“Vogliamo una stampante 3D in ogni scuola”, è un’affermazione forte che però corre il rischio di essere banalizzata. Ecco perché darle il giusta importanza
Tra i progetti italiani sull’uso delle stampanti 3D nella didattica che hanno ricevuto maggiore visibilità sulla stampa nazionale, possiamo citare: “FabLab a Scuola”, “FaberSchool” e “RepRap”. Nel primo, la Fondazione Nord Est, con il sostegno di UniCredit, DWS Systems e Roland, ha avviato la creazione di una rete di Fablab nelle scuole del Nord Est attraverso un’azione di crowdfounding. FaberSchool è organizzato dal laboratorio FaberLab di Tradate (Varese) e coinvolge per il momento sette istituti superiori, ma è già in programma un allargamento alle scuole primarie e secondarie. Infine “RepRap”, nasce in Salento e intende dotare sette scuole capofila di stampanti 3D e poi espandersi ulteriormente.
A questi progetti si aggiungono numerosissimi casi isolati di scuole che si stanno dotando di strumentazioni tipicamente da maker, prima di tutto di una stampante 3D. Ritengo tutte queste esperienze molto interessanti e degne di ammirazione perché, con i fondi interni o tramite la partecipazione di enti privati, si cerca di ridurre quel gap temporale tipico italiano per il quale l’arrivo della tecnologia nelle scuole avviene quanto questa è già sulla via dell’obsolescenza.
Il passato delle LIM e il futuro delle stampanti 3D?
Tuttavia, l’introduzione di nuove tecnologie nella scuola necessita una notevole cautela da parte delle istituzioni e delle scuole stesse. Nel mio lavoro analizzo e studio i metodi didattici innovativi, ed osservo gli effetti dell’introduzione delle nuove tecnologie a scuola e in generale con tutto quello che riguarda il cambiamento della scuola pubblica. Quello che noto spesso è una tendenza allo scollamento, a porre una distanza, tra l’oggetto tecnologico e la didattica ad esso associata. Esempio evidente di questo fenomeno si è avuto, una decina di anni fa, con l’introduzione delle LIM (Lavagne Interattive Multimediali) nelle scuole, prima in modo occasionale e in seguito con programmi nazionali piuttosto importanti. Quello che si è registrato è stata la difficoltà da parte degli insegnanti ad usare la LIM sfruttandone le importanti potenzialità. I docenti, spesso, la consideravano al pari di un computer con proiettore, eventualmente con qualche funzionalità “touch”. Una visione assai limitata.
Soprattutto nei primi tempi, gli esempi di insegnanti che avevano adottato metodi evoluti di lavoro in classe, o che utilizzavano contenuti in grado di sfruttare le opportunità offerte dalle LIM, erano molto pochi. L’opionione che si diffuse fu che le LIM non erano utili; soldi sprecati. Ma è evidente, soprattutto per chi ha lavorato a stretto contatto con gli insegnanti, che la colpa non era della LIM, ma della difficoltà incontrata a cambiare metodo di lavoro, ad investire energie e tempo per adeguare lezioni, contenuti, programmi.
Non vorrei che lo stesso accadesse oggi, proprio quando il movimento maker con le stampanti 3D, la robotica, Arduino sta entrando in modo prorompente nelle classi delle scuole italiane.
Prima definiamo una nuova didattica e poi le stampanti 3D
Per esperienza diretta, ritengo che sia possibile introdurre la stampante 3D in ogni ordine e grado di scuola, da quella dell’infanzia fino ai licei e agli istituti tecnici, ma solo e soltanto se l’introduzione dello strumento sarà accompagnata da solidi programmi educativi pensati appositamente per valorizzarne l’uso didattico e non con l’unico fine di “imparare a usare lo strumento”.
Alla scuola e alla società non servono bravi tecnici di stampanti 3D, ma ragazzi abituati ad avere un approccio di tipo “problem solving”. E le stampanti 3D – così come la robotica, Arduino, e la filosofia maker in generale – è in grado di svilupparlo. Basta assistere ad una gara di robotica competitiva dove partecipano le scuole, per rendersi conto che quando la tecnologia è impiegata per rinforzare l’apprendimento delle normali discipline scolastiche i risultati sono sorprendenti. Soprattutto quando si supera il pregiudizio che questi strumenti servano soltanto agli istituti tecnici.Tramite software come Doodle3D e Tinkercad è possibile iniziare a lavorare dalla scuola dell’infanzia e poi crescere fino alle superiori, definendo per ogni ordine e grado compiti adatti all’età de gli studenti.
Stampanti 3D : c’è tanto entusiasmo, ma serve attenzione
Concludendo, vorrei ribadire un concetto più volte espresso. L’avanzata della cultura maker nella scuola è senza dubbio una cosa positiva, ma – il monito va a chi, in diverso modo, ha a che fare col mondo della scuola – si faccia attenzione a non cadere in uno sterile tecnodeterminismo. Non ci può essere vera innovazione se alla tecnologia non viene affiancata una riflessione più profonda che coinvolga la didattica e il rapporto fra spazi e tempi dell’apprendimento e dell’insegnamento. Un importante contributo a questa riflessione può senz’altro venire anche dalla tradizione pedagogica italiana.
Una rivoluzione è in atto, ma occorre guidarla nella direzione giusta.
di Lorenzo Guasti