Da circa un anno è diventato obbligatorio per tutte le scuole finlandesi insegnare in modo più collaborativo, permettendo agli studenti di scegliere un argomento d’interesse specifico. Ecco i risultati
La Finlandia è famosa per la qualità della sua istruzione: i suoi studenti si classificano sempre tra i più preparati nelle prove del Pisa, il Programme For International Student Assessment. Ma una scuola che funziona è sempre in evoluzione, e ora nell’era del digitale si cerca di mettere le competenze al centro dell’educazione scolastica, non le materie. Prendiamo in esame la Comprehensive School di Hauho, piccola città immersa tra boschi e laghi, a circa 40 minuti di macchina a nord-est della città di Hameenlinna. L’istituto, con 230 alunni di età compresa tra i 7 e i 15 anni, ha un’atmosfera familiare. Le scarpe vengono lasciate all’ingresso, in alcune aule le gymballs sono utilizzate al posto delle sedie, e ci sono pull-up bar nei vani delle porte per fare le trazioni.
Le lezioni interdisciplinari
Gli insegnanti non vietano i telefoni cellulari in classe, perché si ritiene utile insegnare ai bambini ad apprezzare il loro valore come strumento di ricerca, invece che solo come mezzo per comunicare con gli amici. La loro idea di lezione è basata sull’interdisciplinarità: ecco dunque che la lezione di storia sull’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei si trasforma in un lavoro di competenze tecnologica, di ricerca, di comunicazione e comprensione culturale.
Dividendo la classe in gruppi dotati di mini computer portatili, il compito è quello di confrontare l’Antica Roma con la Finlandia moderna. Un gruppo esamina le terme romane e le terme di lusso di oggi, un altro confronta il Colosseo con gli stadi moderni. Usando le stampanti 3D per creare una miniatura del loro edificio romano, che diventerà parte di un gioco da tavolo che sta sviluppando la classe.
Phenomenon-Based Learning (PBL)
Da agosto 2016 è diventato obbligatorio per tutte le scuole della Finlandia insegnare in modo più collaborativo, permettendo agli studenti di scegliere un argomento d’ interesse e di far ruotare lo studio intorno a questo, sia in aula utilizzando la tecnologia che in esperienze pratiche fuori.
Lo scopo di questo modo di insegnare, noto come Phenomenon-Based Learning (PBL) è quello di dotare i bambini delle abilità necessarie per vivere nel 21° secolo, come spiega Kirsti Lonka, professoressa di Psicologia dell’Educazione all’Università di Helsinki. Secondo Lonka nell’apprendimento “basato sui fenomeni” si sviluppano competenze specifiche, come il pensiero critico che aiuta a identificare le notizie false nel web, che insegna come respingere il cyber-bullismo, ma anche come acquisire la capacità tecnica di installare software anti-virus e collegare il computer a una stampante. “Tradizionalmente, l’apprendimento è stato definito come un elenco di argomenti e fatti d’acquisire, come l’aritmetica e la grammatica. Ma quando si tratta di vita reale, il nostro cervello non è tagliato per problemi del mondo: crisi globali, migrazioni, economia. Abbiamo davvero dato ai nostri figli gli strumenti per affrontare questo mondo interculturale?” si chiede Lonka. “Penso che imparare a pensare, imparare a capire, siano competenze importanti, che rendono l’apprendimento un divertimento, promuovendo così il benessere”.
Un metodo adatto solo agli studenti più dotati
L’apprendimento “basato sui fenomeni”, però, non piace a tutti. Alcuni, come l’insegnante di fisica Jussi Tanhuanpää, crede che non fornisca ai bambini delle basi solide per studiare a un livello superiore.
La grande preoccupazione è che stia allargando il divario tra gli studenti bravi e quelli meno in grado di stare al passo, un gap che è stato storicamente piccolo in Finlandia. “Questo modo di insegnare è ottimo per i bambini più brillanti, la libertà di imparare con il proprio ritmo fa compiere i passi successivi. Ma questo non è il caso dei bambini meno dotati che non sono in grado di capirlo da soli e hanno bisogno di maggiori indicazioni” dice Tanhuanpää. Altri temono che l’aggiunta di carichi di lavoro degli insegnanti penalizzi i più anziani, che potrebbero non essere in grado di utilizzare il digitale come i colleghi più giovani. Jari Salminen, della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Helsinki, dice che simili tipi di apprendimento sono stati tentati in passato e hanno fallito. “Molti visitatori internazionali mi chiedono perché stiamo cambiando un sistema che funziona. Per me è un mistero, perché non abbiamo nessun dato che l’apprendimento “basato sui fenomeni” stia migliorando i risultati” dice Salminen.