In collaborazione con |
Dagli agrofarmaci biologici alle nuove tecniche genomiche, passando per il precision farming: ecco come la tecnologia e un approccio innovativo possono aiutare il sistema agroalimentare ad affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico, permettendo di coniugare produttività e sostenibilità
“Produce more with less”. Ovvero, produrre di più con meno. È questo il principale obiettivo a cui dovrà tendere l’agricoltura del futuro. Si prevede che nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9,8 miliardi di esseri umani, ma soprattutto dovremo fare i conti – in realtà, dobbiamo farlo già adesso – con gli effetti del riscaldamento globale.
Ecco, dietro quel “with less” c’è proprio la trasformazione in chiave green dell’industria agroalimentare: l’esigenza di ridurre le emissioni di gas serra, di utilizzare in maniera più mirata i prodotti fitosanitari, di gestire in maniera più efficiente le risorse naturali. Ed essere più sostenibili non può che significare essere più innovativi. Di questo si è parlato a lungo nella giornata di ieri durante l’incontro “Unleashing the potential of innovation”, organizzato da Syngenta nell’ambito del Forum for the Future of Agriculture.
Tra big data ed editing genomico
Dimentichiamoci l’immagine bucolica del contadino con in mano il forcone. Diventerà sempre più familiare invece l’immagine dell’agricoltore intento a leggere e interpretare sullo smartphone i dati provenienti direttamente dal campo. Uno dei filoni con gli sviluppi più interessanti è infatti quello dell’agricoltura di precisione (precision farming, in inglese), che si basa sull’utilizzo dei cosiddetti big data.
In poche parole, si tratta di raccogliere (per esempio attraverso sensori, oppure tramite monitoraggio satellitare) una moltitudine di informazioni relative allo stato di salute delle piante, che vengono poi rielaborate per fornire una panoramica generale. In questo modo, l’utente si ritrova in mano uno strumento utile per prendere di volta in volta la decisione migliore in base al contesto. Si interviene cioè solo quando è necessario, riducendo al massimo gli sprechi. Qualche esempio? Si può verificare se le piante sono in una condizione di stress idrico e dunque se c’è bisogno di irrigare, oppure se ci sono le condizioni ambientali per un attacco da parte di funghi e quindi se occorre un trattamento, e via discorrendo.
Il webinar di Syngenta è stata anche l’occasione per fare il punto sulle nuove tecniche genomiche, note anche con la sigla NGTs, acronimo che sta per New Genomic Techniques. L’argomento non manca di suscitare un certo dibattito. Lo scorso novembre, Frans Timmermans ne ha riconosciuto il ruolo di primo piano nell’ambito della strategia europea Farm to Fork: “hanno il potenziale per contribuire agli obiettivi di una produzione agroalimentare più resiliente e sostenibile“, ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Europea e responsabile dell’European Green Deal. Sono decisamente più scettiche invece le associazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace e Slow Food.
Ci stiamo riferendo in particolare a CRISPR/Cas9, il famoso “taglia e cuci” del Dna che è valso il Nobel per la chimica nel 2020 alle ricercatrici Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna. Quello che è emerso nel corso dell’incontro è che l’opinione pubblica non ha ancora chiara la distinzione tra gli OGM e gli NGTs. Come ha spiegato Sarah Iveson, responsabile dell’area Field Crops Seeds Development per Syngenta, nel caso degli NGTs non viene modificato il corredo genetico di una pianta con l’inserimento di sequenze genetiche di altre specie vegetali (cosa che invece avviene negli Ogm tradizionali con la transgenesi), ma vengono combinate varianti genetiche di una stessa specie.
Le potenzialità sono enormi. Grazie alla sua precisione l’editing genomico potrebbe rivelarsi utile, per esempio, per lo sviluppo di colture resistenti a specifici agenti patogeni o a condizioni climatiche avverse, per esempio alle siccità che sono destinate a essere sempre più frequenti e intense a causa del cambiamento climatico, garantendo maggiori rese produttive.
Un’ultima considerazione. È bene porre l’accento sul fatto che l’innovazione non riguarda solo ed esclusivamente l’avanzamento tecnologico, ma è un concetto che va inteso a 360 gradi. Fa parte di una visione innovativa anche trovare il modo di riconnettersi con la natura e mantenere un occhio di riguardo alla tutela della biodiversità. Infine, bisogna saper innovare anche nel campo del marketing e della comunicazione: troppo spesso si sottovaluta il ruolo svolto dalla condivisione di idee e di informazioni tra le comunità agricole e i vari stakeholder della filiera agroalimentare.