In collaborazione con |
Quali professioni emergeranno da qui al 2030? E quali invece scompariranno? Lo studio «Il futuro delle competenze in Italia», condotto da EY e ManpowerGroup in collaborazione con Assobiotec, ha restituito i possibili scenari per il futuro del lavoro anche nel comparto biotech
“Viviamo in un momento storico straordinario”. Così ha esordito Alessandro Testa, Direttore di Jefferson Wells – ManpowerGroup, nel suo intervento durante l’evento conclusivo del progetto “Biotech, il futuro migliore – per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Assobiotec Federchimica con il supporto di StartupItalia. Le aziende, infatti, sono pronte ad assumere nei prossimi mesi. Ma il 76% di coloro che dichiarano di voler espandere il proprio organico dicono di non essere in grado di trovare sul mercato le competenze di cui hanno bisogno. Tanto da far parlare di talent mismatch.
Testa, insieme a Carlo Chiattelli, Associate Partner – Ey Advisory, ha partecipato nello spazio dedicato alla presentazione dell’indagine “Quale futuro per le competenze nel settore biotech”. L’analisi si propone di rispondere alle domande sulle professioni del futuro. Un compito non facile, perché significa identificare competenze e abilità che saranno necessarie in un mondo che non esiste ancora. Di certo, la riflessione sull’evoluzione delle professioni è utile per ripensare agli investimenti in istruzione e formazione, e per recuperare capacità competitiva in settori strategici.
La collaborazione con Assobiotec ha fornito approfondimenti su oltre 100 professioni del settore. I risultati serviranno ad aggiornare e ampliare l’osservatorio permanente istituito dall’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie. “Grazie a questa indagine conosciamo l’evoluzione del lavoro per oltre 120 professioni biotech”, ha raccontato Carlo Chiattelli. “La domanda di lavoro nel settore è più alta rispetto alla media del mercato. Aumenterà nei prossimi 10 anni per oltre la metà (53%) delle professioni analizzate”.
Nuovi strumenti di previsione
Intelligenza Artificiale e Machine Learning sono stati gli strumenti chiave per la formulazione delle previsioni sul lavoro del futuro. I dati di partenza hanno incluso mega-trend, confronti diretti durante workshop e l’intervento di numerosi esperti del settore del mercato del lavoro, ingaggiati attraverso la viralizzazione di un game digitale tramite una chatbot di Telegram.
Il quadro restituito è la tendenza occupazionale delle professioni del futuro, in funzione dell’attuale quantità di forza lavoro occupata. È una cornice che permette di misurare il rapporto rischio – opportunità per ciascuna professione. Sulla base di ciò è possibile suggerire le azioni da intraprendere nel presente, per essere pronti in futuro.
Alleniamoci nelle nuove competenze
Dalle nuove professioni emerge anche la richiesta di competenze sempre più articolate. Le professioni tecniche del settore, infatti, sono destinate ad essere caratterizzate da un insieme sempre più complesso, strutturato e relazionato di competenze. Invece, sono destinate ad aumentare in specializzazione le professioni intellettuali.
“È cruciale che le persone riescano ad aggiornare le proprie competenze. Ma è anche necessaria una forte capacità di adattamento ai velocissimi cambiamenti che il mercato sta dimostrando in tutti i settori”, ha commentato Testa.
C’è il rischio che alcuni professionisti già presenti sul mercato manchino di alcune competenze che nel futuro saranno indispensabili.
Alle competenze fondamentali comuni a tutte le professioni si sommano competenze aggiuntive e tecniche. Inoltre, vi è la richiesta di competenze ibridanti, cioè mutuabili da altre professioni e perfettamente adattabili a una nuova professione.
Il modello stima anche quanto aumenterà il mismatch e per quali professioni. Si tratta di un gruppo di professioni molto eterogeneo. “Ci sono professioni in cui il 30% dei lavoratori sono occupati e quindi questo potrebbe essere un terreno per fare up-skilling. Ci sono invece alcuni settori in cui la quota di lavoro attuale è bassa (sotto il 5%), mentre ci sarà in futuro una forte richiesta di tali profili”, ha spiegato Chiattelli.
A essere più penalizzate sono le professioni già ad elevata complessità, per le quali però si prevede la necessità di acquisizione di ulteriori competenze complesse e articolate.
“Le aree del re-skilling e dell’up-skilling, ossia i percorsi formativi rapidi e veloci permetteranno di riadattare a breve termine le competenze richieste. Ma un pensiero lungimirante si rivolge anche al medio e lungo periodo”, ha concluso Testa.
“Per questo bisognerebbe investire su percorsi di formazione tecnici superiori”, ha aggiunto Chiattelli.
Ma quali sono le professioni più difficili da reperire?
A causa della complessità delle abilità richieste sarà sempre più difficile trovare persone con le competenze adeguate entro il 2030. Le professioni su cui sarebbe opportuno specializzarsi perché saranno figure carenti nel 2030 sono soprattutto quelle specializzate nelle forme più innovative di commercio, e persone capaci di sviluppare soluzioni e il business.
“Non si tratta solo di professioni di tipo tecnologico quelle per cui si faticherà a coprire le richieste. Alcune professioni sono legate alla cura e alla narrazione degli utenti che afferiscono a un servizio. Sono competenze rare, perché abbinate secondo modalità sconosciute al mondo del lavoro attuale. In alcuni casi sono competenze che esistono, ma necessitano di contenuti nuovi”.
Le competenze del futuro del biotech
Ma cosa servirà in particolare al settore biotech e pharma, che comunque si è dimostrato pronto al cambiamento?
Secondo Testa, “alcune meta – competenze devono essere coltivate in modo trasversale a settori e specializzazioni. Serve la capacità di visione di insieme”. Per tutte le professioni sarà importante coltivare soft skills. “Le più richieste sono il problem solving più complesso e con elevati livelli di mutabilità, e le capacità di comunicazione”.
A causa della iper-specializzazione e della complessità nelle competenze, la sfida sarà comunque alta anche per le biotecnologie. “Servirà a mantenere la qualità che il settore offre tuttora”, ha concluso Chiattelli.