Chissà se la mossa riporterà il presidente-influencer Nayib Bukele Ortez, che talvolta si definisce dittatore, a tornare sui suoi passi. Dall’inizio di settembre a El Salvador, poverissimo paese centroamericano che governa dal giugno 2019, il Bitcoin è considerato valuta in corso legale. Cioè è “libero con potere liberatorio, illimitato in qualsiasi transazione e a qualsiasi titolo richiesto dalle persone fisiche o giuridiche pubbliche o private“. Insomma, in teoria ci si può fare tutto – in pratica bisogna trovare chi sia disposto a utilizzare i bitcoin per comprare e vendere le spese di ogni giorno e chi voglia affidarcisi per trasferire le rimesse dall’estero alle famiglie rimaste nel paese. Adesso, dopo aver lasciato giocare per un po’ Bukele con la criptovaluta, il Fondo monetario internazionale lo ha avvisato che se continua ad affidarsi alla valuta digitale e decentralizzata per eccellenza mette a rischio i futuri prestiti della stessa istituzione finanziaria.
La mossa del Consiglio esecutivo dell’Fmi è arrivata dopo l’ultimo acquisto governativo di 410 bitcoin per circa 15 milioni di dollari. Il board ha raccomandato a El Salvador di non utilizzare più il Bitcoin come sta facendo, dunque di toglierlo dal corso legale: il paese rischia la sua stabilità finanziaria e rischiano anche i consumatori e risparmiatori. Non solo: il punto centrale dell’allerta è che, se il presidente superstar continua a scherzare con le criptovalute, dovrà rinunciare a ottenere un qualche tipo di prestito dal Fondo.
Stando a Bloomberg, infatti, la raccomandazione fa parte di una serie di indagini dell’organizzazione nel corso delle quali inviati dell’istituzione visitano un paese e preparano un rapporto da sottoporre, come in questo caso, al Consiglio esecutivo. Un documento in cui si affrontano ovviamente tutti gli aspetti locali di macroeconomia e politica monetaria del paese ma nel quale il Bitcoin ha raccolto gran parte dell’attenzione.
L’allerta dell’Fmi su El Salvador
Il consiglio dell’Fmi concorda con le raccomandazioni del suo staff già diffuse lo scorso novembre: il paese, e il suo presidente crypto-entusiasta che intende addirittura costruire da zero una città completamente votata al “mining” dei bitcoin, deve fare marcia indietro a causa dei “grandi rischi associati all’uso di Bitcoin per la stabilità finanziaria, l’integrità finanziaria e la protezione dei consumatori, nonché le relative passività potenziali fiscali“. Alcuni membri del consiglio “hanno anche espresso preoccupazione per i rischi associati all’emissione di obbligazioni garantite da Bitcoin“. Tra le altre preoccupazioni, gli obiettivi dichiarati dal governo di utilizzare Bitcoin, il wallet statale battezzato Chivo e la rete di Atm per ampliare i servizi finanziari disponibili al più ampio numero di salvadoregni, molti dei quali non sono titolari neanche di un tradizionale conto bancario.
Appena lo scorso ottobre il paese ha chiesto un prestito di 1.3 miliardi di dollari proprio all’Fmi: servono soldi veri e garantiti per tenere in piedi un’economia sfasciata e un paese con alcuni fra i peggiori indicatori economici e di qualità della vita del pianeta. La potente organizzazione guidata da Kristalina Georgieva non sembra affatto disposta a concederlo a un sistema che viaggia verso una criptoeconomia parallela, che vorrebbe coinvolgere anche in termini di garanzie per i soldi ricevuti, per esempio con un’obbligazione Bitcoin da un miliardo di dollari di cui gli investitori potrebbero acquistare una partecipazione. Stando ad alcuni calcoli di massima nelle casse (anzi, nei wallet statali) di El Salvador ci sono oltre 1.500 Bitcoin.