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Il settore biotech sarà interessato da una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni. La formazione al centro dell’evento di Assobiotec. Intervista a Michele Morgante, presidente della Conferenza Nazionale Permanente dei Corsi di Studio in Biotecnologie. Iscrizioni aperte!
Nel prossimo decennio, il settore biotech sarà testimone di una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni del comparto. Solo il 21% sarà in decrescita, mentre il 26% resterà stabile. L’incremento di questa domanda riguarderà soprattutto alcune professioni ad alta specializzazione, specifiche del settore eo legate all’area tecnologica, come i ricercatori bioinformatici (+10,2%), gli ingegneri AI (+9,5%) e i ricercatori esperti di machine learning (+9,2%). È quanto emerge dalla ricerca “Quale futuro per le competenze nel settore biotech?”, realizzata da EY e Jefferson Wells, il brand di Executive Search di ManpowerGroup, in collaborazione con Frezza & Partners e Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica. Tra le varie evidenze, l’analisi ha confermato che la transizione tecnologica in atto avrà un ruolo chiave nel futuro dell’occupazione, soprattutto come
acceleratore dei processi di obsolescenza di professioni, competenze e mansioni. Per tutte le professioni indagate – sotto la lente di ingrandimento sono state messe 122 professioni – lo studio indica importanti trasformazioni degli skillset che le compongono, mostrando alcune criticità. Il modello, ad esempio, stima un aumento della difficoltà di
reperimento dei profili per oltre il 70% delle professioni per cui è prevista una crescita della domanda di lavoro. Allora, come prepararsi al meglio al futuro che ci attende?
Partecipa a MEET THE FUTURE: le nuove frontiere del biotech
Proveremo a rispondere a questa e altre domande il prossimo 11 ottobre in occasione dell’evento “Meet The Future: le nuove frontiere del biotech”, promosso da Assobiotec con il supporto di StartupItalia. L’iniziativa, che si rivolge principalmente ai giovani, vuole essere un momento di riflessione su alcune delle leve abilitanti per lo sviluppo delle biotecnologie a livello Paese: la formazione, la ricerca, il trasferimento tecnologico e lo sviluppo delle startup. Sarà un’occasione per confrontarsi e riflettere su questi argomenti anche in vista del lancio del Piano Nazionale per le Biotecnologie recentemente annunciato dal Ministro Urso, che è atteso in presenza. Tra gli speaker invitati a confrontarsi sul tema cruciale della formazione, prima tappa di questo Biotech Journey ideale, c’è Michele Morgante, professore di Genetica all’Università di Udine. Lo scorso maggio, Morgante è diventato anche il nuovo presidente della Conferenza Nazionale Permanente dei Corsi di Studio in Biotecnologie, osservatorio privilegiato su opportunità e criticità della formazione universitaria in questo settore. Abbiamo raggiunto il presidente in vista dell’evento dell’11 ottobre per introdurre alcune delle tematiche che verranno approfondite nel corso della sessione plenaria.
Professore, perché iscriversi a un corso di laurea in biotecnologie?
Perché è un settore in rapidissima evoluzione che, da un lato, sarà alla base di uno sviluppo economico considerevole e, dall’altro, di una serie di innovazioni che entreranno nella nostra vita quotidiana sia quando si parla di diagnostica e cure mediche sia quando si parla di alimentazione e tutela ambientale.
Quali sono le prospettive professionali dei laureati in biotecnologie?
Le prospettive sono quelle di lavorare in aziende biotech, considerate in tutta la loro grande eterogeneità, oppure di lavorare nel settore pubblico, in particolare in ambito ospedaliero o nell’ambito di enti pubblici che si occupano della tutela dell’ambiente, o ancora occuparsi di ricerca, sia in ambito privato che pubblico. Ad esempio, l’importanza dei laureati in biotecnologie si è manifestata con tutta evidenza durante la pandemia da Covid 19.
Che intende?
Perché tutti i problemi iniziali che si sono generati per la diagnostica, ovvero per individuare chi aveva contratto il virus oppure no, erano dovuti anche al fatto che il saggio diagnostico era un saggio di biologia molecolare che richiedeva da parte di chi lo doveva eseguire delle competenze in campo biotecnologico che non tutti avevano. Chi nei suoi laboratori aveva personale che avesse una preparazione in questo ambito è stato più rapido nel realizzare questi nuovi saggi diagnostici. Ma l’importanza del biotecnologo deriva anche dalla sempre maggiore pervasività di una serie di analisi molecolari che vengono utilizzate in campo medico, agroalimentare e ambientale.
Il mondo del lavoro sta assistendo a un’evoluzione molto rapida. Come si sta adeguando la formazione universitaria nell’ambito biotech per prevenire eventuali mismatch tra domanda e offerta di lavoro?
Davanti a noi abbiamo una sfida complessa, che è quella di aggiornare costantemente i curricula di studio alla rapidissima evoluzione scientifico-tecnologica che è in corso. E questa sfida diventa ancora più complessa tenendo conto dei vincoli rigidissimi che abbiamo nel disegnare i corsi di studio, vincoli che ci vengono imposti dal Ministero dell’Università e Ricerca. Di sicuro, è necessario offrire una preparazione più interdisciplinare, però questo obiettivo si scontra con il fatto che i nostri corsi di laurea devono essere costruiti secondo gabbie rigide, che sono delle ricette predefinite in cui questa interdisciplinarità fa fatica a trovare spazio. In particolare, noi dovremmo dare ai biotecnologi una preparazione molto più solida in campo matematico, informatico e statistico. Molti dei biotecnologi del futuro non lavoreranno nel laboratorio biologico
tradizionale, ma lavoreranno di fronte a un computer. E per questo abbiamo bisogno di biotecnologi che siano in grado di maneggiare, elaborare e interpretare dati.
Quali strumenti sono previsti per far dialogare e avvicinare formazione universitaria e imprese?
Sono necessari maggiori feedback da parte delle aziende su quelle che sono le loro esigenze in termini di preparazione dei laureati. Dobbiamo lavorare di più e meglio per avere un contatto costante con le imprese in modo tale da poter sapere in ogni momento che tipo di laureati vogliono avere. D’altra parte, non possiamo seguire troppo i dettami delle aziende perché credo sia interesse di tutti dare al laureato una preparazione che lo metta in grado di affrontare i problemi al di là del momento contingente. Ma c’è anche un altro aspetto importante, soprattutto per i corsi di laurea in biotecnologie.
Quale?
Basare sempre più la didattica sul concetto non del sapere, ma del saper fare, cioè dare una preparazione che aiuti i laureati a risolvere problemi. Non ci interessano laureati che sono in grado di snocciolare una nozione dietro l’altra se poi non sanno come usare quelle nozioni per risolvere i problemi pratici che si trovano ad affrontare nella vita professionale. Questo richiede che si dedichi uno spazio sempre maggiore alla didattica
laboratoriale, cioè noi dobbiamo far studiare i nostri studenti non solo di fronte ai libri, ma anche e soprattutto di fronte ai banconi dei laboratori. Che siano di tipo biologico o bioinformatico, non importa.
Quali sono oggi le sfide che devono affrontare i laureati in biotecnologie?
Credo che una delle sfide sia ritagliargli uno spazio adeguato e fare in modo che non si ritrovino schiacciati da un lato dai biologi, dall’altro dai laureati in medicina e lauree collegate al settore medico. È importante che venga riconosciuto anche il ruolo del biotecnologo. Tanto per fare un esempio, tra le lauree del settore medico c’è la laurea in Tecniche di laboratorio biomedico. Ecco, quei laureati hanno accesso a una serie di opportunità a cui i laureati in biotecnologie non hanno accesso e non ha senso che ciò accada.
Quali sono i suoi obiettivi come nuovo Presidente della Conferenza Nazionale Permanente dei Corsi di Studio in Biotecnologie?
Io credo che gli obiettivi debbano essere quelli di andare verso la definizione di curricula didattici che siano sempre più rispondenti alla necessità di allineare le competenze dei laureati con le richieste del mondo del lavoro, e che formino laureati che siano in grado di seguire lo sviluppo del settore, che sarà continuo e molto rapido. Questo non è semplice perché noi, da un lato, dobbiamo pensare alle esigenze del momento, ma poi
dobbiamo guardare avanti, offrendo una preparazione generale che li metta in grado di affrontare problemi che oggi sono di un tipo, ma domani potrebbero essere di un tipo diverso.