo forti». Anche la famiglia di Narges ha commentato il riconoscimento come un momento storico per la lotta alla libertà in Iran.
Chi è Narges Mohammadi
Vice-presidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, Narges Mohammadi è in carcere dal maggio 2016. Sostenitrice della campagna contro la pena di morte, la prima condanna, a un anno di carcere, è arrivata nel 1998, per aver criticato il governo. Nell’aprile 2010 è stata convocata presso la Corte rivoluzionaria islamica per la sua adesione al Centro per la difesa dei Diritti Umani ma è poi stata rilasciata a fronte di una cauzione di 50mila dollari. La sua libertà, però, è durata ben poco: solo qualche giorno dopo è stata incarcerata di nuovo a Evin, per essere poi rilasciata e di nuovo imprigionata nel 2015 e nel 2016. Il 16 novembre 2021 è stata nuovamente arrestata mentre partecipava a una cerimonia commemorativa nella città di Karaj, in ricordo di Ebrahim Ketabdar, ucciso dalle forze dell’ordine durante le proteste di novembre 2019. Il 15 gennaio 2022 viene condannata a otto anni e due mesi di reclusione, due anni di esilio e 74 frustate. A Narges sono state negate le cure mediche, secondo quanto riferito da Amnesty International, nonostante soffra di una malattia polmonare. Nel 2022 la BBC la inserisce nella lista delle 100 donne più importanti del mondo.