Nei primi sei mesi del 2017 il totale degli investimenti è stato di 76, 6 milioni di euro, in diminuzione del 12 per cento rispetto al 2016. Per il presidente di Italia Startup il problema sta nell’incapacità del mercato di dare la possibilità alle aziende di dimostrare il loro valore anche all’estero
Il 2017 degli investimenti in startup non sembra essere in crescita. In totale, i milioni di euro investiti in aziende innovative italiane dei primi sei mesi dell’anno ha raggiunto quota 76,6. Si tratta di un dato comprensivo dell’interesse dimostrato da venture capital, privati ed equity crowdfunding e che risulta in calo rispetto allo stesso periodo del 2016: i milioni investiti al 30 giugno 2016 erano stati 86,2. In termini percentuali la diminuzione corrisponde a quasi il 12 per cento in un anno.
Il mercato delle startup non cambia passo
Per Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup, l’associazione italiana delle startup, non è il calo anno su anno che deve preoccupare, ma il trend: «Ormai da anni l’ordine di grandezza degli investimenti non cambia di molto e le eventuali flessioni sono sempre su cifre tutto sommato piccole, influenzate dai singoli deal e dalla raccolta dei fondi rispetto al ciclo di investimento- disinvestimento. In altre parole, quando i fondi sono in fase di investimento la cifra si alza. La tendenza è quella di una crescita non costante». Gli aumenti di capitale milionari sono stati pochi e tra tutti il più elevato è stato quello concluso da Satispay alla fine di aprile con 14 milioni di euro ottenuti. «Fa molto piacere il risultato raggiunto, ma il mercato non è ancora cambiato perché è comunque rischioso avere solo due o tre startup che ricevono investimenti sostanziosi», commenta Bicocchi Pichi.
Permettere alle startup di dimostrare la loro qualità
L’analisi del presidente di Italia Startup si spinge quindi oltre i dati del primo semestre del 2017 e si sofferma anche sulle possibili soluzioni per uscire dal guado che l’ecosistema delle startup sta attraversando: «Se non arriviamo alla raccolta di fondi di dimensioni importanti con programmi di investimento relativamente veloci, cioè nei 4 anni, non assisteremo a un cambio di passo». La mancanza di investimenti sulle startup già avviate e che hanno già dimostrato di avere un’idea valida innesca un circolo vizioso che difficilmente porta le aziende innovative a delle exit che permettano di dimostrare la loro potenzialità sul mercato e attirare un investimento anche dall’estero. «Il vero problema è che molte delle startup non hanno la possibilità di dimostrare la loro effettiva qualità nel panorama internazionale perché sono fortemente sottocapitalizzate e sottoinvestite. Avremmo bisogno di prendere i nostri 25 campioni, dotarli di una decina di milioni ciascuno, vedere se è possibile arrivare alle exit e suscitare un appetito per finanziare le nostre startup», aggiunge Bicocchi Pichi.
Il presidente dell’associazione che dà voce alle startup italiane sottolinea che dotare le startup della possibilità di giocarsela a livello internazionale equivale anche a permettere a ciascuno di dotarsi di una struttura commerciale e manageriale adeguata. Ma senza fondi questo è difficile da fare. «Avere un’idea fantastica, portarla sul mercato in breve tempo, senza avere i fondi necessari ad acquisire risorse esperte assomiglia a un miracolo che in pochi riescono a compiere».
Tra pubblico e privato
Tra intervento pubblico e investimento privato Bicocchi Pichi rimane convinto che sia necessario stimolare il settore privato. E le motivazioni sono diverse: «Innanzitutto al momento l’Italia è in uno stato di forte indebitamento che rende praticamente impossibile avviare un fondo pubblico. In secondo luogo il settore bancario del nostro paese sta attraversando un periodo di crisi. Difficile quindi fare un paragone con quanto sta accandendo in Francia con il fondo da 10 miliardi annunciato da Macron. Il percorso di imprenditorializzaione digitale in Francia ha origine 20 anni fa e noi abbiamo un gap da recuperare. Quello che verosimilmente può fare lo stato è continuare sulla strada delle agevolazioni fiscali e dello stimolo agli investimenti del piano industria 4.0».
Quanto al ruolo dei business angels in Italia Bicocchi Pichi dice: «La clientela private delle banche vale 1000 miliardi di patrimonio liquido e movimentarlo può cambiare il mercato. Purtroppo da solo non basta, ma è necessario che tutto l’ecosistema salga di livello per stimolare gli investimenti tipici degli angel, che sono quelli successivi ai seed. Tutti i movimenti dovrebbero avvenire parallelamente per far crescere in maniera armoniosa tutto il sistema», conclude.