In Inghilterra diventa obbligatorio saperle fino al 12 già a 9 anni. E si riaccende il dibattito: è meglio un apprendimento mnemonico o più creativo?
Cinque per tre, quindici. Otto per sette, cinquantasei. Le tabelline sono da sempre considerate noiose ma a riabilitare uno dei metodi matematici più antichi è il ministro dell’istruzione inglese Nick Gibb che ha dichiarato: “Sono fermamente convinto che ogni allievo delle elementari debba conoscere a memoria le tabelline, con richiamo immediato del risultato, entro la fine del quarto anno”. Parole che hanno fatto seguire i fatti perché Gibb ha allargato i programmi di studio puntando ad un obiettivo: fare in modo che i bambini di nove anni sappiano a memoria le tabelline fino al dodici. Uno studio serrato, preciso e puntuale che sarà seguito da test per verificare le competenze dei ragazzi.
Una decisione che riapre il dibattito sull’utilità dello studio a memoria: è utile imparare a ripetere una poesia, le tabelline o delle regole grammaticali? Serve nella vita professionale? A cosa giova? Fin dai tempi più antichi, in qualsiasi cultura, si sono imparati testi a memoria: basta pensare a come venivano appresi i versi della Bibbia nei monasteri o del Corano nelle mederse (le scuole coraniche) dove si apprendevo i versetti delle sure, scrivendoli a mano su tavolette di legno. Fino a qualche anno fa, tutti sapevano a memoria i primi articoli della Costituzione italiana e Leopardi con il suo “Infinito”: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.
Oggi sopravvivono solo le tabelline. Nessun ragazzo sa più a memoria una poesia di Pascoli o l’incipit dei “Promessi Sposi”. In Italia, a scuola, le tabelline si imparano ancora a memoria con l’ausilio di canzoni e filastrocche ma anche scrivendole volta per volta sul quaderno. Contrario all’idea inglese è Jo Boaler, docente di didattica della matematica, attualmente in servizio all’università di Stanford, in California: “Impararle a memoria è inutile e dannoso”. Secondo la studiosa far credere a un bambino che, se non riesce a fornire in tempi record il risultato di una tabellina, significa che non è portato per la matematica, è un errore. A favore delle tabelline si è schierato, invece, Giuseppe Rosolini, logico matematico dell’Università di Genova che come riportato da un quotidiano nazionale ha detto: “Servono come imparare l’alfabeto. Uno bravo con le tabelline non è necessariamente bravo in matematica, e viceversa. Ma non sapere i calcoli elementari è come non sapere mettere insieme le lettere dell’alfabeto”.
Forse serve capire se, oggi è ancora utile avere una mente formata con un approccio che deriva dall’apprendimento a memoria. In un’epoca in cui anche la conoscenza è a portata di mano, forse serve molto di più invogliare i ragazzi con metodi creativi piuttosto che chiedere loro di ripetere una, due, tre, dieci, cento volte dei numeri o una poesia. Dall’altro canto, spesso, i ragazzi che imparano a studiare a memoria un testo di fronte alla difficoltà di una domanda che va oltre la risposta immediata consequenziale all’apprendimento di quel versetto greco o latino, entrano in crisi senza sviluppare una mentalità capace di essere creativa. A onore dell’apprendimento a memoria va comunque detto che chi ha appreso le declinazioni latine o greche, oggi pur non ricordandole più con precisione, ha sviluppato una capacità di ricerca (per esempio in campo etimologico) notevole. Il dibattito è aperto.