A venti giorni dallo sciopero, i rider di Foodora hanno ricevuto l’invito ad un incontro per discutere con il management un nuovo contratto di collaborazione
Sono trascorsi 20 giorni da quando i rider di Foodora di Torino hanno deciso di incrociare le braccia, per quello che è passato alle cronache come il primo sciopero dei dipendenti di una startup. E’ successo agli inizi di ottobre, quando 300 fattorini vestiti di rosa della startup tedesca che si occupa di consegna di cibo a domicilio, chiedevano alla dirigenza italiana migliori condizioni di lavoro. Dopo quei giorni e dopo una call su Skype e un incontro solo promesso, la società ha invitato proprio i rider di Torino ad un incontro con il management: il 2 novembre. Un’occasione di confronto, uno spazio di dialogo.
Sul tavolo il nuovo contratto di collaborazione. Nel dettaglio, si parlerà di compensi a consegna, convenzione con le ciclo-officine e di nuovi canali di comunicazione.
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Riders in agitazione
La storia dell’agitazione dei collaboratori di Foodora è iniziata il 7 e 8 ottobre con un comunicato in cui si contestava la retribuzione, l’eccesso di flessibilità (nessuna certezza di uno stipendio minimo e assenza di tutele) e la manutenzione delle biciclette totalmente a carico dei dipendenti. Le acque però erano agitate già da un po’. A luglio ci sarebbe stato un incontro tra rider e management durante il quale i primi avevano ricevuto rassicurazioni sul loro contratto e sulla possibilità di ricevere dei rimborsi spese. A settembre le modifiche ci sono state, ma non a vantaggio dei rider. Anzi. Come ci ha raccontato uno dei ragazzi, i vecchi contratti sono passati da una retribuzione oraria di 5,60 lordi per ogni ora passata in bicicletta, al pagamento a consegna a 2,70 euro, senza tenere in considerazione i chilometri percorsi. Le modifiche dei contratti vecchi poi hanno plasmato anche i nuovi contratti.
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La call su Skype e la newsletter
Nei giorni successivi all’inizio dello sciopero, i fattorini di Foodora hanno cercato il dialogo con la dirigenza. Dopo una giornata di presidio davanti alla sede torinese dell’azienda, il 10 ottobre alcuni rappresentanti dei dipendenti sono riusciti a parlare in conference call con i responsabili italiani della startup tedesca. Con la promessa di un incontro. Promessa. Perché giovedì 14 ottobre, il faccia a faccia si è trasformato nell’invio di una newsletter, in cui si proponevano dei cambiamenti per migliorare la condizione dei lavoratori. Una risposta però ritenuta non adeguata (anzi offensiva) dai ragazzi. Ora l’incontro del 2 novembre.
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Sharing economy? Non proprio
Sul caso Foodora tanto si è detto. Fino al punto di parlare del primo sciopero della Sharing Economy. Il fatto è che, come ci spiegano bene Arcangelo Rociola e Simone Cosimi, sharing economy Foodora non è. Meglio sarebbe chiamarla col suo vero nome: gig economy, o “economia dei lavoretti”. Lavoretti fatti per arrotondare. Come se ne sono fatti sempre e che continueranno a essere svolti come prima. Solo in modo un po’ diverso. Più o meno come la pizzeria non ti dava contratti decenti e paghe orarie 10 anni fa, non te li daranno Foodora, Deliveroo o JustEat. Ci puoi fare uno stipendio vero con un lavoretto? L’altro grande fraintendimento fa riferimento all’altro soggetto sul banco degli imputati: la digital economy. Che il lavoro lo crea davvero. Ma di qualità, non (solo) lavoretti per una società di food delivery. Un abbaglio madornale.
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