Quando il gender gap si riverbera anche nel mondo virtuale. Una ricerca di BCG X e People of Crypto Lab rivela che solo il 13% delle aziende impegnate nel Web3 ha almeno una donna nei team. «È una crisi economica. Così si perde l’occasione di far crescere quei business pensati per le consumatrici e non solo per i consumatori», ha dichiarato Paola Scarpa di BCG
Per la festa della donna torniamo a parlare di gender gap. Una ricerca condotta da Boston Consulting Group X, in collaborazione con People of Crypto Lab, rivela che solo il 13% delle aziende impegnate nel Web3 ha almeno una donna nei team, percentuale che scende al 3% se si guarda a quelle fondate da donne. Allo stesso tempo, le startup di Web3 fondate da uomini, oltre ad essere la maggioranza, raccolgono 4 volte tanto i capitali delle startup fondate da donne. La maggior parte delle donne assunte dalle principali aziende Web3, seppure rappresenti il 27% della forza lavoro complessiva, svolge funzioni non tecniche, come il marketing e le risorse umane. Un divario preoccupante di cui si torna purtroppo a parlare.
Leggi anche: “Italiani, fate come la Svezia”. Perché da noi la strada per la parità di genere è ancora lunga, ma qualcosa si muove
La ricerca su donne e Web3
Metaverso, blockchain, criptovalute. Il settore del Web3 ancora fatica a trovare una forte rappresentanza femminile. Secondo la ricerca di BCG X e People of Crypto Lab, nel comparto che si occupa della nuova frontiera del web, infatti, le donne sono ampiamente sottorappresentate tra fondatori e investitori, ancora più che nei settori STEM e nell’industria tecnologica in generale. Su un campione di 2.800 intervistati, il sondaggio “Web3 Already Has a Gender Diversity Problem” rileva un gap in termini di fondi destinati alle aziende del Web3: le startup composte da soli uomini raccolgono in media quasi quattro volte di più rispetto ai team fondatori composti da sole donne. Quasi 30 milioni di dollari per i primi, contro circa 8 milioni per i secondi. E tra le aziende del Web3 che hanno raccolto più di 100 milioni di dollari, non ci sono team composti da sole donne.
La disparità di genere non riguarda solo i cosiddetti “founding team”, ma si estende all’intera forza lavoro: la percentuale di donne sale a circa il 27% se si prendono in considerazione tutti i dipendenti delle principali aziende, ma spesso si tratta di una presenza assorbita soprattutto da funzioni non tecniche, come il marketing e le risorse umane. Un divario che diviene addirittura maggiore rispetto a quello registrato nelle materie STEM, dove le donne rappresentano il 33% della forza lavoro, con il 25% che ricopre ruoli tecnici. «Oltre che una crisi di diversità questa è una crisi economica, perché così si perde l’occasione di supportare e far crescere quei business pensati per le consumatrici e non solo per i consumatori – ha dichiarato Paola Scarpa, Managing Director e Partner di BCG – Con il Web3 non si parla semplicemente di tech, ma di tecnologia applicata a ogni settore e a ogni aspetto della vita. La ricerca rileva che le aziende con team di leadership diversificati risultano più innovative e più redditizie. Non abbracciare e usare la diversità fin dall’inizio, si traduce per molte aziende, infatti, nella rinuncia a enormi opportunità di business e monetizzazione».
Come ridurre il gender gap
Gli ecosistemi che lavorano al Web3 sono ancora all’inizio del loro sviluppo e possono affrontare questa criticità grazie a misure specifiche. Tra queste:
- Misurare tutto: un passo fondamentale è relativo alla misurazione e alla capacità di rendicontare in modo preciso e oggettivo la rappresentanza femminile e gli aspetti legati alla diversità in tutto l’ecosistema di fondatori, dipendenti e investitori;
- Inserire donne nei gruppi di investimento: alcune società di venture capital richiedono di includere almeno una donna tra gli stessi investitori;
- Progettare esperienze di marca inclusive: le aziende che creano una presenza digitale nel Web3 devono assicurarsi di creare la più ampia gamma di esperienze per più consumatori possibili;
- Costruire un ecosistema di supporto: le aziende devono investire tempo e risorse per garantire che le fondatrici e le investitrici nel Web3 possano attingere a reti forti, diversificate e inclusive. L’attività di mentorship – da parte di donne così come degli uomini – è particolarmente importante per aprire le porte alle aspiranti fondatrici e investitrici. È necessaria una particolare attenzione alla sponsorizzazione di eventi che garantiscono la parità di genere tra i relatori, con un impegno ad avere almeno il 30% di relatori donne come punto di partenza;
- Collaborare con le autorità di regolamentazione: mano a mano che i governi e le organizzazioni non profit si concentrano maggiormente sulle questioni ambientali, sociali e di governance, aumenta anche lo sviluppo di requisiti di rendicontazione più severi così come nascono nuove misure relative alla composizione di genere di aziende e industry. Le aziende e gli investitori hanno l’opportunità di collaborare in modo proattivo e di contribuire alla definizione del nuovo scenario normativo, anziché subire le nuove regolamentazioni in maniera passiva.
«Il Web3 rivoluzionerà il modo in cui interagiamo, effettuiamo transazioni e monetizziamo come società, ma si tratta di un traguardo che potrà essere pienamente raggiunto solo se le donne saranno coinvolte in egual misura nel suo sviluppo», ha concluso Simone Berry, cofondatrice di People of Crypto Lab e coautrice dello studio.