Le innovazioni nella produzione e nella strumentazione permettono ai compositori di contraddirsi, superarsi e trovare nuove strade per esprimersi. Lo storico della musica e chitarrista che ha suonato con i grandi del jazz italiano: «le novità tecnologiche nell’arte alimentano un tradimento virtuoso che risponde a un bisogno di creatività»
«Quando Johann Sebastian Bach scrive le sue opere, il pianoforte moderno ancora non esiste. Più di 200 anni dopo, Glenn Gould deciderà di registrare le composizioni di Bach, regalando all’ascoltatore un potenziale delle partiture originali rimasto fino ad allora inespresso». Inizia da qui il racconto di Enrico Merlin, chitarrista e storico della musica del ‘900, sul rapporto che da sempre lega musica e tecnologia. Il risultato è «un intreccio indissolubile, che permette all’arte di avanzare e scoprire nuovi metodi di espressione».
«C’è chi pensa che reinterpretare la musica alla luce dei cambiamenti tecnologici equivalga a una mancanza di rispetto. Che, a prescindere, Bach non possa essere suonato con il piano o la chitarra elettrica e il distorsore». Occorre rovesciare questa prospettiva, sottolinea Merlin, attivo nel corso della sua carriera a fianco di artisti come Paolo Fresu, Giorgio Gaslini ed Enrico Rava e responsabile di corsi di insegnamento a Nuoro Jazz e in diversi conservatori italiani.
“Basarsi solo sulla divisione in generi musicali impedisce all’ascoltatore di essere libero e apprezzare quello che non conosce”
Alla base del legame fra arte – musica, in questo caso – e innovazione c’è l’inesauribile esigenza, da parte dell’artista, di disporre di strumenti vari e sempre migliori per esprimersi. «Introdurre e utilizzare le nuove soluzioni in ambito tecnologico è un tradimento virtuoso e necessario, che risponde a un continuo bisogno di creatività».
Al pubblico la richiesta di non tirarsi indietro, di mettersi alla prova e sperimentare con curiosità. «Senza fossilizzarsi solo sulla nozione della divisione in generi, uno steccato creato dal nulla, che impedisce di avere piena libertà nell’apprezzare quello che non si conosce». Anche in questo momento storico, in cui l’utilizzo della tecnologia in ambito musicale sembra aver favorito la diffusione di prodotti di dubbia qualità. «La mediocrità è sempre esistita. Basta saperla riconoscere». Dopotutto, come diceva Duke Ellington, ci sono soltanto due generi musicali: la musica buona e il resto.
Produzione e strumenti, l’innovazione tecnologica in dieci dischi
L’evoluzione dell’utilizzo della tecnologia nella musica contemporanea può essere analizzata da diversi angoli. Dal punto di vista delle tecniche di registrazione e di fissazione del suono su supporti fonografici e digitali o, come si è scelto di fare per la maggior parte delle opere qui presenti, tenendo in considerazione la strumentazione e le tecniche di produzione.
A questo secondo aspetto gli artisti hanno associato molte innovazioni stilistiche, che Merlin ha riassunto nel libro Mille dischi per un secolo, uscito nel 2012 per Il Saggiatore, da cui sono stati selezionati dieci album che hanno introdotto e contribuito a diffondere novità tecnologiche in grado di segnare la produzione artistica seguente.
1. Frank Sinatra – The Voice of Frank Sinatra (1946)
È il primo album in studio di The Voice. Pubblicato nel 1946 dalla Columbia Records, presenta una delle novità più rilevanti nella storia dell’editoria musicale: il disco in vinile. «Inizia l’era del microsolco, una nuova tecnologia alle quale tutte le aziende discografiche si adegueranno nel giro di pochi anni. Con essa nasce anche l’idea di concepire concept album, raccolte coerenti di canzoni che pongono l’artista al centro della scena», sottolinea Merlin. Il formato utilizzato consente un salto di qualità nell’ascolto: è il cosiddetto 10 pollici, 25 centimetri, più piccolo del classico long playing da 12 pollici – 30 centimetri.
2. John Cage – Imaginary Landscape No. 4 (March No. 2) (1951)
Il compositore californiano è una figura chiave nell’evoluzione della musica moderna e nell’utilizzo delle nuove tecnologie. «Il pensiero di Cage non lascia spazio a compromessi. Utilizza le macchine per limitare il più possibile l’intervento umano. Secondo la sua idea», continua Merlin, «la musica si manifesta quando il musicista scompare».
Imaginary Landscape No. 4 fa parte di una serie omonima di cinque pezzi ed è pensata per 24 musicisti che, divisi in coppie, suonano 12 apparecchi radiofonici. Il primo operatore ricerca stazioni radiofoniche, mentre il secondo regola volume e timbro. Entrambi si basano su una partitura scritta su pentagramma e applicata all’apparecchio. In sostanza, i performer manipolano in tempo reale i suoni prodotti dalle stazioni selezionate.
«Seguendo la partitura, i materiali sonori vengono organizzati sul momento, ma seguendo un percorso già deciso. Non è un’improvvisazione, è l’opposto. È un elogio all’indeterminatezza, all’uso impersonale di mezzi e materiali musicali: la composizione è studiata, ma quello che verrà ascoltato dipende dal caso, ossia da quello che la stazione radiofonica sta trasmettendo in quel momento».
3. Georg Solti – Richard Wagner – Der Ring Des Nibelungen (1958-1965)
Alla fine degli anni ’50, l’etichetta londinese Decca Records inizia una lunga serie di registrazioni che segna l’avvicinamento fra le moderne tecniche di produzione e la musica classica. Il direttore d’orchestra ungherese Georg Solti dirige la Filarmonica di Vienna nella Tetralogia di Wagner e «per la prima volta un’opera lirica viene registrata appositamente per farne dei dischi e non in occasione della messa in scena di rappresentazioni teatrali».
Le incisioni sono una rara occasione per applicare le possibilità offerte dalle innovazioni tecnologiche a un contesto tradizionale. «I tecnici costruiscono delle macchine per realizzare gli effetti sonori. Così», racconta Merlin, «per riprodurre la voce cupa del drago nel dramma di Wagner, la casa discografica fabbrica un box di plastica al cui interno sono posti coni e amplificatori che emettono suoni spaventosi».
4. The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967)
«Un disco essenziale per la storia della musica, l’apice di un mondo sonoro unico», chiosa Merlin. «Completa e perfeziona le innovazioni tecnologiche iniziate in Revolver, dove i Beatles sperimentano i nastri mandati al contrario o ne alterano la velocità». Non solo. Sgt. Pepper’s è il primo album della storia registrato in otto tracce, al posto delle tradizionali quattro. «L’invenzione di un metodo per sincronizzare due registrazioni in quattro tracce e lasciarne sette utilizzabili ha aperto la strada alle registrazioni multitraccia, prima dell’avvento del digitale».
Alle possibilità aperte dal capolavoro dei Beatles si può accostare Bitches Brew di Miles Davis, «il suo omologo nel jazz. Ancor più di quanto fatto dai Beatles, Davis spinge la sua musica verso una costruzione cinematografica, in cui considera il taglio e il montaggio determinanti per la forma e la struttura dell’opera».
5. Jimi Hendrix – Axis, Bold as Love (1967)
«La chitarra stava aspettando il momento giusto per prendersi la scena del rock negli anni a venire e con il secondo album di Jimi Hendrix questa percezione diventa realtà». Affinché potesse accadere, la pronuncia stessa dello strumento doveva cambiare. «La distorsione diventa il suono fondante della chitarra elettrica nel ventesimo secolo e lo fa grazie all’impiego della tecnologia, sia nello strumento, sia in fase di produzione».
Al centro di Axis, Bold as Love c’è anche la comparsa di amplificatori sempre più potenti ed efficienti e le invenzioni relative ai pedali, molti dei quali costruiti appositamente su richiesta di Hendrix. Ancora una volta, dunque, l’innovazione tecnologica è il mezzo per comunicare attraverso nuovi linguaggi musicali.
6. (Walter) Wendy Carlos – Switched-On Bach (1968)
Le registrazioni delle Variazioni Goldberg o del Clavicembalo ben temperato da parte di Glenn Gould rappresentavano un primo esempio della combinazione fra tecnologia e creatività. Interpretando alcune arie e il Concerto brandeburghese n.3 di Bach, nel 1968, la compositrice statunitense Wendy Carlos, allora Walter Carlos, incide un disco suonato esclusivamente con il neonato sintetizzatore Moog.
«Realizza l’album in collaborazione con Robert Moog. L’opera, per come è stata ideata, è monumentale», afferma Merlin. All’epoca, non esisteva il Midi e i sintetizzatori erano monofonici, non potevano cioè essere suonate due note insieme. «Questo significava dover suonare per intero le parti polifoniche, senza la possibilità di errori, che avrebbero costretto il giovane Carlos a risuonare la sezione dall’inizio».
Switched-On Bach contiene un secondo elemento di novità, dovuto all’edizione quadrifonica con cui viene stampato. «Si tratta di dischi riprodotti tramite una puntina particolare, in grado di leggere quattro canali, corrispondenti a quattro casse ai lati della stanza. È il prodromo dell’attuale sistema di casse 5.1».
Nel 1971, Carlos si fa conoscere al grande pubblico per la collaborazione con il regista Stanley Kubrick, che lo chiama a realizzare la colonna sonora di Arancia Meccanica e, nel 1980, alcuni brani del film Shining.
7. Yes – Close to the Edge (1972)
«Il rock progressivo è una delle migliori dimostrazioni di quanto l’incontro con la tecnologia abbia fatto bene all’arte. Senza di essa, questo filone musicale non avrebbe avuto modo di esistere e permettere ai suoi massimi esponenti di creare le loro opere».
Non avrebbe potuto esserci il progressive senza l’intreccio fra la musica acustica, elettroacustica, elettrica ed elettronica. E se queste sono le componenti chiave del progressive rock, dice Merlin, «Close to the Edge degli Yes si pone al suo apice».
8. Christian Marclay – Record Without a Cover (1985)
La qualità va ricercata, ma può anche essere volutamente negata. Record Without a Cover è un disco senza copertina inciso su un solo lato, ha inizio con i rumori di superficie tipici del vinile registrati di proposito, a cui seguono dei montaggi di brani preesistenti, per un totale di circa 18 minuti. Sul lato opposto è inciso il nome dell’album e del suo autore. Questi, dopo aver fatto pubblicare alcune centinaia di copie, le ha lasciate di nascosto nelle vasche dei vinili di alcuni importanti negozi underground di New York.
Esposte senza protezione al contatto con le mani dei clienti e con gli altri dischi, le copie dell’album hanno continuato a usurarsi per anni, peggiorandone la qualità del suono. «Un deterioramento, però, unico e irripetibile per ogni singolo vinile. Con due effetti: la rovina casuale del supporto rappresenta la sua caratteristica inimitabile, aumentandone il valore economico, e la gente che ogni giorno frequentava i negozi di musica diventava performer in modo inconsapevole».
In questo caso, prosegue Merlin, «le potenzialità espresse dalle tecniche di produzione e la qualità di ascolto offerta dalle innovazioni tecnologiche servono ad alimentare una delle più irriverenti e riuscite provocazioni nella storia della musica contemporanea».
9. John Oswald – Plunderphonic (1988)
Nei giorni in cui sta andando in scena la diatriba tra Siae e Meta per l’utilizzo dei brani su Instagram e Facebook, l’idea alla base della tecnica musicale del plunderphonics – termine derivato dal verbo plunder, saccheggiare, e phonics, fonico – sembra lontana anni luce.
Diffusa dal compositore canadese John Oswald, consiste nel prendere parti di canzoni di altri artisti e modificarli tramite l’utilizzo di soluzioni tecnologiche, come l’autotune o il pitch shifter, pur consentendo il riconoscimento del brano originale. «Il risultato decontestualizza la melodia originale ed è diverso dai campionamenti hip-hop. I musicisti chiamati in causa nell’opera di Oswald, da Michael Jackson a Dolly Parton, hanno fatto ritirare i cd dal mercato, che per diversi anni è stato reso scaricabile gratuitamente dall’autore».
Sul suo sito, è possibile approfondire i metodi di montaggio ed editing e gli strumenti utilizzati per realizzare gli album secondo questa tecnica, ascoltare parte delle tracce, leggere interviste e curiosità relative all’autore, che, a proposito della sua manipolazione della musica altrui ha dichiarato: “se la creatività è un prato, il copyright è lo steccato”.
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10. Ohm: The Early Gurus of Electronic Music, 1948-1980 (2000)
Per esplorare la rivoluzione tecnologica della musica elettronica è necessaria un’eccezione. Secondo Merlin, «un disco non è sufficiente, occorre un’antologia, costituita da tre cd e un dvd». Al suo interno, si trovano brani composti fra il 1948 e il 1980 da artisti che hanno scritto capitoli fondamentali della musica contemporanea. Fra questi, John Cage, Olivier Messiaen, Pierre Schaeffer, Edgar Varese e Brian Eno.
«È presente anche la colonna sonora del film Il pianeta proibito, scritta nel 1956 da Louis and Bebe Barron: la prima volta che un sintetizzatore viene utilizzato nel tema di un’opera cinematografica». Nella raccolta, uscita nel 2000, figura anche Raymond Scott, autore delle colonne sonore e degli effetti speciali dei cartoni della Warner. «La sua traccia qui presente, Cindy Electronium, è simile a un brano dance degli anni ’80, se non fosse che è stata pubblicata nel 1959».
Bonus track
Alla fine di questo piccolo viaggio in alcuni dei dischi che, nel secolo scorso, hanno scritto nuovi capitoli nel rapporto fra musica e tecnologia, si potrebbe riavvolgere il nastro e fermarsi al 1952. In quell’anno, a Parigi, un ragazzo di 24 anni chiamato Karlheinz Stockhausen sta componendo un’opera che finirà sotto il nome di Concrète Étude. «È un lavoro al limite del maniacale, iniziato facendo a pezzi il suono del suono del pianoforte – taglia con le forbici i nastri su cui registra -, rimontando in loop e rimodellando attraverso alcuni macchinari innovativi il resto della composizione».
Sono le prime fasi di un processo che porterà alla nascita di un’opera in grado di mostrare per la prima volta al mondo il vero potenziale della musica elettronica e di uno dei suoi più importanti maestri.