Soundreef è una piattaforma nata a Londra nel 2011 grazie a due italiani. Oggi fattura 2mln di euro e lavora con i grandi store (e fa concorrenza alla Siae)
Soundreef è la startup inglese con genitori italiani che nel 2014 ha ricevuto la legittimazione del Tribunale di Milano a far concorrenza al monopolio della Siae nell’industria della musica. Nell’ordinanza i giudici hanno scritto che «non vi sono sufficienti elementi per ritenere che la diffusione di musica da parte di Soundreef nel territorio italiano sia illecita in forza della riserva concessa alla Siae.
Né sembra potersi affermare che la musica gestita da Soundreef e da questa diffusa in Italia in centri commerciali e simili, debba obbligatoriamente essere affidata all’intermediazione di SIAE. Una simile pretesa entrerebbe in conflitto con i principi del libero mercato in ambito comunitario e con i fondamentali principi della libera concorrenza». E proprio basandosi sul principio della libera concorrenza e sul fatto che in Europa ci sia il mercato libero, Davide d’Atri e Francesco Danieli hanno fondato nel 2011 Soundreef.
La battaglia ai monopoli europei delle royalties musicali
«Soundreef è nata a Londra perché io e Francesco viviamo lì da dopo la maturità. Io ho anche studiato all’università inglese. E poi, già nel 2006, avevamo creato una startup che si occupava di diritti discografici per la tv, Beatpick: oggi l’azienda è solida e noi ne siamo rimasti soci fondatori, ma non ci lavoriamo più», racconta Davide d’Atri, 36 anni, a Startupitalia!. D’Atri ha sempre lavorato nel mondo della musica: a 14 anni era Dj, poi ha montato i palchi per i concerti e all’università ha studiato economia e la sua materia preferita era l’Antitrust:
«Ero assolutamente incredulo che un mercato di oltre 7miliardi di euro l’anno come quello delle royalties fosse diviso, nei 27 paesi di allora, da 27 società come la Siae. Era un mondo, questo, che mi affascinava molto e dopo averlo accantonato per anni, l’ho ripreso grazie a Soundreef», dice d’Atri, che aggiunge: «A prescindere da quello che è scritto nei codici dei singoli paesi, non è scritto da nessuna parte che il mercato non sia libero. Quindi non c’è dubbio che Soundreef possa licenziare questi brani ovunque in Europa. Già nel 2008 l’Europa ci dava ragione, dicendo che vige il libero scambio di merci e servizi. Questo vuol dire che ognuno compra e scambia dove vuole».
Come funziona?
A Soundreef possono iscriversi gratuitamente autori, editori e etichette discografiche. «Abbiamo 150mila brani iscritti al nostra database, la maggioranza degli artisti che usa Soundreef è statunitense: lo fa perché è penalizzata dalla regole europee, cioè suonanto in Europa ma nessuno li paga. Quindi chi si iscrive alla nostra piattaforma lo fa perché vuole guadagnare». Il guadagno di Soundreef, invece, deriva dal revenue sharing: per la musica di sottofondo, cioè quella che si ascolta nei grandi store e supermercati, l’accordo è 50% all’iscritto e 50% alla piattaforma, mentre per i live il 75% va all’artista e il 25% a Soundreef.
22 paesi nel mondo, 2M di euro di fatturato
In Italia, d’Atri e il suo collega, che gestiscono un team di 12 persone tutte regolarmente assunte, lavorano con grandi marchi come Auchan, che invece che stringere accordi con la Siae per la musica di sottofondo, ha scelto loro. Soundreef opera in 22 paesi e con decine di migliaia di negozi. Nel 2011, quando è nata, Soundreef ha raccolto in 4 settimane oltre un milione di euro, di cui 85mila euro arrivarono da Lventure Group di Luigi Capello. Da allora non c’è più stato alcun investimento e il suo fatturato ammonta a quasi 2milioni di euro.
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I 3 pilastri di Soundreef
La piattaforma ha tre pilastri su cui si basa:
- la trasparenza e tracciabilità;
- i tempi di pagamento;
- la certezza di pagamenti su base analitica.
Come racconta d’Atri, «volevamo portare la trasparenza nell’industria della musica perché se provi ad entrare in un account di collecting society e provi a cercare informazioni da dove e come arrivano i soldi, trovi solo dati aggregati, senza i dettagli. E questo non va bene, quindi abbiamo fatto sì che Soundreef fosse completamente trasparente e i suoi dati tracciabili». Un altro problema che affigge il mondo della musica è quello dei pagamenti: «In caso i passaggi siano nazionali, i tempi di pagamento sono entro i 24 mesi, mentre se sono coinvolti altri stati rispetto a quello dell’artista, allora il pagamento arriva anche entro i 36 mesi», spiega d’Atri.
Infine, ancora collegato al pagamento, c’è un altro problema, ed è ancora d’Atri a chiarirlo: «Spesso la Siae ripartisce i proventi dei passaggi musicali non in base agli analytics ma in base a quanto deciso dal consiglio di amministrazione. Secondo noi invece se una catena paga – ad esempio – 50mila euro la Siae (o noi) questi devono essere divisi per tutti i brani suonati che sono di quella catena in un lasso di tempo per cui la licenza è stata pagata (ad esempio 12 mesi). Eppure questo non avviene normalmente: con Soundreef sì». Il sistema, secondo d’Atri, «è monopolistico, quindi non incentivato ad innovare e ha molti conflitti di interesse, perché il fatto che i pagamenti siano così “lenti” permette alle collecting society di investire i soldi in operazioni finanziarie che a loro volta generano altri ricavi che non vengono divisi con gli artisti ma rimangono in capo alla società».