Sentita dalla commissione Affari costituzionali del Senato, la Garante si è espressa a favore degli impianti da installare in asili e scuole. L’abbiamo intervistata
Sì alle telecamere in classe. Ad approvare la proposta di Legge che prevede la “possibilità” di introdurle negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia è il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano. Sentita dalla commissione Affari costituzionali del Senato, la Garante si è espressa a favore degli impianti: “L’obbligo di installare telecamere negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia consentirebbe una maggiore tutela contro violenze e abusi nei confronti di bambini molto piccoli. Altrettanto importante, però, è prevedere sistemi di formazione iniziale e permanente del personale e una sistematica raccolta dati di tipo quantitativo e qualitativo che, dando la fotografia del fenomeno, consenta di porre in essere interventi di prevenzione. L’insieme di queste misure consentirebbe così di garantire l’interesse prevalente rispetto a tutti gli altri in gioco: il superiore interesse del minore, previsto dall’articolo 3 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”.
L’autorità del garante per l’infanzia e l’adolescenza era già stata ascoltata sulle proposte di legge in materia di videosorveglianza il 3 ottobre scorso dalle commissioni riunite affari costituzionali e lavoro della Camera dei deputati ma ora è tornata a dire la sua.
“L’obbligatorietà – osserva la Garante – è funzionale rispetto alle finalità che si propone la proposta di legge, vale a dire prevenire e contrastare maltrattamenti e abusi. La tutela di diritti fondamentali di soggetti vulnerabili, la prevenzione dei reati e l’agevolazione delle indagini, ha una connotazione di natura pubblica, sganciata da una valutazione delle parti e rimessa alla scelta del legislatore”. Sotto il profilo della riservatezza poi – diritto sancito dalla Convenzione Onu anche a tutela dei minorenni – secondo l’autorità garante è positivo che i sistemi di videosorveglianza siano a circuito chiuso, criptati e accessibili soltanto su autorizzazione della magistratura.
L’intervista a Filomena Albano
Come si concilia il diritto alla riservatezza con la necessità di avere delle telecamere in classe?
Si tratta di bilanciare gli interessi. Sicuramente quelli dei bambini prevalgono su quelli degli adulti. Dobbiamo tutelare i minori da forme di violazioni delle immagini ma anche dagli abusi e dai maltrattamenti. Questo bilanciamento si realizza con il sistema di videosorveglianza a circuito chiuso. Le immagini sono criptate, accessibili solo alle forze dell’ordine e dietro autorizzazione dell’autorità giudiziaria e in presenza di notizia di reato analogamente a quanto accade già oggi per fatti avvenuti. In questo caso gli impianti di videosorveglianza avrebbero una funzione di deterrenza.
Scusi ma quante telecamere dovrebbero essere installate per riuscire a contrastare un atto di violenza che può consumarsi in aula così come in bagno o nel giardino della scuola?
I sistemi di videosorveglianza non possono essere l’unico sistema. Servono anche valutazioni psico attitudinali all’ingresso e periodicamente oltre ad un sistema di formazione continua. Questo perché si possono sempre verificare dei coni d’ombra cioè ambiti che sfuggono agli impianti di videosorveglianza. E’ evidente che servono anche altri interventi. Le misure potrebbero essere adottate anche progressivamente se è una questione di costi. Il mio compito è quello di esprimere pareri su proposte di Leggi e non quello di individuare le coperture finanziarie. Posso però dirle che se ci sono problemi di coperture finanziarie si può pensare di partire con i nidi dove i bambini sono così piccoli che non possono né difendersi né riferire quello che è accaduto. In quel caso gli accertamenti probatori durerebbero anni e sarebbero invasivi della sfera di educatori e insegnanti coinvolti.
Nei primi tredici giorni dell’anno si sono verificati ben quattro episodi di violenza su minori. Tre su quattro sono stati commessi da donne con più di cinquant’anni. Siamo di fronte alla necessità di sancire lavoro usurante quello dell’insegnamento?
Bisognerebbe avere una fotografia del fenomeno che attualmente manca. Avere un quadro significa incrociare i dati sulle denunce che ha il ministero dell’Interno con quelli sulle condanne che ha il ministero della Giustizia. Serve un ragionamento sulle concause del fenomeno: quelle legate all’età dell’insegnante, al numero degli allievi in classe. Si tratta di una valutazione dettagliata dei dati che allo stato attuale non c’è. Solo avendo una fotografia del fenomeno si possono individuare gli interventi di prevenzione.
Forse di là delle telecamere servirebbe un responsabile delle risorse umane come in qualsiasi altra azienda?
E’ una bella idea alla quale non ho pensato. Non è prevista nella proposta di Legge dove invece c’è la valutazione psico attitudinale all’ingresso perché si tratta di professioni usuranti. Ci dovrei riflettere meglio.