Marie Sophie Von Bibra, membro del Cda della Camera di commercio svedese in Germania, consulente strategico della startup per la fertilità Levy Health e angel investor, affronta il tema del divario uomo-donna nel mondo del lavoro: “Al momento le donne hanno maggiori probabilità di divenire il capo di sé stesse, piuttosto che diventare dirigenti all’interno di aziende esistenti”
La parità di genere nel mondo del lavoro è una strada ancora lunga. Gli interventi europei e italiani mirano a ridurre il soffitto di cristallo, il pay-gap, ad aumentare non solo le lavoratrici donne nel mondo del lavoro, ma anche le manager e dirigenti nelle strutture organizzative fino ai consigli di amministrazione, affinché la parità di trattamento diventi reale e realistica. Ne abbiamo parlato con Marie Sophie Von Bibra, Chief Marketing Officer di Readly, membro del consiglio di amministrazione della Camera di commercio svedese in Germania, consulente strategico della startup per la fertilità Levy Health e angel investor.
Marie Sophie Von Bibra
Contesto europeo
Prima di passarle la parola, occorrono però i dati per capire il contesto. È ancora uno scenario da migliorare quello fotografato da EIGE (European Institute for Gender Equality) che ha elaborato l’ultima classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere secondo cui ‘Italia è al quattordicesimo posto tra i Paesi UE. Il motivo è che nel Bel Paese il divario di genere nelle posizioni lavorative, specialmente quelle dirigenziali, è lungi dall’essere colmato.
“La Svezia è molto avanzata e qui l’uguaglianza di genere è ampiamente compresa e ben attuata, sia dalle aziende, a livello strutturale, che nella vita lavorativa e familiare quotidiana, e nelle strutture di supporto disponibili”
L’analisi dell’Osservatorio di “4.Manager” (4.Manager è l’Associazione costituita da Confindustria e Federmanager, presso la sede di Confindustria n.d.r.) evidenzia come le posizioni manageriali femminili siano ferme al 28% del totale e come la quota si riduca al 19% considerando le posizioni regolate da un contratto da dirigente, anche se il 31% delle imprese cerca di favorire la convergenza lavorativa tra uomini e donne. L’indagine condotta su un campione di 6.000 imprese manifatturiere italiane indica che solo il 14% sono a conduzione femminile contro il 79% a conduzione maschile. La parità migliorerebbe il PIL italiano di un valore che oscilla fra il 9 e l’11.
Azioni concrete in Europa
Per invertire la tendenza è stato introdotto a livello europeo la normativa europea sulla parità di genere nei CdA ratificata a novembre 2022 giorno in cui il Parlamento europeo ha adottato formalmente la nuova legge dell’UE sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione secondo la quale entro il 2026, le aziende dovranno avere il 40% del sesso attualmente sotto-rappresentato tra gli amministratori non esecutivi o il 33% tra tutti gli amministratori. Una volta pubblicata nella Gazzetta ufficiale, la direttiva entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione e gli Stati membri avranno due anni per recepire le sue disposizioni nel diritto nazionale.
“Le donne hanno maggiori probabilità di divenire il capo di sé stesse, piuttosto che guadagnarsi una posizione a livello dirigenziale all’interno di aziende esistenti”
La legge rientra nella strategia per l’uguaglianza di genere Europea (EU Gender Equality Strategy 2020-2025 n.d.r.). La proposta, che ha atteso 10 anni per diventare legge, mira a rompere il “soffitto di vetro” dei consigli di amministrazione delle società quotate e a intaccare quello stesso “soffitto” presente nelle aziende non quotate in borsa, in cui la carriera femminile è sempre stata limitata da pregiudizi e scelte contrare al bilanciamento fra lavoro e vita privata. Invece, guardando ai dati, il contributo femminile diventa determinante quando si realizza inclusione e spazi manageriali. Infatti, dall’ultimo Rapporto Donne Manageritalia emerge come durante la pandemia sono proprio le donne ad aver trainato la crescita. Dal rapporto si legge: “I dati mostrano, il chiaro segnale che sviluppo e resilienza sono stati appannaggio delle aziende che, grazie a una strutturale e nuova linfa di presenza e gestione manageriale, hanno sfruttato mercati comunque in espansione o sono stati resilienti in mercati in calo…. in questa crescita del lavoro manageriale, che l’aumento dei dirigenti è dovuto alle sole donne (+1.031, +4,9%).
Infatti, dal 2008 al 2020, a fronte di un calo dei dirigenti del 2,4%, le donne crescono del 56,3% e gli uomini calano del 10,3%. Nel settore terziario inoltre (in attesa dei dati 2021 di tutti i dirigenti privati forniti solo a giugno dall’Inps n.d.r.), i dati rappresentati contrattualmente da Manageritalia, mostrano un’ulteriore crescita (6,2%), con le donne in doppia cifra (+11%) rispetto agli uomini (+6%). E oggi le donne dirigenti nel terziario sono quasi il 21%”. Mario Mantovani, presidente Manageritalia fa notare come l’aumento tra i dirigenti delle donne sia una conferma di un fenomeno in atto da qualche tempo, secondo cui nella dirigenza privata da anni: “si vedono entrare nuovi manager che sempre più spesso e sempre più di prima sono donne, scelte per formazione, competenze e capacità. E tutto questo trova una spinta formidabile nel parallelo fenomeno che avviene tra le donne quadro, che avanzando poi di carriera diventano dirigenti”. Luisa Quarta, coordinatrice Gruppo Donne Manager di Manageritalia chiarisce comunque che: “La rincorsa delle donne manager verso pari opportunità nel ricoprire posizioni di vertice è ancora lunga. Soprattutto questa parità deve allargarsi anche all’ambito retributivo, sul quale speriamo possa incidere, anche in termini di cambio culturale, la recente legge sul gender pay-gap alla quale Manageritalia e il suo Gruppo Donne hanno dato un forte contributo. Questo è solo il primo passo del viatico per raggiungere risultati concreti, che si allarghino a tutte le donne e portino a un mondo del lavoro dove prevalga il merito e a una società che favorisca il lavoro femminile fuori dalle mura domestiche”.
Le azioni in Italia
In Italia il Governo ha annunciato l’adozione di una Strategia nazionale 2021-2026 per raggiungere entro il 2026 l’incremento di 5 punti nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’EIGE (ad oggi l’Italia è quattordicesima in UE n.d.r.). La nuova legge per la parità retributiva del 1º gennaio 2022 che ha istituito il Sistema Nazionale di Certificazione della Parità di Genere con 10 milioni stanziati dal PNRR è uno dei passi che dovrebbe segnare e rappresentare una pietra miliare.
“Anche in Italia le quotate hanno fatto progressi: molto ha contribuito la Legge 160/2019 che riserva alle donne i due quinti degli incarichi negli organi collegiali”
Alle aziende conviene perché la certificazione prevede: lo sgravio contributivo dell’1% sui contributi fino a 50mila euro all’anno; un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere e un miglior posizionamento in graduatoria nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture. Ovviamente il divario di genere dovrebbe garantire interventi sulle maggiori criticità: le opportunità di carriera, la parità salariale e di mansione, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.
Marie Sophie Von Bibra
Intervista a Marie Sophie Von Bibra
Oggi in molti criticano l’approccio delle quote rosa ma è un fatto assodato che fino a che non si mette l’obbligo di parità nei CDA si è assistito ad una esclusione a priori del genere femminile. Cosa ci può dire al riguardo?
È vero, l’approccio alle quote rosa è sempre stato controverso. Dobbiamo però riconoscere il fatto che il progresso per la diversità e la partecipazione femminile a livello dirigenziale è stato incredibilmente lento. Quindi, mentre in un mondo perfetto non avremmo bisogno dell’iniziativa delle quote rosa, oggi è inevitabile per accelerare una presa di coscienza e una conquista per cui tante donne prima di me hanno lavorato facendo sacrifici e subendo ingiustizie che forse non saranno mai del tutto note. La Svezia è molto avanzata e qui l’uguaglianza di genere è ampiamente compresa e ben attuata, sia dalle aziende, a livello strutturale, che nella vita lavorativa e familiare quotidiana, e nelle strutture di supporto disponibili.
Cosa ci può dire con riferimento ad altre nazioni?
La Germania ha certamente migliorato i suoi sforzi, ma c’è ancora molta strada da fare: diverse aziende non hanno una quota paritaria di donne executive, e spesso non hanno programmi per migliorare questo aspetto. Mi ha colpito il dato di una ricerca dell’Istituto bancario tedesco Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW), secondo cui le donne hanno maggiori probabilità di divenire il capo di sé stesse, piuttosto che guadagnarsi una posizione a livello dirigenziale all’interno di aziende esistenti. Secondo questa indagine, circa il 30% delle imprese individuali in Germania, che includono artigiani, commercianti e liberi professionisti, sono gestite da donne. Al contrario, soltanto il 20,6% delle società intervistate ha almeno una donna ai massimi livelli. Sempre in Germania, le società DAX 30 (il segmento della Borsa di Francoforte che include i 30 titoli a maggiore capitalizzazione), hanno una quota definita per le donne in posizioni dirigenziali, e le cifre mostrano un conseguente effetto positivo. Purtroppo, questo effetto non si applica alle società non quotate in Borsa, come le piccole e medie imprese o le startup in crescita. Le donne che lavorano come dipendenti e vogliono assumere posizioni di leadership in queste aziende devono superare un percorso non semplice.
E in Italia?
Anche in Italia le società quotate in Borsa hanno fatto progressi: probabilmente molto ha contribuito l’effetto della Legge 160/2019, che riserva alle donne i due quinti degli incarichi negli organi collegiali societari. Come riporta l’indagine Consob, nelle società che avevano rinnovato il consiglio di amministrazione nel 2020 (ultimi dati disponibili), vi erano in media 4 donne, pari al 42,8% del board. Nella graduatoria 2020 stilata da Ewob (European Women on Boards), l’Italia delle imprese quotate si posizionava nell’alto della classifica, in posizione n. 6 – prima della Germania, ma dopo la Svezia – per quanto riguarda la presenza femminile ai vertici. Penso che in Italia si cominci a vedere qualche altro progresso, anche al di fuori delle aziende quotate: abbiamo una donna a capo del CNR; nel 2020, l’Università di Roma La Sapienza ha nominato una rettrice donna, la prima dopo 700 anni. Fino ad arrivare alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Sono cariche istituzionali che si contano sulle dita di una mano, ma che pesano a livello socioculturale, a mio avviso. La mia esperienza personale nel mercato italiano, poi, è sempre più positiva negli ultimi anni: nel settore dei media e della comunicazione ho modo di interfacciarmi prevalentemente con donne top manager di eccellente livello professionale. In tutto il mondo, comunque, sono molteplici le ricerche e le evidenze sul valore dei consigli di amministrazione paritari, sia a livello di profitti aziendali, che a livello di equilibrio famigliare. Mi scoraggia molto vedere come nelle discussioni comuni si cerchi spesso di ridurre questi argomenti ad una discussione superficiale: in realtà da qui deve partire il cambiamento di cui la nostra società ha bisogno. Ogni azienda dovrebbe sentirsi incoraggiata e responsabile nel dare il proprio contributo. Ci sono così tante donne di talento, che riempire le quote rosa non è certamente un compito impossibile. È tempo di smetterla con le scuse per mantenere la situazione attuale, le vecchie “zone di comfort”, e passare all’azione. I benefici, anche in termini di profitto aziendale, seguiranno molto rapidamente.
Marie Sophie Von Bibra
Come si può garantire, come manager, che a tutti vengano offerte pari opportunità di carriera fermo in collaborazione con HR e l’appoggio del board?
Al di là dei dati che abbiamo visto, gli stereotipi e i pregiudizi di ruolo all’interno delle aziende sono ancora tanti, in Italia come in altri Paesi. Tuttavia, nell’azienda dove sono ora, Ready, ho avuto modo di contribuire concretamente al raggiungimento di un rapporto quasi paritario tra donne e uomini: oggi il 47% dei dipendenti in azienda è rappresentato da donne e il team dirigenziale è femminile al 43%. Questo è il risultato di uno sforzo mirato per inserire e far crescere più talenti femminili: quando sono entrata in Readly, nel 2016, eravamo soltanto 5 donne in un team di 30 persone. In questi anni, abbiamo fatto un lavoro molto puntuale, che ha incluso un approccio diretto nei colloqui di lavoro, a partire da un linguaggio più inclusivo negli annunci di ricerca, con frasi del tipo “anche se non ritieni di soddisfare tutti i criteri al 100%, per favore proponiti” per superare alcune delle note barriere che le donne affrontano durante i processi di candidatura. Per esperienza personale, spesso accade soprattutto nelle risorse più giovani, si riscontra una sottostima delle proprie competenze. Rafforzare l’autostima femminile, puntando anche ad incentivi specifici, può aiutare nella propria affermazione nell’attività professionale. La componente culturale svolge tuttavia un ruolo importante: in Svezia siamo in un contesto privilegiato, perché è molto elevata la sensibilità relativa all’equilibrio tra lavoro e vita privata e all’uguaglianza di genere in generale.
Come incoraggiare le giovani donne a intraprendere una carriera nelle aziende tecnologiche?
Il cosiddetto “glass ceiling”, ovvero il soffitto di vetro (una barriera non riconosciuta all’avanzamento in una professione, che colpisce in particolare le donne e i membri delle minoranze n.d.r) è ancora uno dei maggiori problemi per il progresso della professionalità femminile, a mio avviso. Tra i miei obiettivi professionali c’è quello di incoraggiare le donne a sfidare i limiti strutturali che molte aziende hanno ancora in atto, che spesso formano questo soffitto. Ma è altrettanto importante affrontare il fatto che a volte questa barriera viene creata attraverso le mentalità, spesso anche dalle stesse donne, quando chi ha la posizione di leadership fa resistenza ai progressi femminili o, in generale, delle minoranze. L’ho sperimentato prima persona quando ero più giovane. Per questo, ogni volta che mi è possibile, do questi cinque consigli alle giovani donne, che sono gli stessi che darei alla me stessa ventenne: buttati, se il lavoro ti piace, non pensarci troppo; sii coraggiosa e non sottovalutarti; concentrati sull’apprendimento, in ogni momento della tua carriera; smetti di fare paragoni e sii indulgente con te stessa; ascolta i consigli, certamente, ma fai a modo tuo!