Una ricerca condotta dall’Università di Pavia in collaborazione con StartupItalia svela che cosa si intende per “transformative innovation”
Che cosa si intende per “transformative innovation“? E quali sono i fattori di successo per rendere scalabili imprese e startup? Lo svela una ricerca dell’Università di Pavia, realizzata con StartupItalia e coordinata da Stefano Denicolai, direttore ITIR e professore di Innovation Managment all’Università di Pavia, che analizza il ruolo dei Chief Innovation Officer e l’innovazione pervasiva nelle aziende. E’ stata presentata in occasione di #SIOS22 Winter Edition dal professor Denicolai con cui abbiamo approfondito l’argomento per capire, nel dettaglio, che cosa stanno facendo e cosa dovrebbero fare le aziende per essere sempre più innovative.
Leggi anche: #SIOS22 | Unobravo è la Startup of the Year 2022. “Ora Investiamo in servizi e nell’internazionalizzazione”
Professore, quali parametri ha preso in considerazione la ricerca da lei condotta?
“La ricerca che abbiamo effettuato è incentrata sul ruolo delle nuove forme di trasformazione. Ci siamo chiesti se e quanto queste trasformazioni incidono nell’innovazione e se si può davvero parlare di un processo nuovo. Le imprese devono saper trarre profitto dai propri ostacoli e dalle difficoltà ma, inconsciamente, i problemi permangono e, spesso, non si curano troppo dell’impatto sociale. Sono sempre di più le aziende ad essere convinte che una trasformazione dal punto di vista ambientale sia strettamente connessa all’impatto sociale, prescindendo dal fatto che questi due settori non sono alternativi. Abbiamo analizzato la business, digital e purpose transformation”.
Quali sono i dati che sono emersi dalla sua ricerca?
“Anzitutto, darsi una purpose con l’obiettivo di generare prosperità eliminando i problemi e producendo impatto è un processo di trasformazione che riguarda le imprese innovative più di successo. E’ bello usare la leva dell’innovazione per capire come l’impatto sociale e la trasformazione siano due leve complementari e non alternative. Dalla nostra ricerca è emerso che tanto più le imprese sono innovative, tanto meno si trasformano. Questo è accaduto dinanzi a grandi shock imprevedibili come la guerra o la pandemia. Possiamo, dunque, dire che le imprese più innovative sono quelle che si sono trasformate meno, hanno saputo mantenere la calma prima e durante la tempesta, mentre quelle meno innovative sono quelle che si sono trasformate di più. Le aziende meno innovative hanno, quindi, risposto in modo schizofrenico, mentre quelle più innovative, anche se sembrerebbe che non abbiano risposto al cambiamento, in realtà sono quelle che lo hanno iniziato da prima”.
“Le aziende meno innovative sono quelle che, dinanzi ai grandi shock, si sono trasformate di più”
Quali altri aspetti rilevanti emergono dalla ricerca?
“E’ interessante capire che siamo abituati a parlare di trasformazioni nel business, con il cambiamento delle aziende, di trasformazioni digitali e di transizione ecologica come aspetti scissi tra loro ma non è così. Ogni volta che si parla di cambiamenti a livelli di business questi implicano anche cambiamenti a livello digitale ed ecologico. Quando le imprese trascendono il loro business, difficilmente fanno leva sul cambio, mentre abbiamo notato un elevato incremento dell’attenzione verso la sostenibilità. Quando operi una transizione ecologica automaticamente fai leva anche sul digitale, che impatta sul business. Si tratta di aspetti che non si possono scindere; per questo si parla di one transformation. Potrebbe venire d’istinto pensare che queste sfide di transformative innovation riguardino soprattutto le grandi imprese che si devono ripensare e trasformare, ma non è così. Quello che è emerso dalla ricerca è che questo tema riguarda tantissimo anche le startup che, per scalare, devono trasformarsi. Se non lo fanno, si schiantano”.
“La transformative innovation riguarda anche le startup. Per scalare, devono sapersi trasformare. Se non lo fanno, si schiantano”
La tecnologia nella transformative innovation quanto conta e come si sviluppa?
“Conta tantissimo purché ci si ricordi che si deve intrecciare sempre con le diverse discipline, che non vanno mai viste come fattori a se stanti. L’amore per il digitale è una buona cosa ma l’uomo e le discipline umanistiche devono essere sempre al centro. Lo raccontiamo spesso ma poi non lo facciamo”.
“L’uomo e le discipline umanistiche devono essere sempre al centro”
Quale è la sua formula della ripartenza?
“Ripartire dalla scienza fuori dai laboratori. Dieci anni fa pensavo che l’innovazione fosse solo tecnologia e solo scienza, poi sono arrivate le startup che hanno acceso un faro sul fatto che si può essere innovativi anche in un garage con tre idee. Poi è arrivata la pandemia che ci ha insegnato a intrecciare la scienza con le startup, la transformation e la tecnologia”.