I fattorini in bicicletta dell’azienda tedesca sono in sciopero da venerdì sera per ottenere retribuzione migliore e inquadramento contrattuale meno precario. La mobilitazione è partita da Torino ma minaccia di allargarsi
E’ il primo sciopero di tutti, o quasi, i lavoratori di una startup. Sta accadendo a Torino dove da venerdì sera i fattorini vestiti di rosa di Foodora, la startup tedesca che si occupa di consegna di cibo a domicilio, protestano contro la dirigenza dell’azienda in Italia. I dipendenti, conosciuti come riders, sono attivi al momento a Torino e a Milano. Hanno protestato qualche mese fa anche i dipendenti di Pizzabo che si opponevano al trasferimento a Milano dopo la cessione a Just Eat. Ma quella era una vertenza sindacale. Questo è il primo caso di sciopero per le condizioni di lavoro.
E dal capoluogo piemontese, dove i fattorini sono circa 300, esplode il dissenso per condizioni di lavoro ritenute inaccettabili: «Traffico e smog, al caldo e al freddo, sotto la pioggia o la neve, 7 giorni su sette», denunciano i dipendenti.
L’inizio della protesta: i punti contestati
Un comunicato dà il via allo sciopero tra il 7 e l’8 ottobre. I punti contestati a Foodora sono 3:
- La retribuzione: 2 euro per consegna viene considerata una cifra troppo al di sotto della media nazionale e di quella internazionale;
- La flessibilità: nessuna certezza di uno stipendio minimo e assenza di tutele;
- Strumenti di lavoro (bici e smartphone): la manutenzione è totalmente a carico dei dipendenti.
Sono richieste che i ragazzi di Foodora fanno ormai da molto tempo ai dirigenti di Foodora, senza ottenere risposte. Con il tempo, la situazione dicono sia peggiorata. A luglio c’era stato un incontro tra le parti durante il quale i dipendenti avevano ricevuto delle rassicurazioni sul loro contratto e sulla possibilità di ricevere dei rimborsi spese. A settembre, però, le modifiche comunicate non sembrano a vantaggio dei riders.
Come sono cambiati i contratti
Prima la retribuzione dei loro contratti di collaborazione era oraria – 5,60 lordi per ogni ora passata in bicicletta. Ora invece, si viene pagati solo per la consegna, 2,70 euro, senza tenere in considerazione quanti chilometri siano stati percorsi sulle due ruote.
E l’azienda guadagna di più dall’assumere sempre più fattorini, senza valorizzare la sua forza lavoro.
In secondo luogo, i riders non sono inquadrati come dipendenti ma rimangono dei liberi professionisti che lavorano a chiamata, pur essendo di fatto sottoposti a dei turni e obbligati a seguire delle precise direttive aziendali sulle divise e sui tempi. Per questo motivo nella giornata di sabato 8 ottobre una cinquantina di riders sfilano per le strade di Torino. La protesta dei dipendenti arriva quasi a bloccare le consegne in città.
Invito a boicottare Foodora sui social
L’agitazione si sposta allora dalla piazza ai social network dove i fattorini cercano di sensibilizzare i possibili utenti di Foodora e li invitano a non usare più l’app di consegna a domicilio. In alcuni casi li incitano a fare cattiva pubblicità del servizio. Insomma, una sorta di boicottaggio della startup tedesca. Abbiamo provato a contattare la società per avere la loro posizione sulla protesta, ma per ora hanno deciso di non volerla commentare.
Segno che il potere del consumatore cresce quando l’economia è sempre più condivisa. Nel frattempo, alcuni dei dipendenti che hanno messo la faccia nella protesta, cominciano a denunciare delle ripercussioni subite da parte dell’azienda.
Ambra e Ilaria sono due promoter di Foodora che fino a venerdì giravano con la giacca fucsia per Torino per consegnare cibo. Per loro la retribuzione è più alta della media dato che si occupano anche di promozione. In ogni caso, però, non riescono a superare i 500 euro al mese.
Il 10 ottobre fanno sapere di essere state escluse dai turni di Foodora ed estromesse dal gruppo Whatsapp che consente le comunicazioni tra i dipendenti. Di fatto, quindi, non è possibile per loro continuare a lavorare a causa della protesta alla quale hanno partecipato.
Il primo incontro con Foodora
Nei giorni successivi all’inizio dello sciopero, i fattorini di Foodora cercano il dialogo con la dirigenza aziendale. Dopo una giornata di presidio davanti alla sede torinese dell’azienda, nella serata del 10 ottobre alcuni rappresentanti dei dipendenti riescono a parlare in conference call con i responsabili italiani della startup tedesca, Gianluca Cocco e Matteo Lentini.
La discussione si concentra sui cambiamenti da apportare al contratto. Da parte dell’azienda arriva la disponibilità ad ascoltare le richieste dei dipendenti e c’è tempo fino a giovedì per cercare di risolvere la situazione.
Da parte dei lavoratori la proposta già c’è. La espone Jami Salati, uno dei rappresentanti dei lavoratori: «Chiediamo all’azienda un part-time orizzontale con un minimo di 20 ore. Una paga oraria fissa 7,50 netti e un bonus per il numero di ordinazioni consegnate». L’alternativa è lo stop totale del servizio.
Alcuni ristoranti sostengono la protesta
Dalla parte dei riders si schierano anche alcuni ristoranti della città. Come il ristorante Laleo di corso Verona, 38 che decide di non appoggiarsi più a Foodora per la consegna del cibo. E addirittura condivide sulla sua pagina Facebook il comunicato di protesta dei lavoratori.
Dal punto di vista del ristoratore, infatti, lo sfruttamento dei fattorini è ingiustificato dato che per ogni ordine consegnato Foodora chiede il 30 per cento del suo valore al commerciante, oltre al costo fisso di consegna che è 2,90 euro.
La protesta potrebbe arrivare a Milano
L’11 ottobre StartupItalia cerca di contattare Foodora, ma dall’azienda tedesca preferiscono non rilasciare dichiarazioni. Intanto, la protesta non sembra essersi fermata e presto potrebbe arrivare nell’altra città italiana dove il servizio è attivo, Milano.
La data X è giovedì, ma se entro quel giorno i riders non otterranno le risposte che cercano la protesta continuerà. A favore dei lavoratori di Foodora si è pronunciato anche il deputato di Sinistra italiana ex leader della Fiom torinese, Giorgio Airaudo che ha invocato l’intervento del governo e del ministro Giuliano Poletti.