Miranda Wang e Jeanny Yao hanno sviluppato un processo che scompone i composti chimici del materiale e li trasforma in anidride carbonica e acqua. Le sperimentazioni dovrebbero iniziare già la prossima estate
Sarebbe impossibile pensare a un mondo senza plastica. Quasi tutto quello che usiamo nella vita di ogni giorno è fatto con questo materiale. Il problema, ben noto, sta nel suo essere difficilmente degradabile, e quindi un uso massiccio comporta un inquinamento direttamente proporzionale. Miranda Wang e Jeanny Yao, due studentesse della University of Pennsylvania, potrebbero però avere la soluzione.
Dalla plastica alla Co2
Ampliando un progetto a cui avevano già lavorato quando erano al liceo, hanno sviluppato un batterio capace di dissolvere la plastica e di trasformarla in anidride carbonica e acqua. Diffuso su larga scala, sarebbe in grado di risolvere il problema dell’inquinamento dei mari e degli oceani, dove sono disperse enormi quantità di questo materiale. Non male, per due ragazze di 21 e 22 anni. Il processo prevede un solvente per la dissoluzione della plastica e degli enzimi che avviano la depolimerizzazione dei componenti chimici di base, scomponendoli in composti degradabili. In altri termini, si tratta di separare gli elementi che compongono il materiale e di “aggredirli” singolarmente.
Fin qui tutto (abbastanza) chiaro, ma come fare a raccogliere tutta la plastica e portarla a terra? Wang e Yao hanno pensato anche a questo: non c’è bisogno di trasportarla, considerando anche che essendo molto leggera avrebbe bisogno di grandi volumi e non sarebbe sostenibile dal punto di vista ambientale. Il processo si può fare direttamente in mare aperto. L’idea è di costruire delle stazioni mobili in cui installare delle grandi vasche (fino a 150mila litri) con il composto chimico al proprio interno.
Basterà quindi tirare a bordo la plastica e sottoporla al processo di degradazione, che dura circa 24 ore.
Le ragazze stanno facendo collezione di premi per il loro progetto: si sono già aggiudicate il Wharton Social Impact Prize, il Gloeckner Undergraduate Award, il Michelson People’s Choice Award e il premio della commissione per il miglior “Wow Factor”, oltre ai 30mila dollari del Perlman Grand Prize e il Wharton Business Plan Competition per il 2016. Ma quello che più conta è che hanno già iniziato a porre le basi per mettere in pratica la loro idea. Hanno fondato un’azienda, la BioCollection, e sperano di iniziare le sperimentazioni già quest’estate, probabilmente in Cina. L’obiettivo è di avviare la commercializzazione nel giro di due anni.