Microsoft e il Miur hanno organizzato l’Edu Day, una giornata di formazione sulla scuola digitale dedicata a ragazzi e insegnanti, per parlare delle ultime frontiere di didattica innovativa
Una macchia blu oceano. Era questo il colpo d’occhio, il 1 dicembre, durante l’Edu Day che Microsoft Italia e il Ministero dell’Istruzione hanno organizzato a Roma, vicino Piazza di Spagna, con circa 600 bambini e ragazzi che indossavano tutti una maglietta blu intenso. Sono arrivati con i loro maestri, per una giornata di formazione sulla scuola digitale, e l’hanno indossata subito: sembravano proprio un mare, con l’hashtag del giorno stampato dietro, #faigrandicose. Coding, tecnologie a scuola, Minecraft per l’apprendimento: l’Edu Day è stato organizzato per raccontare le storie di chi porta l’innovazione nelle scuole italiane e informare gli insegnanti sugli strumenti che hanno a disposizione per portare il digitale in classe perché, come ha sottolineato Mila Spicola, insegnante e consulente del Miur, “il futuro è in quella direzione, che piaccia o no. Il digitale non è uno strumento o una tecnologia in sé per sé, ma tutto dipende da che uso ne fanno gli insegnanti”.
Coding a scuola per formare specialisti dei dati
Quello di Roma è stato il primo Edu Day in Europa, ma ne seguiranno altri, ha detto il Ceo di Microsoft Italia Carlo Purassanta: “Stiamo pilotando questi incontri in tre paesi europei e per la prima versione abbiamo scelto Roma. E’ un modo per celebrare quello che l’innovazione può fare per la didattica”. Microsoft ha firmato un protocollo d’intesa con il Miur per collaborare nel processo di digitalizzazione delle scuole ed ha avviato un progetto per formare 600 dirigenti d’istituto in tutta Italia. “La tecnologia può aiutare i ragazzi a trovare facilmente lavoro: il 18,86% della domanda di lavoro in Italia è legata al digitale – ha continuato Purassanta – e nei prossimi anni ci sarà un milione di posti vacanti in Europa per ingegneri informatici. Questo non vuole dire, però, che bisogna studiare solo ingegneria. Ma è importante creare un contesto, perché qualsiasi lavoro si scelga di fare, le competenze digitali serviranno a prescindere”. Il lavoro del futuro? Secondo il Ceo di Microsoft Italia è lo “scienziato dei dati”: “Si è calcolato un +25% sulla domanda di specialisti di big data. Gli scienziati dei dati sono la cosa più richiesta oggi nel mondo. Ecco perché bisogna fare il codice a scuola, per dare l’opportunità di crescere a chi ha le potenzialità per diventare un esperto in questo settore”.
Il Piano per digitalizzare la scuola
Damien Lanfrey e Donatella Solda sono gli esperti del Miur che hanno redatto il Piano Nazionale Scuola Digitale. “Se io vi dico che in Italia ci sono 1.500 classi 2.0 sembrano tante. Ma se si considera che il numero totale delle classi è 326 mila si capisce quanto quelle innovative siano in minoranza” ha detto Lanfrey, cercando di rispondere alla domanda provocatoria “Serviva un Piano nazionale per la scuola digitale?”. Lanfrey è partito da alcuni dati:
Il 35% delle classi ha dichiarato al Ministero che fa solo uso di testi cartacei (ma noi sappiamo che il numero è più alto).
Solo una classe su tre fa uso del registro elettronico, e ben il 36% degli insegnanti italiani ha dichiarato di avere un bisogno urgente di formazione digitale: la percentuale più alta d’Europa. Oltre a questi dati, avevamo 4 ragioni per scrivere il Piano: serviva perché non è il digitale che deve andare nelle scuole, ma è la scuola che deve essere portata nell’era digitale. Poi perché dare delle risorse senza dare un indirizzo sarebbe stato poco utile: il nostro Piano dice tante cose che gli insegnanti dovevano sapere in modo chiaro, senza la confusione che talvolta c’è stata in alcune circolari del Ministero negli anni passati. Serviva per dire che l’innovazione è un percorso di continuo cambiamento e infine serviva a noi per una questione politica: il digitale non può essere sempre l’ultimo tema di cui parlare”.
Progettare il cambiamento: gli animatori digitali
L’ora di informatica a scuola ancora non esiste “perché abbiamo pensato che percorsi come programma il futuro, oppure i corsi di robotica educativa non dovessero essere visti come settoriali, ma trasversali” ha spiegato Donatella Solda. Si può progettare il cambiamento? “Si può accompagnare il cambiamento, si possono progettare le condizioni per il cambiamento”. Per esempio, un punto del PNSD su cui in questi giorni si sta parlando molto è quello che riguarda la figura dell’animatore digitale: “Il senso di questa figura non è creare nuovi ruoli dirigenziali, ma cogliere la motivazione verso il cambiamento. Il Miur è come un grande elefante che dobbiamo spingere gentilmente per raggiungere tutte le scuole. L’idea che sta dietro all’animatore digitale non è creare un club esclusivo, ma creare un team in ogni scuola, dar vita a una rete di persone che ci aiutano a realizzare il Piano in ogni scuola”.
Usare Minecraft a scuola
“Al mondo esistono solo due tipi di persone: quelle che conoscono Minecraft e quelle che non hanno figli in quella fascia d’età (dai 6 anni in su)” ha detto Marco Vigelini, informatico e volontario di Coderdojo Allumiere, il club per insegnare il coding ai bambini. Quando si parla di Minecraft, in effetti, tutta la platea dei piccoli improvvisamente si fa attenta e silenziosa, salvo interagire in modo esperto durante la dimostrazione in diretta del gioco da parte di Fabio Santini di Microsoft. Minecraft è in effetti quel gioco col quale si costruiscono mondi e per farlo bisogna spremere le competenze, fantasia e problem solving. Ma i bambini si divertono, e con la guida di un insegnante imparano le materie tradizionali semplicemente giocando.
Una palestra per allenare le competenze
Mirta Michilli è il direttore della Fondazione Mondo Digitale. L’attività della Fondazione si concentra per diffondere le cosiddette competenze del 21esimo secolo, per sviluppare nei giovani attitudini come la curiosità, la resilienza, l’antifragilità, la capacità di cadere e andare avanti. Per farlo, ha creato un ambiente di apprendimento chiamato palestra d’innovazione: “Lo scorso anno abbiamo lanciato una rete: ci sono 103 scuole in 17 regioni dove si stanno creando le palestre dell’innovazione, e ce ne sono 4 già attive a Roma, Ostia, Teramo, Eboli. Noi non abbiamo inventato nulla, abbiamo messo insieme tante esperienze: come ad esempio le Studio Schools in Inghilterra, con una pedagogia multidisciplinare, incentrata su progetti, il Programma Social and Emotional Learning a Singapore, oppure il programma Life wide learning di Hong Kong”.