La misura da 55 miliardi è sparita nel nulla. Annunciate diverse novità: carcere per chi mente nella richiesta fondi alle imprese, ecobonus anche alle seconde case
Il 13 maggio scorso Giuseppe Conte, accompagnato dai ministri Roberto Gualtieri (Economia e Finanze), Roberto Speranza (Salute), Stefano Patuanelli (Sviluppo Economico) e Teresa Bellanova (Politiche Agricole Alimentari e Forestali), annunciava alla nazione il decreto Rilancio. Il video della conferenza iniziava senz’audio, lasciando il presidente del Consiglio boccheggiare per almeno una ventina di secondi. Paradigmatico, visto che anche il Paese boccheggia e attende non che torni l’audio ma di essere ascoltato. Paese che oggi prova a ripartire, tra proteste e incertezze. Avere in tasca la sicurezza di un sostegno statale avrebbe aiutato a entrare nel pieno della Fase 2 con tutt’altro spirito. Ma, a 5 giorni dall’annuncio, del decreto Rilancio nemmeno l’ombra.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
Che fine ha fatto il decreto Rilancio?
Intendiamoci, il tessuto socio-economico attende l’ex decreto Aprile da prima di Pasqua. “Chiuderemo il Decreto entro i primi dieci giorni di aprile, in modo di poterlo varare tra il 12 e 13, prima però dobbiamo tornare in Parlamento per chiedere nuovamente di scostarci dai saldi di finanza pubblica”, scriveva all’inizio del mese scorso su Facebook il viceministro dell’Economia, Laura Castelli. Poi il decreto da 55 miliardi di euro, al pari del post, è sparito nel nulla. Rispetto al mese di attesa, cinque giorni non sono che un battito di ciglia. Però è lecito chiedersi che fine abbia fatto il decreto Rilancio.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte
La bollinatura della Ragioneria dello Stato
La politica ovviamente non ci sta a prendersi la responsabilità del ritardo, che in altre circostanze sarebbe stato solo un atteggiamento po’ gaffeur, mentre oggigiorno, con un PIL destinato a crollare rischia di rivelarsi invece oltremodo inopportuno, persino pericoloso. E dà la colpa ai tecnici. C’è stata insomma ancora una volta una “manina” che ha messo un bastoncino nelle ruotine del decreto? Più che manine si parla di timbrini. Anzi, di bollinatura. La colpa sarebbe infatti della Ragioneria dello Stato che deve controllare, comma per comma, se le singole misure introdotte hanno la copertura finanziaria. E ovviamente non ce l’hanno, o non si comprenderebbe l’attesa, che ormai sfiora la settimana.
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Se a tutto questo si aggiungono le voci secondo cui la maggioranza starebbe nuovamente litigando su alcune misure del decreto, in particolare su quelle a sostegno delle scuole paritarie (Italia Viva vorrebbe estendere gli aiuti ora limitati ai nidi e alle materne anche alle elementari e medie superiori e inferiori), il ritardo è forse persino un fatto scontato.
Ci saranno novità nel testo finale?
Il rischio ora è che il decreto Rilancio, quando finalmente sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale e avrà quindi efficacia, differisca nei contenuti rispetto agli annunci di Conte. Al momento, però, le sole novità anticipate alla stampa non sembrano preoccupare. La prima riguarderebbe la previsione di sei anni di carcere per chi mente nel compilare la certificazione antimafia per accedere ai contributi a fondo perduto previsti per le imprese con fatturati tra zero e cinque milioni di euro. Nulla che abbia valenza economica, insomma: semmai si vuole dissuadere dall’agire potenziali truffatori allargando così la platea dei beneficiari. Un intervento a costo zero.
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La seconda novità avrebbe persino un carattere migliorativo e andrebbe a rivolgere l’ecobonus al 110 per cento per l’efficientamento energetico degli edifici e per l’adeguamento sismico anche alle seconde case laddove siano situate in condomini (niente villette unifamiliari, insomma). In tutto questo c’è poi naturalmente il Parlamento, che si sta armando di emendamenti, perché entro 60 giorni il decreto Rilancio dovrà passare dalle Camere e anche le opposizioni vogliono dire la loro, con misure studiate ad hoc per il proprio elettorato di riferimento. Ma se già la Ragioneria dello Stato fatica a trovare i 55 miliardi messi sul piatto con il decreto Rilancio, difficilmente ci sarà spazio di manovra per modifiche del Parlamento, quindi è piuttosto scontato che si proceda con la fiducia, come con il Cura Italia. La stessa fiducia che il tessuto socio-economico riserva ora nell’arrivo del decreto.
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