Intervista a Alessandro Tartaglia, uno degli ideatori della Scuola Open Source (SOS), un centro di formazione dedicato a progetti di innovazione sociale. Che ha appena vinto il bando ‘Che Fare’
“Si tratta di una proposta solida, coraggiosa, visionaria, ed è espressione di molte anime e competenze che possono dare una spinta importante all’evoluzione di un territorio difficile”. La commissione del bando Che Fare, dedicato a progetti culturali a carattere innovativo, ha spiegato così il premio di 50 mila euro alla Scuola Open Source (SOS). Il progetto “proiettato nel futuro, con solide radici nel territorio e nel saper fare” vuole costruire nel cuore di Bari un centro di formazione innovativo, dove chiunque – dallo studente, all’imprenditore, al disoccupato – può imparare ciò che non si trova nelle università, sviluppare un progetto di innovazione sociale e trovare uno spazio per la contaminazione di idee. «Ci teniamo a mantenere una prospettiva sempre human-centered – dice Alessandro Tartaglia, 32 anni, tra gli ideatori della scuola Open Source – e crediamo che la tecnologia non debba essere vissuta come sostituzione, ma come estensione delle capacità umane».
Come nasce la SOS?
«La Scuola Open Source continua un esperimento già testato con successo: il laboratorio XY. Dopo aver insegnato in tante università mi sono reso conto che mancava qualcosa nell’offerta degli atenei. Così abbiamo aderito all’iniziativa “Laboratori dal basso” promossa dalla Regione Puglia. In pratica, se un gruppo di professionisti e studenti si univano per imparare una determinata materia con un preciso docente, la Regione dava i finanziamenti per coprire le spese della docenza.
Abbiamo ripreso questo modello: la scelta, dal basso, di cosa studiare e da chi farsela insegnare
Così abbiamo creato il laboratorio XY di 15 giorni. Intorno al laboratorio si sono raccolte molte persone, molte imprese e innovazioni».
Ci fai qualche esempio?
«Abbiamo ricevuto fondi da Edilportale spa, Laserinn, Velo service. Abbiamo creato un caschetto neurale open source, oppure abbiamo hackerato un risciò, collegandolo a una serie di servizi digitali per i turisti. Con 100 euro abbiamo trasformato un comune risciò in un veicolo che a comprarlo da zero sarebbe costato 6 mila euro. E tanti altri progetti».
Qual è l’obiettivo di chi frequenta la SOS?
«Acquisire competenze. Vogliamo offrire la formazione necessaria per creare nuove figure professionali nei campi della sharing economy, del riuso e dell’autocostruzione, quindi il mondo dei makers e degli hacker, che noi intendiamo positivamente. I progetti andranno dalle cose semplici, come costruire macchinine per bambini, ad altri corsi che diano l’opportunità ai disoccupati di acquisire competenze da usare per trovare lavoro, agli studenti di approfondire temi che non riescono a trattare nelle università, agli imprenditori di formare i loro dipendenti, e così via. Puntiamo a raccogliere una rete di 100 persone tra docenti, tutor e partecipanti. Con nomi importanti, come Salvatore Zingale (Politecnico di Milano), Luciano Perondi (direttore dell’Isia di Urbino), Carlo Ratti (direttore del Senseable City Lab del Mit di Boston) solo per fare qualche esempio».
Cosa mancava alla scuola tradizionale?
«I programmi della scuola di oggi sono verticali e rigidi. Si studia 3 volte l’impero romano, ma nessuno sa cosa sta succedendo in Cina oggi. C’è una domanda di competenze trasversali che si scontra con la verticalità dell’insegnamento scolastico. Secondo me bisogna lavorare sulle competenze, altrimenti difficilmente riusciremo a rispondere alla domanda di lavoro per i nuovi mestieri che c’è oggi».
Si pagherà?
«Il laboratorio è gratuito ma ci sarà una selezione dei partecipanti, sulla base del curriculum, del portfolio e della lettera motivazionale. Nelle scorse edizioni chi ha partecipato al laboratorio proveniva da background abbastanza diversi: designer, maker, ingegneri, ma anche persone che si occupano di sharing economy o biohacker».
Con la SOS riprodurrete il modello di XY Lab?
«Sì, stiamo cercando di dare a questa idea una stabilità che prima non aveva perché esisteva solo per 15 giorni.
La stiamo creando a Bari ma abbiamo pensato di farla nascere con un modello replicabile in altre città
Ci sono tante realtà che ci hanno contattato da tutta Italia per sapere come aprire una SOS anche nelle loro città. Vogliamo creare un format».
Come utilizzerete i 50 mila euro del bando?
«L’idea è che con i 50 mila euro del bando più altri 20 mila euro nostri dovremmo pagare la fase di startup della Scuola: abbiamo previsto mille euro per la sede fissa, che stiamo costruendo in collaborazione con le istituzioni locali. Poi ci sarà un investimento iniziale per le macchine, di 25 mila euro, e infine una parte verrà utilizzata per organizzare il grande laboratorio XYZ di apertura, dove si progetterà il funzionamento della scuola stessa. In futuro ogni singolo progetto della Scuola verrà finanziato da un finanziatore diverso».
I prossimi passi?
«Stiamo pensando di lanciare una lega nazionale di mini robot-war per bambini, cioè le sfide tra robot. Vorremmo poi convocare un tavolo con tutti i soggetti dell’innovazione sociale per produrre un documento che raccolga le istanze dei vari territori e chiedere alla Regione Puglia di spingere su determinati aspetti, come ad esempio l’open source».