«Per il buon esito dei negoziati, tutti dovranno sforzarsi di guardare le cose dal punto di vista degli altri»
“Il Recovery fund? Tutto da decidere, cammino parecchio tortuoso”. Non sono certo le parole che il padrone di casa di villa Doria Pamphily, Giuseppe Conte, sperava di sentire, dal momento che gli Stati generali che il presidente del Consiglio ha voluto serviranno proprio a decidere come investire i fondi comunitari del Next Generation Eu (ex Recovery Fund). Parliamo del fondo che l’Unione europea sta approntando per la ricostruzione e che noi useremo per tentare di rimettere in sesto l’economia del Paese, distrutta dal lock down, e provare così a ripartire. A rovinare ‘la festa’ il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel che, intervenendo agli Stati generali, ha ricordato come sia ancora presto per sentirsi quei soldi in tasca.
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel
Cos’ha detto Michel agli Stati generali
Le parole del numero 1 del Consiglio europeo sono parse come un severo invito alla prudenza: «Vorrei mettere tutti in guardia dal sottovalutare la difficoltà dei negoziati che stanno per iniziare», ha detto il politico belga a proposito del Recovery fund. «Si tratta di una proposta sotto molti aspetti inedita per natura e portata. Ma c’è ancora parecchia strada da fare», perché «su vari punti chiave del progetto esistono divergenze significative». Il richiamo alle aperte ostilità manifestate dai Frugal Four e dai Paesi del Gruppo di Visegrád è implicito ma palese. «Per il buon esito dei negoziati, tutti dovranno sforzarsi di guardare le cose dal punto di vista degli altri», ha aggiunto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, concludendo il proprio intervento agli Stati generali.
I Frugal Four
Chi resta contrario al Next Generation Eu
Non vogliono sentir parlare di Recovery Fund Danimarca, Olanda, Austria e Svezia. Cui si aggiunge anche il Gruppo di Visegrád. Secondo il ministro delle Finanze ungherese, Varga Mihaly, ma le parole sono quelle già espresse dall’egoarca ungherese Viktor Orbán, in odore di dittatura, il piano per la ripresa proposto dalla Commissione europea “nella sua forma attuale è ingiusto per l’Ungheria, perché in essenza è un’idea ritagliata su misura per le necessità dei paesi del Sud”. Ovvero Francia, Spagna e Italia. Da Budapest paiono però aver dimenticato il fatto che l’Ungheria sia stato finora massimo beneficiario dei fondi comunitari per lo sviluppo.
Viktor Orbán e Giuseppe Conte
Altre bordate, negli ultimi giorni, erano arrivate dall’Olanda e dall’Austria. «Il pacchetto complessivo per noi non è accettabile né in termini di volumi, né in termini di contenuto»: così, senza giri di parole, il ministro delle Finanze austriaco, Gernot Bluemel, parlando del Recovery Fund proposto dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen, a margine dell’Ecofin.
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«Oggi – ha aggiunto l’esponente del governo di Sebastian Kurz – dobbiamo sapere come e da chi verrà rimborsato il debito» previsto con «le sovvenzioni». Insomma, l’Austria sottolinea ancora una volta che non intende partecipare al pagamento mutualistico per la parte dei fondi data ai Paesi in difficoltà con le modalità del fondo perduto. Il ministro Bluemel ha ribadito di ritenere la scelta, fatta da Bruxelles, di concedere principalmente aiuti «una valutazione sicuramente sbagliata».
La (timida) apertura della Danimarca
In settimana si è però registrata una prima, timida, apertura danese. Il Paese, contrario alla formula del Next Generation Eu, ha infatti promesso che non intende mettere il veto, ma chiedere significativi cambiamenti dello strumento. “Il nostro compito non è mettere il veto, ma trovare una soluzione”, e “il governo è a favore del fondo per aiutare i Paesi più colpiti” dalla pandemia: lo ha detto la premier danese, Mette Frederiksen, durante un’interrogazione al suo Parlamento. “Dobbiamo restare uniti all’interno dell’Unione europea e questo è il punto di partenza del governo per questi negoziati”, ha aggiunto.
La premier danese, Mette Frederiksen
Gli Stati che chiedono gli aiuti farebbero bene a non festeggiare prima del tempo. Perché se è vero che la posizione del capo del governo danese sembra aprire una piccola crepa nel gruppo dei Frugal Four, la premier ha comunque chiarito: “Sono una fervente sostenitrice della cooperazione europea ma sono anche una frugale del Nord e penso che sia giusto pagare i propri debiti da soli”. Insomma, aiuti sì, ma a patto che siano prestiti. Posizione non dissimile a quella di Olanda e Austria.