Petaloso story. In molti, sul web, hanno risposto entusiasti alla proposta del piccolo Matteo per far entrare il lemma nel vocabolario. Molti prof, invece, l’hanno criticata. Eppure di parole inventate e di inventori di parole è piena la lingua
Chissà che cosa avrebbe pensato Marinetti del termine petaloso. Probabilmente gli sarebbe piaciuto: avrebbe apprezzato l’audacia del piccolo Matteo che in un compito di terza elementare doveva trovare due aggettivi da associare alla parola “fiore” ed ha scritto “profumato e petaloso” coniando di sana pianta il lemma. Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, movimento che ai primi del ‘900 inventava parole, celebrava le onomatopee, liberava il linguaggio dalla sintassi, gli avrebbe forse dato una pacca sulle spalle ed al massimo gli avrebbe rimproverato di esser stato un po’ troppo sdolcinato. Da ieri, quando si è diffusa la notizia che l’Accademia della Crusca ha risposto al piccolo Matteo che la sua parola è “bella” ma che devono usarla molte persone per poterla aggiungere al vocabolario, sui social è partita una gara a sostegno del nuovo termine, con hashtag, post, meme. Molti, forse troppi, insegnanti hanno dimostrato un certo scetticismo nei confronti della maestra Margherita che ha contattato la Crusca per conto del suo alunno. Dimenticando che è proprio così che nascono le parole, con una diffusione “virale” che nell’epoca dei social media passa per tweet e parole chiave.
Andare oltre la penna rossa
Ho letto tanti commenti che denunciavano una presunta diseducazione, uno svilimento della lingua italiana e del patrimonio culturale. Scritti da insegnanti che nel migliore dei casi hanno ceduto ai pizzichi dell’invidia (“sai quante volte i miei alunni inventano nuove parole!”) oppure addirittura sono stati infastiditi dalla scintilla della maestra Margherita, uscita fuori dallo schema bipolare dove tutto o è giusto o è un errore, da segnare rigorosamente con la matita rossa. Lei, Margherita, l’aveva segnato come errore, ma aveva aggiunto la postilla “bello”. Tutti quelli che dopo poche ore si sono già stancati della storia di Matteo e del suo fiore petaloso (c’è anche una professoressa che ha segnalato come l’errore di Matteo sia doppio, perché le margherite non hanno petali, e cito: “Il fatto è che i cosiddetti petali della margherita non sono petali, ma essi stessi fiori ligulati. Infatti la margherita è un’infiorescenza chiamata capolino. Ad un insegnante di scienze non sarebbe sfuggita l’imprecisione” ha spiegato la professoressa al bambino di 8 anni ed anche alla maggior parte di noi), tutti, insomma, dovrebbero ricordare che di “inventori” di parole è piena la linguistica. Ovviamente, come ha precisato la Crusca nella sua lettera di risposta al piccolo Matteo, le parole poi entrano nella lingua corrente grazie alle persone che le usano e non dopo che qualcuno l’ha deciso.
Inventori di parole e parole inventate
Il padre della nostra lingua, Dante Aligheri, ne ha inventate a decine, che noi tutti oggi usiamo e che lui ha scritto nella Divina Commedia: dal verbo gabbare all’espressione “non mi tange”, dalle parole “quisquilia” e “bolgia” all’espressione “il Bel Paese” passando per tantissimi aggettivi come “molesto”, “mesto”, “fertile”. Ma se “inventare” la lingua ai tempi di Dante veniva forse più naturale, poiché esisteva la commistione tra latino e lingua volgare, in realtà lo hanno fatto in molti anche in tempi più recenti. George Orwell ha inventato l’espressione “grande fratello” in un libro distopico (il famoso “1984”) e oggi per tutti noi un “grande fratello” è una spia che ci guarda dall’alto. Gabriele D’annunzio, che dall’estetismo traeva la passione viscerale per la Parola (che lui scriveva in maiuscolo) ha inventato le parole “velivolo”, “milite ignoto”, “tramezzino” e “parrozzo”, il dolce tipico abruzzese che si trova in tutti i bar di Pescara.
Giornalisti e Tv
Secondo Giampaolo Dossena, che ha scritto il “Nuovo dizionario dei giochi con le parole” di Zanichelli, una parola inventata “è una parola che s’era mai sentita, verbum inauditum. (…) Una parola inventata che entra nell’uso e viene registrata dai vocabolari si chiama neologismo. Chi l’ha inventata si chiama onomaturgo”. E se i più grandi onomaturghi sono i bambini, al secondo posto ci sono i giornalisti e la televisione. Il più famoso giornalista inventore di parole è senz’altro Gianni Brera che ha rivoluzionato il linguaggio del giornalismo sportivo introducendo parole come “goleador”, “contropiede” e “spogliatoio” nel senso di retroscena alla partita. E poi ci sono espressioni come “mani pulite”, “tangentopoli” e persino la parola “femminicidio”, sebbene non inventata da giornalisti, è entrata nell’uso comune grazie alla stampa. Ma anche la televisione fa la sua parte nell’allargamento del vocabolario, tra spot pubblicitari e programmi di intrattenimento: pensate alle parole “attapirato”, “velina” nel senso di valletta, “carrambata” inventato da Raffaella Carrà, “tafazzismo” introdotto dal personaggio di Tafazzi del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Per arrivare, infine, alla parola che in queste ore si sta contendendo i meme con “petaloso”: il celebre “inzupposo” dei biscotti pubblicizzati da Antonio Banderas. Che vi piaccia o no, si dice. E rende anche bene l’idea.