Il CEO è stato messo alla porta e i suoi poteri in seno al consiglio neutralizzati. Cosa accadrà all’azienda che valeva quasi 50 miliardi pochi mesi fa?
Era forse la conclusione inevitabile di una vicenda complicata, che sicuramente ha una serie di particolari che oggi ancora ignoriamo e che conosceremo solo in futuro: Adam Neumann, il fondatore di WeWork, è stato dimesso dalla carica di CEO dell’azienda e ha visto ridursi in modo considerevole il suo potere di controllo delle sorti della società. La scelta serve a spegnere le polemiche che hanno circondato la sua creatura, che avrebbe dovuto quotarsi a Wall Street (la IPO è rimandata a data da destinarsi, entro la fine dell’anno) e che ha visto crollare il suo valore da quasi 50 miliardi di dollari a meno di 15: meno anche di quanto avesse raccolto fin qui dai suoi investitori.
Adam Neumann
La fine dell’era Neumann
Ricapitoliamo la storia. Adam Neumann ha fondato WeWork, oggi di proprietà formalmente di The We Company: una società votata alla creazione di spazi di lavoro in coworking o in affitto con il requisito di essere belli, tecnologicamente all’avanguardia, luoghi piacevoli dove passare le giornate di lavoro e tutto il tempo che serve. La particolarità di WeWork, fin qui, è stata quella di improntare il proprio modello di business su quello di una startup tecnologica: criteri di gestione, moltiplicatori di crescita, tipici di una impresa che nasce nel mondo ICT. Eppure, questo però tutti lo stanno dicendo solo ora, WeWork fa real estate: non tecnologia.
In WeWork hanno creduto in tanti, ma soprattutto ci ha creduto Softbank: il fondo VC giapponese ha investito una cifra sontuosa nell’azienda di Neumann, con l’obiettivo di renderla la più grande del settore. Sei miliardi di dollari su un totale di quasi 13 raccolti, Softbank sedeva anche nel consiglio d’amministrazione della startup e ha spinto per renderla il paladino della propria visione imprenditoriale (anche in vista della nascita di un secondo fondo VC previsto per i prossimi mesi).
© Daniel Nebreda
Quello che successo, in breve, è che quando WeWork ha presentato le carte per avviare la procedura di quotazione in Borsa sono diventate pubbliche le cifre dei suoi conti: così si è scoperto che WeWork fattura tanto ma spende anche tanto, che all’inizio del 2019 ha speso un dollaro per ogni dollaro guadagnato. E si è scoperto anche che Neumann (insieme a sua moglie) godeva di un potere notevole, tale da consentirgli di controllare di fatto le sorti di WeWork intera. Numeri e notizie che non sono piaciuti agli investitori potenziali e neppure agli investitori esistenti. La valutazione pre-quotazione è calata fino al valore di guardia, facendo suonare l’allarme e facendo correre ai ripari.
Adam Neumann è fuori da The We Company: ne rimane il presidente, ma non ha alcun potere esecutivo, ovviamente rimane titolare delle sue azioni che tuttavia hanno perso il diritto di voto speciale 20-a-1 fino a un più moderato 3-a-1. Fuori anche sua moglie, Rebekah Paltrow (cugina di). Le redini sono ora in mano a CFO e al vicepresidente, che dovranno affrontare la situazione presente e soprattutto la gestione degli sviluppi futuri. Tra le possibilità prese in esame, soprattutto per far calare i costi, c’è anche la possibilità di licenziare 5.000 dei circa 12.500 dipendenti WeWork. La IPO, la quotazione in Borsa, per ora è rimandata.
Processo al CEO
Il destino di WeWork è probabilmente quello di finire “normalizzata”. Difficile che i suoi investitori, soprattutto Softbank, prendano anche solo in considerazione l’idea di aver commesso un errore: al contrario di altri unicorni che si sono quotati in questi mesi (Uber su tutti), WeWork farà una dieta prima di entrare nel listino Nasdaq così da non rischiare di vedere le sue azioni scendere di valore nella contrattazione pubblica. Probabile anche che l’azienda venga mondata dalla sua allure tecnologica, in favore di una rappresentazione più in linea con il suo reale business model.
In molti si chiedono, ora, come sia stato possibile arrivare a questo punto: come mai gli investitori abbiano permesso a Adam Neumann di indulgere nei suoi comportamenti, come mai le banche d’affari chiamate a fare da consulenti nel procedimento di quotazione abbiano – conti alla mano – proposto delle valutazioni che oggi sembrano irrealistiche. Come mai sopratutto il principale sostenitore di WeWork, il fondo Softbank, non abbia fatto sentire prima la propria voce con la stessa forza con cui lo ha fatto nelle ultime settimane.
© Phillip Pessar
Opinione prevalente è che stiamo assistendo alla fine di un’era: quella dei fondatori visionari a cui tutto è concesso, semidei da seguire per essere trascinati nel futuro. Più probabile che, invece, semplicemente chi investe d’ora in avanti chieda conto con insistenza di stime e previsioni: il ruolo dell’imprenditore che ha un’idea e che cambia il mondo, che grazie alla sua intuizione riscuote un successo tale da proiettarlo nell’olimpo del business, fa parte della mitologia a stelle e strisce e – in quanto mitologia – non sarà scalfita da tutto questo.