Cosa cambia nel mercato del lavoro (precario) nell’era delle piattaforme digitali e quali sono le leggi a tutela di chi lavora con e per le startup. Per capire meglio il caso Foodora, abbiamo intervistato Michele Tiraboschi, docente di Diritto del lavoro
Foodora è una startup tedesca del food delivery. L’azienda mette in contatto ristoranti e utenti, organizzando su una piattaforma di gestione degli ordini da privati, le spedizioni. Per effettuare le spedizioni, Foodora si avvale di lavoratori autonomi, organizzati su turni. In Italia, la startup effettua consegne a Torino e a Milano.
Ricapitoliamo. Cosa è successo a Foodora
I lavoratori di Foodora stanno protestando a causa delle condizioni di lavoro. L’azienda li inquadra come collaboratori. Loro dicono di sentirsi dipendenti (devono portare le divise di Foodora e devono sottostare a regole aziendali). Fino a poco tempo fa, venivano pagati all’ora. Adesso vengono pagati “a consegna”. L’importo è comunque molto basso (2,7 euro a consegna). Il tempo medio di consegna è stimato a 29 minuti. L’azienda sostiene che il lavoro svolto per Foodora non deve essere considerato un lavoro per “sbarcare il lunario”, ma come “opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio”. I ragazzi del delivery chiedono uno stipendio fisso, un lavoro part-time. Ne abbiamo già scritto qui.
Per capire meglio la vicenda Foodora dal punto di vista del mercato del lavoro, abbiamo intervistato a Michele Tiraboschi, giuslavorista, docente di Diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio-Emilia. Tiraboschi è anche il direttore di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi che promuove studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro.
Come cambia il mercato del lavoro nell’era digitale
La domanda delle domande. Esiste o no una normativa che incentivi l’assunzione di lavoratori dipendenti per le startup?
«Non ne farei molto una questione di agevolazioni. Per quanto alcune agevolazioni esistano per l’assunzione di dipendenti “altamente qualificati” da parte di startup innovative, ma non sarebbe comunque questo il caso. Qui la questione centrale è quella di un modello economico, molto discusso a livello internazionale, che prevede la qualificazione dei propri lavoratori come autonomi, comportando così la fuoriuscita dagli oneri e dalle tutele previste nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato».
È lecito che qualcuno possa organizzare il lavoro autonomosu turni?
«La questione del tempo nella qualificazione è sempre stata centrale ed è stata recentemente riaffermata dal Jobs Act che riconduce d’imperio il lavoro organizzato da altri nell’alveo delle tutele per il lavoro subordinato. Non rappresenta, comunque un elemento risolutivo ed oltretutto risulta arduo capire quando vi sia eterodirezione, organizzazione o coordinamento rispetto ai tempi e alle modalità di lavoro».
Secondo l’eccezione contenuta nell’articolo 2 del DDL 81/2015, ci sembra di capire che si possa ovviare a un rapporto di lavoro subordinato tra committente (in questo caso Foodora) e i lavoratori, nel caso di stipula di un accordo sindacale specifico. Cosa significa?
«L’art. 2 del d. lgs. 81/2015 al comma 2, nella parte richiamata, prevede la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere delle deroghe rispetto all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a collaborazioni organizzate dal committente in conformità ad esigenze produttive ed organizzative del settore di riferimento. In sostanza si abilita la contrattazione a introdurre deroghe, in considerazione di esigenze settoriali specifiche che le relazioni industriali sono più capaci di gestire rispetto al legislatore».
Quali leggi tutelano i lavoratori delle startup
Le aziende appena nate hanno dei costi da sostenere, spesso insostenibili. Si potrebbe ovviare a problemi (come nel caso di Foodora), introducendo una normativa specifica che alleggerisca il costo del lavoro nelle startup? Potrebbe essere questa la soluzione?
«La disciplina lavoristica da applicare alle startup, salvo alcune limitate norme di favore per le start up innovative (relative, per esempio, alle assunzioni a tempo determinato) non differisce da quella comunemente applicata alle altre aziende».
Secondo lei, per una startup è possibile fruire dell’attività di personale autonomo dando garanzie diverse da quelle offerte da un contratto di lavoro di tipo subordinato?
«La classificazione di una prestazione come lavoro autonomo o subordinato dipende dalle modalità di esecuzione del lavoro. Determinate modalità di prestazione comportano l’applicazione delle discipline lavoristiche, altre no. Al di là di questo, è nella libertà contrattuale dell’azienda, laddove la classificazione come lavoro autonomo sia corretta, offrire maggiori garanzie o alcuni servizi a lavoratori autonomi che prestino per lei».
Nelle condizioni attuali, forse, esiste anche un problema riguardo le coperture assicurative: in caso di incidente o malattia, di fatto, i ragazzi di Foodora si devono arrangiare da soli. È corretto?
«Questo dipende dall’accordo sottoscritto: non sono a conoscenza di assicurazioni fornite o agevolate dalla piattaforma per eventuali incidenti occorsi durante la prestazione. In generale, in quanto lavoratori autonomi, non godono delle tutele previste dal diritto del lavoro in questo ambito e tra queste quelle relative alla malattia».
Lavoratori autonomi e/o dipendenti
E’ giusto che la questione si affronti tramite dialogo diretto (come chiede l’azienda) e non con un incontro formale (come chiedono i ragazzi)?
«Questo è un nodo centrale: storicamente i lavoratori hanno ottenuto un miglioramento delle proprie condizioni di lavoro attraverso l’azione collettiva e i suoi strumenti tipici (sciopero, contrattazione collettiva). La contrattazione individuale indebolisce il lavoratore rispetto all’azienda e non consente di ottenere miglioramenti per tutti. Ancora una volta, però, in quanto classificati come lavoratori autonomi, queste ragazzi non godono dei diritti e delle prerogative sindacali previste dalla disciplina del diritto del lavoro subordinato. Abilitare la possibilità di attivare la propria voce collettiva per i lavoratori della on-demand economy potrebbe essere un modo per riequilibrare le posizioni delle parti e ottenere modifiche del modello economico che sappiano rispondere alle esigenze dei lavoratori».
Il contratto di lavoro subordinato non deve prevedere reperibilità, organizzazione del lavoro in turni. A quanto pare, i lavoratori di Foodora dovrebbero lavorare su turni e garantire reperibilità. Il lavoratore autonomo sceglie di eseguire il lavoro secondo le sue esigenze e tempistiche, giusto? E’ anche questo uno di quei casi dove il limite tra lavoro autonomo e subordinato è davvero sottile?
«Qui il discorso si fa molto tecnico e occorrerebbe vedere i termini contrattuali e le specifiche modalità di prestazione. Sono sicuramente indizi che potrebbero puntare verso una classificazione come lavoro subordinato, ma la questione della classificazione del lavoro nella on-demand economy è in generale molto complessa, come dimostrano le vicende giudiziali di Uber oltreoceano».
Precari, nell’impero delle piattaforme
Partiamo da principio: il cliente effettua l’ordine e paga per il servizio, l’azienda lo riceve e deve evaderlo in tempo. E ci sono anche delle tempistiche precise di consegna (il pasto non può essere consegnato “freddo”). Se nessuno fosse disponibile alla consegna in un dato momento, si avrebbero delle mancate consegne o degli ordini non evasi. Per garantire questo, l’azienda chiede reperibilità. Ma un lavoro autonomo non funziona su disponibilità del lavoratore?
«Quello della decisione di quando e quanto lavorare lasciata al lavoratore rappresenta un profilo spesso sollevato dalle compagnie della on-demand economy per sostenere la diversità del lavoro rispetto al tradizionale lavoro subordinato. Occorre ovviamente capire quando questa libertà di scegliere i tempi delle proprie prestazioni sia effettiva o meno».
Secondo lei, per evitare queste situazioni servono nuove norme sul cosiddetto lavoro flessibile?
«Una maggiore attenzione legislativa verso il fenomeno della sharing/on-demand economy potrebbe essere opportuna e auspicabile, senza però dimenticare il collegamento di queste nuove forme di lavoro con dinamiche già osservate nel mondo del lavoro. Non si tratta sicuramente di una attività facile, dal momento che esistono diverse espressioni di questo modello economico e che si tratta di un fenomeno in evoluzione. Occorre muoversi con cautela, ripensando le modalità di tutela, introducendo garanzie fondamentali legate alla persona/lavoratore e cercando al contempo di attivare l’azione delle rappresentanze, che potrebbero meglio rispondere a peculiarità delle diverse piattaforme».
Sara Mauri
@SM_SaraMauri