Recensione doppia: con spoiler e senza. Per decidere se andare al cinema a vedere quello che sarà il film di cui parleranno tutti a primavera. In sala dal 28 marzo
Come avevamo fatto per Star Wars, anche questa volta potete decidere di leggere la recensione di Ready Player One (RPO) in due modi. La prima parte è tutta senza spoiler, e si concentra sulle scelte registiche e la realizzazione di questo autentico colossal sci-fi in perfetto stile Hollywood che esce il 28 marzo in Italia. La seconda parte, invece, parla tutta di come il libro di Ernest Cline è approdato sul grande schermo. A voi la scelta.
Com’è RPO (la recensione senza spoiler)
Quando Warner annunciò l’uscita al cinema nel 2018 di un nuovo film targato Spielberg, tratto dal romanzo di successo di Ernest Cline, in molti avevano pensato: chi potrebbe meglio di lui? Dopo molti anni dall’ultimo blockbuster il regista dell’Ohio torna a fare quello che gli riesce meglio: costruire una fiaba di celluloide per tutta la famiglia.
Ed è andata proprio così: Spielberg mette in questa pellicola tutta la sua esperienza di cineasta da cassetta, quello di Indiana Jones o di Jurassic Park, e porta sul grande schermo un gioiellino per quanto attiene dinamismo, fotografia ed effetti speciali. A esser proprio sinceri l’inizio stenta un po’ a decollare: ci sono dei lunghissimi spiegoni che probabilmente sono imposti dalla sceneggiatura, costretta a condensare una storia complessa scritta in centinaia di pagine in 2 ore e 20 minuti di film.
Anno 2045: il pianeta Terra è stato messo a dura prova da guerre e carestie, e si è formata una profonda spaccatura tra i diversi ceti della popolazione. Tutti però hanno in comune OASIS: è un universo aperto di realtà virtuale dove tutti possono fare tutto, dallo shopping allo studio, dal trovare l’amore a divorziare. Soprattutto, come dice il protagonista, “la gente viene su OASIS per tutto quello che si può fare, ma ci rimane per tutto quello che si può essere”: su OASIS non esistono caste, nel mondo “virtuale” si può essere quel che si vuole e scalare l’ascensore sociale come non è possibile nel mondo “reale”. Il protagonista, Wade Watts, vive in una baraccopoli nella periferia di una metropoli e naviga in OASIS proprio per sollevarsi da una condizione sociale ai limiti della povertà: nel virtuale, però, è tutto diverso.
La macchinosità del primo quarto d’ora si dissolve in breve, non appena prende avvio la trama vera e propria: a quel punto è tutto uno sfoggio di effetti speciali, di scenografie (perlopiù digitali), di costumi tutti molto azzeccati per confezionare un vero e proprio film per tutti come non se ne vedevano dai tempi dei blockbuster per famiglie anni ’90. C’è qualche forzatura nella trama che magari è troppo sbrigativa nel raccontare qualche passaggio: dettagli che probabilmente sfuggiranno a chi non ha letto il libro, e che nell’economia di un film di questo tipo ci stanno tutti.
In questa pellicola Spielberg mette a frutto 50 anni di esperienza da artigiano: c’è dentro la spettacolarità del già citato Jurassic Park, l’azione di Minority Report o La guerra dei mondi. Spielberg attinge a piene mani dai grandi classici degli anni ’80, da Stand by me a I Goonies, da WarGames a Ferris Bueller: chi ha visto quei film capirà di cosa stiamo parlando, chi non li ha visti dovrebbe farlo per gustarsi appieno questo titolo. Se non avesse voglia o tempo, sappia che il regista mescola sapientemente assieme romanzo di formazione, finale con tanto di morale, un’avventura che contrappone i giovani idealisti ai “vecchi” legati al profitto a tutti i costi.
Quel che ci si porta a casa da Ready Player One è un riuscito cattivo degno di questo nome (Ben Mendelsohn, lo abbiamo visto in Star Wars Rogue One), una squadra di comprimari ciascuno con un suo percorso ben definito e con un appeal particolare (molto ben riuscito il ruolo di Olivia Cooke – Art3mis), un protagonista un po’ anonimo ma che al volgere del film matura e diventa adulto (Tye Sheridan). Soprattutto ci si porta a casa uno Spielberg che a 71 anni suonati riesce a rispolverare quello spirito innovatore che caratterizzava la cinematografia di quei ragazzacci che avevano il nome di Coppola, Lucas, De Palma: a cavallo tra anni ’70 e ’80 rivoluzionarono Hollywood, oggi Spielberg prova a rifarlo con un colossal pieno di effetti speciali che ormai hanno raggiunto la piena maturità, che più che fondersi con gli attori in carne e ossa sono pressoché indistinguibili e anzi sono parte centrale e necessaria della storia.
Spielberg è riuscito in una impresa non da poco: ha mantenuto inalterato l’approccio citazionistico di Cline – chi ha letto il libro sa perfettamente di cosa parliamo – ma ha creato un prodotto assolutamente digeribile anche per chi non è un nerd. Ready Player One è un riuscito blockbuster: un bel film, convincente e rotondo, da gustare sul grande schermo.
Per chi ha letto il libro, e per chi fortunato magari ha già visto il film, ora passiamo ad analizzare nel dettaglio il film in uscita al cinema il prossimo 28 marzo. Spoiler in abbondanza nel seguito, siete stati avvertiti.
Un’operazione riuscita (la recensione con gli spoiler)
Chapeu, Steven. Avevi tra le mani una missione delicata, una missione impossibile (o quasi), ma hai saputo affrontarla con una professionalità unica: quando si trasporta sul grande schermo un libro con schiere di appassionati i rischi sono enormi, soprattutto se come nel caso del libro di Ernest Cline parliamo di un testo scritto per un pubblico particolare come quello dei nerd e degli appassionati della cultura pop degli anni ’80.
Il rischio concreto in questo caso era quello di restare vittima dell’eccessiva fedeltà al racconto su carta, o stravolgerlo per esigenze cinematografiche. Spielberg, anche grazie al lavoro di sceneggiatore di Cline che viene dal mondo televisivo, sceglie un approccio vincente: mantenere lo spirito del racconto ma adattare la storia alle necessità di chi deve raccontare con le immagini e non con le parole. Il risultato è una storia che ha poco e nulla a che fare con quella raccontata dal libro, se non nel principio e nell’epilogo, ma che semplifica una trama complicata e sacrifica molta dell’atmosfera distopica per cercare di far passare almeno qualcuno dei messaggi contenuti nel volume di carta.
Ready Player One sul grande schermo è una storia su come superare la solitudine: Spielberg abbandona la lotta di classe tipica della fantascienza a cui si è ispirato Cline, il tema della rivincita degli ultimi sui potenti, e preferisce concentrarsi su un messaggio più comprensibile a tutti come quello dell’isolamento causato dalla tecnologia. Non che Steve si butti sul tema con approccio neo-luddista, anzi il risultato finale è piuttosto buonista: ma se si doveva scegliere un solo concetto da far passare dal libro al cinema questo era senz’altro il più semplice. Aggiungici una storia d’amore (per altro già presente nel libro) e il gioco è fatto.
Per rendere più universale il film Spielberg sceglie di sacrificare quasi completamente i riferimenti pop agli anni ’80: sopravvivono solamente nella colonna sonora (se avete letto il libro sapete che la musica gioca un ruolo fondamentale nella storia, e la ciliegina sulla torta sono i brani originali firmati da Alan Silvestri), nell’abbigliamento di Parzival e nell’auto che guida. Graficamente il regista si rifà quasi esclusivamente a icone molto più vicine negli anni, soprattutto legate alla cultura videoludica moderna: c’è Halo, c’è Overwatch, c’è World of Warcraft e poi ci sono altri elementi come il Mechagodzilla che sono riconoscibili in virtù del fatto che sono stati ripresi da Hollywood in anni recenti (ma, guarda caso, sparisce Ultraman nel finale: troppo estrema come cit.). Se si deve pescare al cinema si va sul classicone di Kubrick, Shining, che tutti ma proprio tutti conoscono: anche se non l’hai visto sei in grado di cogliere per sommi capi le citazioni.