Rosemary Johnson era una giovane e promettente violinista. Poi, a soli vent’anni, un terribile incidente cambia tutto. Oggi, grazie ad un programma speciale, è tornata a fare musica e a suonare con il Il Bergersen Quartet.
Ogni persona è mente e corpo. Ogni persona esprime la mente attraverso il corpo. Felicità, paura, tristezza, rabbia, tutte le emozioni producono gesti, espressioni, movimenti. Senza il nostro corpo la gioia non potrebbe diventare un sorriso. Non ci sarebbero abbracci per dare conforto. Pacche sulla spalla per incoraggiare. Nessun bacio per dichiarare amore.
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La mente e il corpo non sono mondi separati, piuttosto coesistono affinché l’uno sia espressione dell’altra. Eppure esistono situazioni in cui il corpo proprio non ne vuole sapere di reagire. Sono situazioni in cui tutto quello che si percepisce dall’esterno, che viene interiorizzato ed elaborato, non fornisce alcuna risposta. E non perché si sceglie l’impassibilità, l’indifferenza, ma perché certi eventi danneggiano, inesorabilmente, quei ”percorsi” fisici su cui viaggia la nostra volontà. In questi casi, tutto resta inespresso.
La storia di Rosemary
La persona diventa come un disco che non sa più suonare, una matita senza punta, una fotografia senza immagine. Così è successo a Rosemary Johnson e a molti altri. Lei era una giovane e promettente violinista della Welsh National Opera Orchestra. In un giorno come tanti un terribile incidente le tronca ogni possibilità di proseguire il suo percorso. Il tutto ad appena venti anni. Per Rosemary, che era capace di esprimersi attraverso la musica e viveva di questa capacità, sentirsi derubati di parola e movimento in un solo colpo e, quindi, della possibilità di suonare, deve essere stato terribilmente devastante.
Senza alcun mezzo di espressione, per 27 lunghi anni, le sue doti e la sua passione per la musica sono rimaste chiuse in lei, bloccate. Ma grazie alla tecnologia, grazie ad altre menti e ad altri corpi, oggi, Rosemary può tornare a comporre e a suonare. I progressi nel campo delle neuroscienze hanno trovato delle strade alternative da far percorrere alla sua volontà. Dopo dieci anni di duro lavoro, il progetto della Plymouth University e del Royal Hospital for Neuro-disability di Londra, ha dato i suoi frutti ed è stato usato, per la prima volta, un sistema di composizione musicale per disabili motori.
Il cervello, i brani, la musica
Attraverso un caschetto per EEG viene registrata l’attività elettrica del cervello. I pazienti affetti da disabilità gravi, come quella di Rosemary, focalizzano l’attenzione su diverse luci colorate presenti su monitor e, a seconda di cosa stanno fissando, decidono di selezionare, spostare, adattare frasi musicali e note. Inoltre, a gestire il volume del pezzo è l’intensità del loro pensiero. Tutte le informazioni recuperate dall’interazione tra paziente e computer, vengono poi inviate ad altri schermi che fanno da spartito per musicisti che, in tempo reale, eseguono il brano.
Nasce così una tra le più belle e commoventi collaborazioni. Il Bergersen Quartet, quartetto d’archi famoso per le sue esecuzioni, con orgoglio ha suonato per i pazienti del Royal Hospital. Da un lato quattro corpi che eseguono, dall’altro quattro menti che compongono. A seguire il progetto, conosciuto come The Paramusical Ensemble, è stato, assieme al dottor Julian O’Kelly, anche il professore Eduardo Miranda, compositore ed esperto di Intelligenza Artificiale (AI). Da sempre Miranda ha condotto ricerche al confine tra scienza e musica, realizzando presso l’Interdisciplinary Centre for Computer Music Research (ICCMR) incredibili progetti.
Dal Biocomputer Music al Corpus Callosum, sono diversi i lavori di Miranda e dei suoi collaboratori, e tutti mirano allo sviluppo di nuove tecnologie musicali.
Tutti possono fare musica (con la tecnologia)
«Il nostro lavoro vuole dare alle persone l’opportunità di mettere i loro limiti fisici a parte e usare la musica per comunicare in modi che non sarebbero possibili a causa delle loro condizioni mediche. Si tratta di uno straordinario esempio di ricerca, che viene portato fuori dal laboratorio e che ha dato risultati che ispirano ed emozionano»
La prima volta che abbiamo provato con Rosemary siamo scoppiati in lacrime. Potevamo sentire la gioia nel fare, di nuovo, musica
Fino a questo momento sono quattro i pazienti coinvolti che sono stati formati per l’utilizzo del software. Un brano, Activating Memory, insieme a un documentario sul progetto sarà mostrato al Peninsula Arts Contemporary Music Festival. Activating Memory può essere suonata anche grazie alla collaborazione con g-tec, produttore di tecnologie biomediche.
«È ancora presto per un’applicazione diffusa della tecnologia, ma per molte delle persone con cui lavoriamo ogni giorno all’ RHN, potrebbe avere sviluppi molto interessanti» ha detto dottor O’Kelly «Ha il potenziale di migliorare realmente la capacità dei pazienti di essere coinvolti nella composizione e nella performance live. Da musicoterapeuta e medico che lavora per riabilitazione cerebrale, non vedo l’ora di vedere dove ci porterà questa tecnologia».
Intanto, per i primi quattro pazienti coinvolti l’emozione è stata immensa. A loro è stata donata, finalmente, la possibilità di esprimersi ancora. Gli è stato fornito il collegamento tra la loro mente e il mondo che li circonda che avevano perso. È la prova che l’approccio già di per sé innovativo della musicoterapia, combinato con le più moderne tecnologie, apre nuovi canali di comunicazione. Costruisce ponti. Rompe i limiti di un corpo immobilizzato e diventa libera, emozionante espressione.
Andrea La Frazia