Francia, Germania, Italia e Spagna da un lato, Austria, Olanda, Danimarca e Svezia dall’altro. Nel mezzo la proposta della Commissione europea di Ursula von der Layen
Se anziché chiamarlo Recovery Fund lo avessimo soprannominato “Fondo straordinario per la ricostruzione”, si comprenderebbe perché la giornata di domani sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’Unione europea. Come ha detto, nel suo stile, ovvero con poche parole ma dannatamente efficaci, Wolfgang Schaeuble, il “falco dei falchi”, l’algido ministro delle finanze dell’esecutivo di Angela Merkel che una decina di anni fa impose all’Unione europea di tenere il pugno di ferro con Atene nella trattativa per il salvataggio della Grecia, l’occasione è di quelle storiche: “Se falliamo di fronte a questa crisi, il tempo dell’Europa è alla fine”.
L’importanza del Recovery Fund
L’economia sta precipitando, il PIL dei Paesi europei sta precipitando. Presto avremo a che fare con una disoccupazione alle stelle e una fortissima stagnazione della domanda. Non è disfattismo: lo dicono tutte le stime. Lo dice l’Unione europea e lo ha dovuto mettere nero su bianco persino il Governo, in uno dei DEF più drammatici della storia repubblicana. La pandemia è stata come una guerra: potrà anche aver lasciato intatte le strade, le ferrovie e le case ma ha distrutto il tessuto socioeconomico dei Paesi in cui si è dimostrata maggiormente virulenta e adesso bisogna ricostruire. C’è però un problema: le nazioni che non avevano i conti troppo in regola, come la Spagna e l’Italia (non se la passa troppo bene nemmeno la Francia con un debito pubblico che veleggia oltre il 100% del PIL), hanno già finito i soldi e rischiano di vedere esplodere il debito sovrano, a fronte di un prodotto interno lordo destinato a inabissarsi.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il premier spagnolo Pedro Sánchez
Cosa chiedono Spagna e Italia
Servono insomma fiumi di denaro, ma nelle casse degli Stati iniziano a esserci solo le tarme. Soprattutto in Italia, dove, tra i decreti Cura Italia e Rilancio, sono stati anticipati 80 miliardi, che non avevamo e dunque finanziati con il debito (vi rientra anche l’emissione di Btp Italia). Per questo Roma e Madrid chiedono un Recovery Fund da almeno un triliardo, un triliardo e mezzo (talvolta ne hanno richiesti anche due). E naturalmente pretendono che i soldi vengano dati a titolo di sussidi, sovvenzioni a fondo perduto, perché se fossero prestiti aumenterebbero ulteriormente il fardello del debito, innescando una spirale recessiva molto pericolosa, col PIL condannato al segno “meno” per chissà quanto tempo. Questo però significa che il Recovery Fund dovrebbe finanziarsi sui mercati di capitali per mezzo di obbligazioni garantite però da tutta l’Unione europea: se l’Italia prende 100 non restituirà 100 (ma una piccola percentuale) perché i Paesi membri concorreranno a soddisfare i creditori che hanno acquistato le obbligazioni.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz
Cosa chiedono i Frugal Four
Di ben altro avviso i Frugal Four (il nuovo appellativo dei falchi del Nord). Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia tratteggiano un fondo di emergenza “temporaneo, una tantum” e limitato a un biennio. Sarà vincolato al sostentamento della “ripresa economica e la resilienza dei settori sanitari” con un approccio basato su “prestiti a condizioni favorevoli” senza “alcuna mutualizzazione del debito”. In più, in cambio, l’Unione europea dovrà esigere “un forte impegno per le riforme” nazionali da parte dei beneficiari. Insomma, niente obbligazioni, ciascuno è responsabile per i propri debiti e in più per avere accesso al Fondo devi impegnarti a seguire una agenda politica redatta a Vienna o all’Aia.
La proposta franco-tedesca
Differente è la proposta siglata da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Il Recovery Fund che hanno in programma sarebbe da 500 miliardi (meno della metà rispetto quanto auspicato da Roma e Madrid) ma a fondo perduto, oltreché vincolato nel tempo. I soldi verrebbero garantiti dall’Unione europea, sarebbero destinati alle economie più duramente colpite in base all’importanza e restituiti “personalmente” in rapporto del contributo all’Ue del singolo Paese membro. L’Italia potrebbe chiedere circa 100 miliardi e restituirne 10, degli altri se ne farebbe insomma carico la comunità europea.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, all’Europarlamento
La proposta di Ursula von der Leyen
In tutto ciò si dovrà incardinare la proposta della Commissione europea, che ha avuto mandato dai litigiosissimi leader dell’Ue di redigere una soluzione che potesse soddisfare tutti entro l’inizio del mese di maggio. Data l’assurdità della pretesa, la presidente del consesso, Ursula von der Leyen, ha chiesto più tempo. Che ora sta per finire: domani la Commissione dovrà presentare la sua bozza. Non potrà però essere imposta, tutt’altro, dovrà essere concertata con tutti gli Stati membri e ha davanti a sé un iter lungo e periglioso. Per questo, è lecito immaginarsi, sarà frutto di compromesso: dovrà accontentare un po’ tutti e con ogni probabilità finirà per scontentare le ali estreme della trattativa, ovvero l’Italia e l’Olanda, che stanno spingendo in direzioni diametralmente opposte. La proposta della Commissione dovrà anzitutto ottenere il nulla osta dell’Europarlamento, quindi sarà vagliata dall’Eurogruppo e infine dal Consiglio europeo, dove i capi di Stato e di Governo dovrebbero prendere una decisione finale. Nel frattempo, inutile nasconderselo, passeranno mesi e questa è già una prima sconfitta, perché i soldi del Recovery Fund servono subito.